La rilevanza della comparazione tra aggravanti e attenuanti per il giusto calcolo della pena

Partendo dal presupposto che l’art. 69 c.p. impone il giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, se la pena sia stata erroneamente calcolata omettendo tale giudizio e operando la riduzione di essa, per effetto delle attenuanti generiche, non sulla misura edittale relativa all’ipotesi base del reato, ma su quella dell’ipotesi aggravata, il giudice dell’appello deve rivalutare il procedimento commisurativo della sanzione, correggendo direttamente il calcolo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 16354/19, depositata il 15 aprile. Il caso. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado con cui l’imputato è stato condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e una multa di 106 euro per il reato di furto pluriaggravato di un automezzo parcheggiato su una strada pubblica, con applicazione delle aggravanti. Avverso la decisione della Corte d’Appello l’imputato propine ricorso per cassazione lamentando violazione di legge in relazione al calcolo della pena per il mancato bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con le ritenute aggravanti e la conseguente riduzione erroneamente operata sulla pena calcolata sulla base dell’art. 625, comma 2, c.p. anziché su quella stabilita per il furto semplice. Motivazione della sentenza ed errori sul dispositivo. Al riguardo, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, occorre ribadire che è possibile far prevalere la motivazione della sentenza sul dispositivo in caso di loro discrasia, qualora questa dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall’esame della motivazione emerga chiaramente la volontà del giudice. E nel caso di specie è palese che il giudice di primo grado volesse concedere le attenuanti generiche, nonostante la dimenticanza formale del relativo richiamo nel dispositivo dello stesso provvedimento. Ed inoltre il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 c.p. presuppone una complessiva valutazione degli elementi circostanziali, siano essi aggravanti o attenuanti, che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore dell’azione delittuosa posta in essere ed è funzionale allo scopo di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto. Spetta, dunque, al giudice di appello, in sede di impugnazione, effettuare tale giudizio comparativo attraverso la verifica della determinazione della pena. Il calcolo della pena. Sulla base di quanto detto, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata limitativamente al trattamento sanzionatorio, rinviando alla Corte distrettuale per nuovo esame e affermando il principio secondo cui, l’art. 69 c.p. impone il giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, pertanto, se la pena sia stata erroneamente calcolata omettendo tale giudizio e operando la riduzione di essa, per effetto delle attenuanti generiche, non sulla misura edittale relativa all’ipotesi base del reato, ma su quella dell’ipotesi aggravata, il giudice d’appello deve dar luogo alla rivalutazione del procedimento commisurativo della sanzione, correggendo il calcolo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 dicembre 2018 – 15 aprile 2019, n. 16354 Presidente Stanislao – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, emesso il 12.4.2018, la Corte d’Appello di Palermo, ha confermato la sentenza del Tribunale di Sciacca datata 2.10.2017, emessa con rito abbreviato, con la quale D.C.M. è stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 106 di multa per il reato di furto pluriaggravato di un automezzo parcheggiato su una strada pubblica le aggravanti contestate erano quelle di cui all’art. 61, n. 5 e art. 625, comma 1, n. 7, nonché la recidiva reiterata specifica infraquinquennale. 2. Avverso la decisione della Corte d’Appello di Palermo ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore avv. Vancheri, deducendo un unico motivo di ricorso, con cui si argomenta violazione di legge in relazione al calcolo della pena per il mancato bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche con le ritenute aggravanti e la conseguente riduzione erroneamente operata sulla pena calcolata ex art. 625 c.p., comma 2, piuttosto che su quella stabilita per il furto semplice. La Corte d’Appello erroneamente ha confermato la sentenza di primo grado che aveva generato tale errore di calcolo, sulla base del principio, non corrispondente agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, di prevalenza del dispositivo sulla motivazione, poiché nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Sciaccia non si faceva parola delle attenuanti, diversamente che in motivazione, ritenendo in ogni caso l’errore irrilevante in considerazione del fatto che il trattamento sanzionatorio finale fosse comunque legale e congruo rispetto alla gravità dei fatti ed alla personalità dell’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la doglianza è ammissibile poiché non configura un motivo dedotto per la prima volta dinanzi alla Corte di cassazione - circostanza che ne avrebbe determinato l’inammissibilità - bensì una eccezione già proposta in sede di appello cfr. Sez. 2, n. 14307 del 14/3/2017, Musumeci, Rv. 269748 che, in relazione ad errore di diritto contenuto nella sentenza di primo grado e riguardante le modalità di calcolo della pena, comunque fissata entro i limiti edittali ed in assenza di modifiche normative incidenti sulla determinazione della stessa, ha dichiarato l’inammissibilità della relativa eccezione se prospettata per la prima volta con ricorso per cassazione, non trattandosi di pena illegale rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 609 c.p.p., comma 2 . 2. Anzitutto deve premettersi che la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio intende aderire ha, più volte e di recente, affermato che è possibile far prevalere la motivazione della sentenza sul dispositivo in caso di loro discrasia, qualora quest’ultima dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall’esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volontà del giudice ex multis Sez. 2, n. 13904 del 9/3/2016, Palumbo, Rv. 266660 Sez. 4, n. 26172 del 19/5/2016, Ferlito, Rv. 267153 Sez. 6, n. 24157 del 1/3/2018, Cipriano, Rv. 273269 . Nel caso di specie, risulta evidente, esaminando la motivazione della sentenza del Tribunale di Sciacca, che il giudice di primo grado ha inteso concedere le attenuanti generiche, e ciò a dispetto della palese dimenticanza formale del relativo richiamo nel dispositivo dello stesso provvedimento. Sulla loro concessione, infatti, il Tribunale ha lungamente argomentato, sottolineando positivamente la ammissione del furto da parte del ricorrente - decisiva per la contestazione nel processo - e valutando in senso analogamente favorevole le sue spontanee dichiarazioni, nel corso delle quali egli ha dimostrato consapevolezza dell’errore commesso, chiedendo anche scusa ai carabinieri che avevano, loro malgrado, dovuto subire, non senza qualche rischio, la sua condotta di rocambolesca fuga dopo il reato. Inoltre, la parte motivazionale dedicata alla espressione del calcolo per la determinazione della pena finale non lascia adito a dubbi il giudice ha specificamente citato, nel computo dei singoli elementi che compongono la pena che ha in concreto inflitto, la diminuzione per il riconoscimento delle attenuanti generiche, semplicemente dimenticando del tutto la necessità di attuare il giudizio di bilanciamento tra dette attenuanti e le riconosciute aggravanti e rapportando la diminuzione stessa alla pena prevista per la fattispecie pluriaggravata di furto di cui all’art. 625 c.p., comma 2, la recidiva è stata, invece, direttamente esclusa con adeguata motivazione ed in coerenza con quanto deciso nel dispositivo . In tal modo, il giudizio di bilanciamento, compiuto di fatto in senso prevalente, attraverso l’espressa diminuzione per le circostanze attenuanti generiche, è stato erroneamente rapportato all’erronea fattispecie pluriaggravata. Ebbene, se il giudizio di comparazione previsto dall’art. 69 c.p. presuppone una valutazione complessiva degli elementi circostanziali, siano essi aggravanti o attenuanti, che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell’azione delittuosa ed è funzionale alla finalità di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto Sez. 6, n. 6 del 26/11/2013, dep. 2014, Acquafredda, Rv. 258457 , è evidente che tale giudizio comparativo non può essere eluso dal giudice d’appello, in sede di impugnazione, attraverso una verifica della determinazione della pena, svolta facendo ricorso a criteri sostanzialistici di raffronto, basati sulla corrispondenza tra la misura della sanzione in concreto inflitta ed i parametri edittali prefissati dal legislatore, nei quali essa comunque rientri. Non è, infatti, in discussione che l’art. 69 c.p. imponga il giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti cfr. Sez. 5, n. 5728 del 18/02/1976, Rv. 133463 che ha affermato il principio anche nel caso in cui si tratti di circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o determina la misura della pena in modo autonomo da quella ordinaria del reato cfr. anche in senso conforme Sez. 5, n. 42267 del 9/5/2014, Naviglio, Rv. 262103 . Nessun dubbio può sussistere anche sulla illegittimità della pena che derivi da tale mancato giudizio di bilanciamento e che, in ragione di detta violazione di legge, sia stata calcolata operando la riduzione per l’effetto delle attenuanti generiche non già sulla misura edittale relativa all’ipotesi base del reato di furto - e cioè quella stabilita dall’art. 624 c.p. - bensì, come accaduto nel caso di specie, su quella dell’ipotesi pluriaggravata prevista dall’art. 625 c.p., comma 2. I giudici d’appello, come detto, hanno errato nel ritenere che tale violazione delle disposizioni sul calcolo della pena da irrogarsi in concreto - e la stessa discrasia tra dispositivo e motivazione - potesse essere superata dal fatto che la sanzione poi effettivamente inflitta rientrasse nel delta edittale legale previsto dall’art. 624 c.p., laddove, invece, si sarebbe dovuto dar corso ai poteri spettanti al giudice dell’impugnazione di merito ai sensi degli artt. 597 e 604 c.p.p. di rivalutare il calcolo errato secondo i corretti parametri legislativi, dando luogo al giudizio di bilanciamento cfr. Sez. 5, n. 31997 del 6/3/2018, Vannini, Rv. 273636, quanto alla necessità che in sede d’appello si sciolgano i difetti delle statuizioni di primo grado in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio . Deve affermarsi, dunque, il principio secondo cui l’art. 69 c.p. impone il giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, sicché, qualora la pena sia stata erroneamente determinata omettendo tale giudizio di bilanciamento ed operando la riduzione, per effetto delle attenuanti generiche, non già sulla misura edittale relativa all’ipotesi base del reato nel caso di specie quello di furto , bensì su quella dell’ipotesi aggravata, il giudice d’appello chiamato a pronunciarsi sulla relativa impugnazione deve dar luogo alla rivalutazione del procedimento commisurativo della sanzione, correggendo direttamente il calcolo. Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte d’Appello di Palermo, limitatamente al trattamento sanzionatorio, che andrà ricalcolato tenendo conto dei principi di diritto sinora esposti, nonché del divieto di reformatio in peius vertendosi in ipotesi di appello proposto dal solo imputato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo esame.