La reiterazione degli illeciti non è elemento sufficiente per la sussistenza della recidiva

Ai fini del riconoscimento della recidiva, il giudice deve verificare se la reiterazione dell’illecito è effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un’accresciuta pericolosità dell’autore, non limitandosi ad esaminare i fattori della condotta sottoposta a suo giudizio ma istituendo una relazione fra tali fattori e quelli del pregresso corredo penale del prevenuto.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16047/19, depositata il 12 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Palermo confermava la condanna inflitta ad un imputato, all’esito di giudizio abbreviato, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione contestando la ritenuta sussistenza della recidiva e l’esclusione delle attenuanti generiche, profilo quest’ultimo sottratto però al sindacato di legittimità. Recidiva. La Cassazione ritiene fondata la censura relativa alla mancanza di motivazione in ordine alla recidiva. I Giudici di merito avevano ritenuto sussistente la recidiva reiterata e specifica sulla base del mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti, senza fornire ulteriori elementi circa la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali ed il reato per cui è stata emessa condanna. Come precisa la sentenza, non è infatti sufficiente indicare la presenza dei precedenti penali, per altro senza alcuna indicazione della natura e dell’epoca dei reati per i quali era già intervenuta la condanna definitiva . Richiamando un precedente arresto delle Sezioni Unite sentenza n. 20798/11 , il Collegio ricorda che il giudizio sulla recidiva non attiene all’astratta pericolosità del soggetto o ad un suo status personale svincolato dal fatto reato, il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzare nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso . Evidenziando in conclusione le carenze motivazionali del provvedimento impugnato, la Corte annulla la sentenza limitatamente all’applicabilità della recidiva e rinvia per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Palermo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 marzo – 12 aprile 2019, n. 16047 Presidente Ramacci – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Palermo, con la sentenza del 17 aprile 2018, ha confermato la condanna inflitta a R.S. dal Tribunale di Palermo il 11 giugno 2015, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di mesi 10 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, commesso in omissis , ritenuta la recidiva reiterata specifica. 2. Il difensore di R.S. ha proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 17 aprile 2018. 2.1. Con il primo motivo, ex art. 606 c.p.p., lett. b ed e , si deducono i vizi di violazione dell’art. 99 c.p. e di illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza della recidiva. Nel ritenere la sussistenza della contestata recidiva la Corte di appello non avrebbe operato il reale e concreto accertamento dell’episodio delittuoso nè verificato se la reiterazione dell’illecito sia stata effettivo sintomo di maggiore pericolosità. Si assume quindi l’applicazione della recidiva in assenza di motivazione. Si esclude che il fatto oggetto del procedimento, se posto in relazione ai precedenti penali, sia indicativo di una maggiore pericolosità del ricorrente. 2.2. Con il secondo motivo, ex art. 606 c.p.p., lett. b ed e , si deducono i vizi di violazione dell’art. 62-bis c.p. e di illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto al rigetto della richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Dopo aver ricordato la ratio delle circostanze attenuanti generiche, si assume il vizio della motivazione perché la Corte di Appello avrebbe negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non ravvisando elementi agli atti che depongano in suo favore e non avendo con le sue dichiarazioni confessorie fornito una versione del fatto pienamente corrispondente alla realtà cfr. pago 2 sentenza . L’ammissione da parte del ricorrente della detenzione della sostanza stupefacente rinvenuta dalla polizia giudiziaria non è stata ritenuta elemento sintomatico di resipiscenza tale da giustificare la concessione delle circostanze generiche invocate. Tale giudizio sarebbe però superficiale e infondato perché non sarebbe stato valutato che il ricorrente avrebbe ammesso la disponibilità della sostanza stupefacente rinvenuta in un luogo di sua non esclusiva pertinenza ed anche specificato che la sostanza era destinata ad essere ceduta, anche se parzialmente, a terzi. Il comportamento tenuto dall’imputato nell’immediatezza del fatto e la successiva piena assunzione di responsabilità per il fatto commesso, sulla quale non vi è stata impugnazione, costituirebbero una manifestazione di reale resipiscenza. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo è manifestamente infondato. 1.1. Correttamente la Corte di appello ha rigettato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche prendendo in esame i precedenti penali e ritenendo che la confessione resa fosse solo parziale, limitata alla detenzione, ma non chiaramente alla cessione a terzi. Nella parte della ricostruzione del fatto, la Corte territoriale ha infatti rilevato che l’imputato aveva ammesso di aver acquistato lo stupefacente per uso personale e per farne uso insieme agli amici. 1.2. Tale motivazione è del tutto aderente ai principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione. Si è affermato cfr. Cass. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269 , in tema di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. Ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla capacità a delinquere del colpevole o alla gravità del reato può essere sufficiente in tal senso così Cass. sez. 2, n. 3609 del 18.1.2011, Sermone, rv. 249163 Cass. sez. 6, n. 7707 del 4.12.2003, Anaclerio, rv. 229768 . Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. 1.3. Quanto poi al contenuto delle dichiarazioni dell’imputato, deve rilevarsi che il ricorrente, per contestare specificamente l’eventuale travisamento della prova, avrebbe dovuto trascrivere il contenuto dell’interrogatorio o dell’esame dell’imputato o allegare il verbale delle dichiarazioni. Tale onere non è stato adempiuto, con conseguente inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza e per genericità cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994 . 2. È fondato il primo motivo di ricorso, dovendo ritenersi mancante la motivazione sulla recidiva. 2.1. La sentenza di primo grado ha ritenuto sussistente la recidiva reiterata e specifica, con una motivazione apparente, limitata all’affermazione che, i diversi precedenti penali, anche specifici, del R. sono espressione di una sua maggiore pericolosità e colpevolezza . 2.2. Con l’atto di appello era stata specificamente contestata l’applicazione della recidiva richiamando i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 27 maggio 2010, n. 35738, e confutando la legittimità dell’applicazione ove fosse stato dato rilievo al mero dato oggettivo della reiterazione degli illeciti. 2.3. La Corte di appello ha ritenuto sussistente la recidiva con la seguente argomentazione Orbene, per quanto concerne la recidiva si tratta di specifica e reiterata e che costituisce elemento atto a individuare una propensione dell’imputato a delinquere soprattutto in tema di reati concernenti le sostanza stupefacenti, per cui non appare possibile escluderla . Di fronte alla motivazione apparente della sentenza di primo grado ed allo specifico motivo di appello, la Corte di appello non poteva limitarsi ad affermare l’inesistenza di elementi per escludere la sussistenza della recidiva ma avrebbe dovuto procedere alla verifica della sussistenza della relazione qualificata tra i precedenti penali ed il reato per cui è stata emessa la condanna. Non è infatti sufficiente indicare la presenza dei precedenti penali, per altro senza alcuna indicazione della natura e dell’epoca dei reati per i quali era già intervenuta la condanna definitiva. La motivazione è poi apparente laddove si afferma che ciò dimostra la propensione a delinquere, mancando chiari riferimenti ai precedenti penali ed alla loro relazione con il fatto per cui si procede. 2.4. Va rilevato che, a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità dell’art. 99 c.p., comma 5, nei casi di recidiva l’applicazione dipende non solo dalla presenza di precedenti condanne riportate dall’imputato ma anche dalla relazione qualificata tra il reato per cui si procede ed i precedenti penali, sicché ove tale relazione manchi, il giudice può escludere la recidiva. Come hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20798 del 24/02/2011, il giudizio sulla recidiva non riguarda l’astratta pericolosità del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato. Il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva - sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale - quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo - in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 c.p. - sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. 2.5. Il tempo decorso tra le precedenti condanne ed il nuovo reato è indubbiamente un indice di valutazione della relazione qualificata. In tal senso si veda Cass. Sez. 6, n. 34670 del 28/06/2016, Cascone, Rv. 267685 - 01, che ha affermato che in tema di recidiva reiterata, prevista dall’art. 99 c.p., comma 5 in relazione alla commissione dei reati di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a , alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 2015, l’aumento di pena apportato per la recidiva non può essere legato esclusivamente al dato formale del titolo di reato, ma presuppone un accertamento della concreta significatività del nuovo episodio in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, avuto altresì riguardo ai parametri di cui all’art. 133 c.p., sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Come affermato da Cass. Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017 , Del Chicca, Rv. 270419 - 01, in motivazione, lo sforzo dimostrativo del giudicante dovrà essere indirizzato alla verifica, in relazione a ciascuna fattispecie concreta, e soprattutto in base ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., della circostanza se la reiterazione del reato, da parte di chi abbia già subito una o più condanne, esprima o meno una criminosità più accentuata a tale fine il giudice dovrà condurre il suo esame sul rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e la condanna o le condanne precedenti, per accertare se, ed eventualmente in quale misura, la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una persistenza di stimoli criminogeni e, quindi, di una perdurante inclinazione al delitto la quale abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione della nuova condotta attualmente sub iudice. Il giudice, onde verificare se la reiterazione dell’illecito sia effettivamente sintomatica di una maggiore riprovevolezza della condotta e di un’accresciuta pericolosità del suo autore, non dovrà limitarsi ad esaminare i fattori significativi della condotta sottoposta in quel momento al suo giudizio, ma dovrà istituire una relazione fra tali fattori e quelli rivenienti dal pregresso corredo penale del prevenuto, esaminando dialetticamente gli uni con gli altri, onde accertare se – in ragione della natura dei distinti reati commessi, del tipo di devianza di cui essi sono espressione e della eventuale omogeneità di essa, della qualità e del grado di offensività da essi dimostrato, della maggiore o minore distanza temporale intercorsa fa un fatto e l’altro nonché della occasionalità della ricaduta nel delitto ovvero della sua rispondenza, una volta comparati i nuovi fatti con quelli precedentemente commessi, a criteri di sostanziale sistematicità - sia possibile esprimere, correlando i fatti del passato con quelli attualmente sottoposti al suo scrutinio, l’esistenza di un legame fra di essi, tale da far ritenere accentuata, proprio in ragione delle inefficaci risposte soggettive del prevenuto alla comminatoria penale, una più intensa pericolosità in capo al soggetto in quel momento giudicando. 3. Pertanto, va annullata la sentenza impugnata nei confronti di R.S. limitatamente alla ritenuta sussistenza della recidiva e con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Poiché l’impugnazione ha avuto ad oggetto solo l’applicazione della recidiva e delle circostanze attenuanti generiche, deve dichiararsi irrevocabile l’affermazione di responsabilità di R.S. in ordine al reato a lui ascritto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità della recidiva e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.