Il reato continuato è compatibile con l'esclusione della punibilità per particolare tenuità

Il vincolo della continuazione nel reato non è incompatibile con l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, nel caso in cui si tratti di più azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della stessa persona.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 16502/19, depositata il giorno 16 aprile. Una norma dallo spettro applicativo altalenante. A finire sotto la lente d'ingrandimento degli Ermellini è la famosa – o famigerata – causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Introdotta nel 2015 ed integrata nel codice penale, fu presentata come una delle panacee contro la proliferazione dei procedimenti penali di modesta portata l'obiettivo del legislatore era quello di creare una valvola di sfiato attraverso cui far passare le condotte illecite che avessero prodotto conseguenze dannose o pericolose di minima rilevanza. Per identificare i titoli di reato candidati a essere dichiarati non punibili si pensò – con fantasia piuttosto grigia – di utilizzare il parametro della pena edittale pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, sola o congiunta a pena pecuniaria. La disciplina, infine, contiene alcune eccezioni di fronte alle quali l'offesa non può essere considerata particolarmente tenute e, per quanto ci interessa rispetto alla pronuncia che oggi analizziamo, tra di esse spicca la pluralità di condotte abituali e reiterate. Quid iuris nel caso di reato continuato? L'orientamento restrittivo. Nel caso che ci occupa la Cassazione s'è trovata a dover decidere di un ricorso presentato dalla Procura della Repubblica avverso una sentenza dichiarativa della particolare tenuità di alcune condotte furtive avvinte dalla continuazione nel reato. Prima di rigettare la doglianza, mostrando così di condividere un concetto alquanto elastico di abitualità, gli Ermellini non possono fare a meno di ricordarci che, in effetti, esiste un orientamento giurisprudenziale piuttosto ben rappresentato con cui si è negato che l'offesa arrecata dal reato continuato – per il solo fatto di avvolgere” col nesso della continuazione più condotte – possa essere dichiarata particolarmente tenue. Fino al maggio del 2018 s'è a volte rilevato che plurime condotte, anche se avvinte dalla continuazione, sono espressive di una devianza tutt'altro che particolarmente tenue. L'orientamento favorevole alla non punibilità del reato continuato particolarmente tenue. Esiste anche un altro indirizzo, rilevano i Supremi Giudici, con il quale invece s'è cercato di valorizzare al massimo la portata applicativa della neointrodotta causa di non punibilità. Si è affermato, sempre nel corso del 2018, che più reati avvinti dalla continuazione possono beneficiare della esclusione di punibilità nel caso in cui le condotte siano raggruppate in un contesto spazio-temporale ristretto e riguardino la stessa persona offesa. Ciò dimostrerebbe una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa , perfettamente compatibile con lo spirito della novella. Soltanto nel caso in cui vi siano numerose violazioni della legge penale – precisa la Cassazione – tali da dimostrare una certa serialità nel delinquere , si potrebbe escludere in radice l'applicazione della norma di favore. L'orientamento appena descritto, al quale la Suprema Corte ha scelto di ribadire la propria adesione, risulterebbe fra l'altro maggiormente rispettoso del tenore letterale della norma – che richiama più volte il concetto di abitualità nel delinquere e non quello della continuazione nel reato – e, quel che più importa, più coerente con il sistema penale, che concepisce la continuazione come un indice di minore e non di maggiore riprovevolezza del reo. Concordiamo con la decisione che oggi commentiamo, non foss'altro perchè lo sforzo dei Supremi Giudici si è concentrato nel senso di ampliare, e non di restringere, lo spettro operativo di una norma che, altrtimenti, sarebbe sostanzialmente priva di qualunque utilità pratica.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 16 aprile 2019, n. 16502 Presidente Lapalorcia – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con sentenza del 17 gennaio 2018 il Tribunale di Asti ha dichiarato non punibili P.C.V. , H.N.A. e N.A.G. , ai sensi dell’art. 131 bis c.p., in ordine ai reati loro contestati aventi ad oggetto la violazione dei sigilli ed il tentato furto aggravato, essendo stata ritenuta dal giudice di primo grado la particolare tenuità dei fatti loro addebitati. Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti, deducendo un unico motivo di impugnazione, con il quale, pur consapevole della esistenza di un orientamento giurisprudenziale indirizzato nel senso della compatibilità fra la figura della non punibilità del fatto per la sua particolare tenuità e la continuazione fra i reati, egli ha sollecitato questa Corte ad annullare la sentenza impugnata sulla scorta del rilievo, avallato da altro diverso orientamento di questa Corte, secondo il quale, essendo la contestazione mossa nei confronti degli imputati riferita ad una pluralità di reati, vi sarebbe un ostacolo normativo, rappresentato dal fatto che è inibita la qualificazione del fatto come di particolare tenuità ove lo stesso presenta una dimensione plurima , che impedirebbe la possibilità di applicare in favore degli imputati la particolare causa di non punibilità ritenuta, invece, dal Tribunale astigiano. Considerato in diritto Il ricorso, essendo risultato infondato, non è, pertanto, meritevole di accoglimento. Il punctum attorno al quale si snoda il ricorso del Pm astigiano è afferente alla compatibilità fra la affermazione della particolare tenuità del fatto e, pertanto, la sua non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis c.p., e la contestazione di più reati. Rileva il Tribunale di Asti nella sentenza impugnata che non sussisterebbe quanto ai fatti contestati ai prevenuti alcuna della condizioni obbiettive ostative alla riconducibilità degli stessi alla ipotesi di non punibilità prevista dalla disposizione sopra richiamata posto che si tratta di reati che ambedue prevedono una pena edittale inferiore nel massimo ai 5 anni di reclusione dagli atti non risulta che i soggetti agenti abbiano operato per motivi abbietti o futili ovvero abbiano agito con crudeltà, adoperando sevizie in danno della persona offesa ovvero profittando delle condizioni di minorata difesa di quest’ultima dal fatto non sono derivare lesioni gravissime né la morte di chicchessia i prevenuti non risultano avere precedenti relativi a reati della stessa indole né sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Il Tribunale ha altresì rilevato che non vi erano elementi per ritenere la abitualità della condotta ovvero la reiterazione della medesima. Tanto considerato il giudicante, valutati gli indici rilevanti ai sensi dell’art. 133 c.p., ha ritenuto che si debba ritenere l’episodio sottoposto alla sua attenzione processuale inequivocabilmente segnalato dal carattere della particolare tenuità della offesa arrecata ai beni interessi tutelati dalle disposizioni in ipotesi violate ed ha, pertanto, dichiarato la non punibilità dei prevenuti. Nel formulare il ricorso introduttivo del presente giudizio il rappresentante della pubblica accusa ha, viceversa, osservato che, la stessa disposizione legislativa di favore prevede che, laddove il fatto contestato presenti una dimensione plurima non possa essere attribuita rilevanza all’eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui essi si sia articolato e che, pertanto, ove si sia in presenza di più reati ascritti ad un medesimo soggetto, senza che abbia una qualche rilevanza la circostanza che gli stessi risultino o meno avvinti sotto lo schema della continuazione ai sensi dell’art. 81 c.p., cpv., viene meno la possibilità di qualificare ciascun fatto come di minimo disvalore penale, per cui, in una siffatta evenienza, viene meno in radice la possibilità applicare per ciascuno ovvero per taluno di essi la disciplina dettata dall’art. 131 bis c.p Ritiene il Collegio che la tesi esposta dal ricorrente con l’atto introduttivo del presente giudizio, pur certamente non trascurabile né ignota alla giurisprudenza di questa Corte, debba tuttavia essere disattesa. Come accennato in seno a questo supremo consesso giudiziario sono state espresse tesi fra loro divergenti infatti, ancora in tempi assai recenti questa Corte, anzi questa stessa Sezione, ha avuto modo di affermare che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131 bis c.p., non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale , ostativa al riconoscimento del beneficio Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 maggio 2018, n. 19159 la Corte ha in tal senso ulteriormente declinato un principio che, sostanzialmente negli stessi termini, era già stato applicato da questa Corte, sulla base del rilievo che la continuazione fra reati configura appunto un comportamento abituale caratterizzato dalla reiterazione di condotte penalmente rilevanti costituenti un segnale rivelatore di una devianza non occasionale , che come tale è priva di quel carattere di trascurabile offensività che, invece, deve essere indefettibile indice del fatto ove lo si voglia sussumere entro il rigido paradigma normativo dell’art. 131 bis c.p. Corte di cassazione, Sezione VI penale, 24 gennaio 2018, n. 3353 ed è stato anche successivamente reiterato attraverso la automatica sussunzione della continuazione fra reati nell’ambito del comportamento abituale , impeditivo della ricognizione della particolare tenuità del fatto Corte di cassazione, Sezione IV penale, 8 ottobre 2018, n. 44896 . In senso sostanzialmente analogo - sia pure con riferimento ad una fattispecie materiale si trattava della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 nella quale il legislatore ha espressamente commisurato la entità della sanzione penale al numero delle infrazioni della norma precettiva commesse dal soggetto agente - in altra occasione la Corte a ribadito che la ipotesi della continuazione fra reati si pone come ontologicamente ostativa, in quanto manifestazione di un comportamento abituale deviante, alla qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità Corte di cassazione, Sezione I penale, 12 dicembre 2017, n. 55450 . In altre occasioni, invece, questa stessa Corte ha espresso un orientamento che, seppure con qualche opportuna precisazione connessa alla peculiarità del caso di volta in volta sottoposto alla sua attenzione, appare decisamente mitigare la rigidità e la apparentemente generale applicazione del principio quale dianzi esposto. Come, infatti, è stato affermato di recente da questa Corte, non costituisce elemento ostativo alla applicazione dell’art. 131 bis c.p., la presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora questi riguardino azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, posto che da tutti questi elementi emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, che costituisce un elemento incompatibile con la condizione negativa della abitualità della condotta presa in considerazione, quale fattore di esclusione della applicabilità della norma, dall’art. 131 bis c.p. Corte di cassazione, Sezione V penale, 5 febbraio 2018, n. 5358 . Principio che è stato confermato anche dalla coeva sentenza n. 9495 del 2018, ove è stato puntualizzato che la logica antinomia fra reato continuato e particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé dimostrazione di un certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa,l indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa in tal modo arrecata, Corte di cassazione, Sezione II penale, 2 marzo 2018, n. 9495 , ovvero, in altre parole, ove detta reiterazione non sia espressiva di una chiara tendenza od inclinazione al crimine Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 settembre 2018, n. 41011 , e che già era stato in precedenza enunciato in termini precisamente e puntualmente definiti Corte di cassazione, Sezione V penale, 19 luglio 2017, n. 35590 . Ritiene il Collegio, come già dianzi anticipato, che questo secondo orientamento sia, oltre che più conforme allo stesso tenore letterale della disposizione in questione, certamente espressivo di una più generale coerenza di sistema con altre norme dell’ordinamento. Quanto al primo profilo sopra accennato si osserva che lo stesso legislatore, nell’individuare i fattori impeditivi la qualificazione del fatto come espressivo della particolare tenuità della offesa arrecata al bene interesse tutelato dalla norma precettiva, richiama, per quanto ora interessa, oltre che la pregressa dichiarazione a carico dell’autore del fatto siccome delinquente abituale, professionale o per tendenza, la medesimezza dell’indole dei reati commessi ove ci si trovi di fronte a più reati,ovvero la circostanza che si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Si tratta, come è evidente, di elementi che, evidenziando una qualche dimestichezza e familiarità del soggetto agente con il delinquere, rendono ex se il fatto commesso tale da rivestire un non trascurabile o, comunque, non assai modesto disvalore sociale. In particolare, per quanto attiene alla molteplicità delle condotte realizzate, il legislatore ha fatto puntuale riferimento ad aggettivi riferiti alle condotte plurime, abituali, reiterate aventi un ben chiaro spettro semantico, dovendo ritenersi che una condotta sia reiterata ove la stessa, con identiche modalità fenomeniche, sia ripetuta nel tempo, che essa sia abituale ove la stessa, non essendo episodica, si segnali per una sua certa metodicità, mentre una condotta è plurima ove essa, ancorché sotto diverse guise, intervenga un considerevole numero di volte. Questa Corte, già in passato, ebbe a precisare che, la nozione di condotta plurima, presuppone la esistenza di almeno tre condotte fra loro disomogenee, posto che la valenza di significato del lemma utilizzato dal legislatore, appunto l’espressione plurima, si discosta dal concetto di semplice pluralità della azione, richiedendo il relativo concetto un quid pluris, costituito da un ulteriore elemento fattuale che si aggiunga alla mera pluralità, la quale richiede anche la sola duplicità dei comportamenti cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 novembre 2015, n. 47256 sul concetto di condotte plurime come espressivo della esecuzione, almeno tre volte, di distinte e molteplici condotte si veda anche Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 6 aprile 2016, n. 13681 . Da quanto sopra sembra di potere escludere che nei comportamenti addebitati ai prevenuti sia riscontrabile una delle condizioni ostative alla riconoscibilità della particolare tenuità dell’offesa posto che, non essendo alcuno dei prevenuti già stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né essendo i reati contestati espressivi di una medesima indole criminale, le condotte ascritte ai tre prevenuti sono numericamente solo due ei per come descritte nel capo di imputazione e verificate in esito al dibattimento di primo grado esse non appaiono né espressive di una certa abitualità criminosa né hanno comportato la reiterazione di un medesimo modus operandi da parte dei prevenuti che evidenzi la loro proclività ad una determinata azione delinquenziale. Osserva, peraltro, ancora il Collegio che considerare di per sé la contestazione di più condotte, tanto più se le stesse appaiano, come nel caso di specie, primo visu affasciate dal vincolo della continuazione, esulanti rispetto al fuoco della disposizione normativa contenuta nell’art. 131 bis c.p., è soluzione che si presenta, inoltre, eccentrica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui è espressione l’art. 81 c.p Infatti l’automatismo della valutazione della pluralità delle condotte siccome ostative alla riconducibilità del fatto nell’ambito della particolare tenuità ex art. 131 bis c.p., anche nel caso in cui la contestualità di esse deponga inequivocabilmente nel senso della unicità della volizione antidoverosa dell’agente, comporterebbe una ingiustificata, ed ingiustificabile, disparità di trattamento con la figura, per ampi tratti identicamente considerata dal legislatore ed identicamente configurante una unificazione di più illeciti operante esclusivamente quoad poenam, del concorso formale fra reati, prevista dall’art. 81 c.p., comma 1, in cui la unicità della condotta, pur considerata la risultante pluralità di violazioni commesse, consentirebbe, diversamente da quanto si ritiene sulla base dell’orientamento interpretativo ora avversato, l’eventuale applicabilità dell’art. 131 bis c.p Considerato che nel nostro caso, per come descritte nel capo di imputazione, le condotte attribuite ai prevenuti, in relazione alle quali è riscontrabile un’evidente unità di tempo e di luogo, rendono manifesto che le stesse costituiscono le modalità di estrinsecazione di un unico disegno criminoso, correttamente il Tribunale di Asti ha, con la sentenza impugnata, ritenuto ad essi applicabile il regime di favore di cui all’art. 131 bis c.p., e, conseguentemente, il ricorso avverso detto provvedimento deve essere rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.