Gli Ermellini tornano sulla punibilità dell’omesso versamento IVA in caso di crisi finanziaria dell’impresa

In tema di omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, la giurisprudenza ha riconosciuto una causa di esclusione dell’elemento soggettivo del reato in caso di difficoltà o crisi finanziaria dell’impresa, previa dimostrazione che tale situazione non è addebitabile all’imputato e che non era possibile fronteggiare la crisi con misure idonee.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16035/19, depositata il 12 aprile. La vicenda. Il titolare di un’impresa individuale veniva condannato in prime e seconde cure per l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto per un importo superore ad euro 375mila, dovuta in base alla dichiarazione annuale 2011. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione dolendosi per l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in quanto aveva sottoscritto un contratto di mutuo proprio allo scopo di poter reperire le risorse finanziarie necessarie per provvedere al versamento dell’importo dovuto, autodenunciandosi agli uffici finanziari ai quali aveva chiesto una rateizzazione della cifra dovuto. Deduce inoltre il ricorrente l’erronea applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per un anno. Sussistenza del reato. L’art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000 punisce chi non versa l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il reato si consuma nel momento in cui scade tale termine e ciò che rileva è quindi, l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento, rimanendo prive di rilevo, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme relative alle prestazioni effettuati sia la condotta successiva dell’obbligato, stente la natura di reato omissivo proprio a consumazione istantanea. L’elemento soggettivo del reato deve dunque essere ricondotto alla consapevolezza di omettere il versamento a prescindere dagli indebitamenti e dalle eventuali condotte successive. Lo stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell’impresa è stato riconosciuto dalla giurisprudenza come causa di assoluta impossibilità di provvedere al pagamento previa dimostrazione della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e dell’impossibilità di fronteggiare la crisi tramite misure idonee. In conclusione, risultando la pronuncia impugnata coerente con i principi richiamati, la Corte rigetta il ricorso. Annulla invece la sentenza limitatamente alla determinazione della durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici determinata nel massimo edittale previsto dall’art. 12 d.lgs. n. 74/2000. I giudici del rinvio dovranno rideterminare la durata dell’interdizione in misura adeguata alla gravità del fatto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 ottobre 2018 – 12 aprile 2019, n. 16035 Presidente Lapalorcia – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 novembre 2017 la Corte d’appello di Palermo ha confermato, rigettando l’impugnazione dell’imputato, la sentenza del 20 ottobre 2015 del Tribunale di Trapani, con cui T.S. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000 ascrittogli per avere, quale titolare dell’impresa individuale denominata Europol di T.S. , omesso di versare, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto per un ammontare di Euro 375.690,00, dovuta in base alla dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2011 , venendo così condannato alla pena di mesi quattro di reclusione e interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un anno. 2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo. Ha lamentato la violazione e l’errata applicazione dell’art. 192 c.p.p. e l’insufficienza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, non essendo stato adeguatamente considerato che nel 2013 aveva stipulato un contratto di mutuo proprio allo scopo di reperire le risorse finanziarie necessarie per poter provvedere al pagamento della imposta sul valore aggiunto non versata, e che si era autodenunciato agli uffici finanziari, ai quali aveva chiesto di poter versare ratealmente l’imposta dovuta, ai sensi della L. n. 98 del 2013, provvedendo anche al versamento della prima rata, dell’ammontare di Euro 45.000,00, cosicché doveva essere esclusa la volontarietà della omissione contestatagli. Ha, inoltre, eccepito la mancata considerazione dei propri crediti d’imposta, pari a complessivi Euro 198.872,00, riconosciuti dalla Regione Sicilia, e anche del fatto che solamente a far tempo dall’anno 2013 era stata consentita la fatturazione differita per le prestazioni di servizi quali quelli di vigilanza forniti nel territorio delle Province di Palermo e Trapani dalla Europol di T.S. , cosicché il riferimento della Corte territoriale a tale possibilità risultava erroneo e improprio. Ha lamentato anche l’eccessività della durata della pena accessoria della interdizione dagli uffici direttive delle persone giuridiche e delle imprese, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12, comma 1, lett. a , stabilita in un anno dal primo giudice e confermata dalla Corte d’appello, sulla base dell’erroneo rilievo del superamento di quindici volte la soglia di punibilità vigente all’epoca dei fatti, benché in realtà tale soglia fosse stata superata solamente di sette volte e mezza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato solo per quanto riguarda la determinazione della durata della pena accessoria della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. 2. Le doglianze in ordine alla affermazione di responsabilità, per l’insufficiente considerazione sia di quanto compiuto dall’imputato per reperire le risorse per pagare le imposte dovute dalla propria impresa, attivazione che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a escludere l’elemento soggettivo del reato contestato, sia dei crediti di imposta riconosciuti all’imputato dalla Regione Sicilia, non sono fondate. Va ricordato che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto prevede come reato il fatto di chi non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. Il reato si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo ciò che rileva è, quindi, l’indicazione nella dichiarazione di un debito d’imposta e l’inadempimento alla conseguente e corrispondente obbligazione di pagamento, rimanendo prive di rilievo, ai fini della configurabilità del reato, sia l’effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate tranne i casi di applicabilità del regime di Iva per cassa , cfr. Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069 Sez. 3, n. 19099 del 06/03/2013, Di Vora, Rv. 255327 , sia la condotta successiva dell’obbligato, stante la natura del reato, che è omissivo proprio a consumazione istantanea. Per la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, è, quindi, sufficiente, stante l’evidenziata struttura della fattispecie, la consapevolezza di omettere il versamento dell’imposta dovuta sulla base della dichiarazione annuale presentata dall’obbligato, come avvenuto nel caso in esame, a prescindere dagli intendimenti e dalle condotte successive del debitore, posto che ciò che determina la configurabilità del reato è quanto emergente dalla dichiarazione annuale e l’inadempimento alla scadenza della obbligazione tributaria dalla stessa risultante. Quanto alla incidenza dello stato di difficoltà o di crisi finanziaria dell’impresa obbligata al pagamento dell’imposta, va ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte in proposito, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorrono l’allegazione e la prova della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia conseguita tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190 Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128 Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262 . Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128 conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055 Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014 . 3. Nel caso in esame il ricorrente, oltre a chiedere una non consentita valutazione di nuovi elementi di prova, avendo allegato al ricorso per cassazione il contratto di mutuo concluso nel 2013 per reperire le risorse finanziarie necessarie a consentirgli di provvedere al pagamento dell’imposta sul valore aggiunto non versata, ha ribadito in modo generico di essersi trovato in una condizione di impossibilità assoluta di versare le imposte dovute e di aver adottato tutte le misure a sua disposizione per tentare di provvedervi. Tale allegazione risulta, tuttavia, generica, non essendo stato dedotto alcunché di specifico circa la situazione patrimoniale e finanziaria, sia dell’impresa dell’imputato, sia personale di quest’ultimo avente rilievo trattandosi di impresa individuale , se non, genericamente, il mancato pagamento di prestazioni eseguite a favore di non meglio precisati soggetti pubblici, che non consente, di per sé sola, di ravvisare la suddetta situazione di assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, nè di escludere la volontarietà della condotta. A fronte di ciò risulta irrilevante la dedotta erroneità del riferimento alla possibilità di avvalersi della fatturazione e riscossione differita dell’imposta sul valore aggiunto, introdotta nel 2013, posto che non è contestato il dato dell’ammontare dell’imposta dovuta e non versata e che non sono stati ravvisati elementi per poter ritenere tale inadempimento dovuto a uno stato di oggettiva e assoluta impossibilità, non imputabile all’obbligato. La Corte territoriale ha, poi, correttamente evidenziato la mancata dimostrazione della attivazione del ricorrente per riscuotere i crediti non onorati, o del ricorso al finanziamento bancario di cui solo con il ricorso per cassazione, inammissibilmente, è stata tentata la dimostrazione, benché nel giudizio di legittimità non possano essere prodotti documenti che costituiscano nuova prova e comportino un’attività di apprezzamento, circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito, cfr. Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390 - 01 Sez. 3, n. 20885 del 15/04/2015, Calò, Rv. 264096 - 01 Sez. 3, n. 27417 del 01/04/2014, C., Rv. 259188 - 01 Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 11/01/2013, Platamone, Rv. 254302 - 01 Sez. 3, n. 8996 del 10/02/2011, P., Rv. 249614 - 01 , cosicché risulta corretta e immune da vizi logici o da violazioni di legge l’esclusione da parte della Corte d’appello del suddetto stato di assoluta impossibilità e della non volontarietà della condotta. Anche il riferimento al riconoscimento, da parte della Regione Sicilia, di crediti d’imposta, peraltro non del tutto perspicuo, risulta, in ragione della diversità del soggetto creditore dell’imposta sul valore aggiunto, priva di rilievo, come pure l’intenzione del ricorrente di beneficiare di una rateazione del pagamento dell’imposta dovuta, anch’essa priva di incidenza sulla realizzazione e sulla volontarietà della condotta. La doglianza in ordine alla affermazione di responsabilità del ricorrente risulta, in definitiva, infondata, risultando immuni da vizi logici le affermazioni della Corte d’appello circa l’insussistenza di uno stato di assoluta e oggettiva impossibilità e della volontarietà della condotta omissiva contestata. 4. La doglianza in ordine alla durata della pena accessoria è fondata essendo la relativa determinazione in un anno a fronte della previsione normativa di durata da un minimo di sei mesi ad un massimo di un anno basata sull’erroneo presupposto del mancato versamento dell’IVA per un ammontare superiore di quindici volte alla soglia di punibilità all’epoca vigente. Sul punto la sentenza impugnata merita quindi annullamento con rinvio per la rideterminazione della durata della pena accessoria, nell’ambito dell’intervallo temporale previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12, in misura adeguata alla effettiva gravità del fatto. 5. Il rigetto nel resto del ricorso comporta la definitività dell’affermazione di responsabilità dell’imputato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della durata della pena accessoria della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.