La natura plurioffensiva dell’esercizio abusivo di intermediazione finanziaria

Il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria integra un reato di pericolo volto a tutelare il corretto svolgimento, nell’interesse degli investitori, dei mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 15826/19, depositata il 10 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Messina, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava la prescrizione del reato di svolgimento dell’attività di promotore finanziario senza autorizzazione ed assolveva l’imputata del reato di truffa per aver indotto in maniera artificiosa persone ad investimenti finanziari. Confermava invece la statuizioni civili in relazione al reato dichiarato prescritto. Il difensore dell’imputata, avverso tale decisione propone ricorso per cassazione denunciando violazione di legge, in quanto la promozione dei suddetti investimenti non sarebbe attività di promozione finanziaria soggetta ad autorizzazioni. I requisiti del reato. Innanzitutto occorre premettere che il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria presenta una natura plurioffensiva volta a proteggere non solo l’interesse pubblico alla tutela della concorrenza e del risparmio, ma anche quello alla sicura professionalità dei soggetti cui si rivolgono, i privati investitori che sono legittimati a costituirsi parte civile. Particolarmente incisivo, dunque, deve essere l’accertamento del danno concreto arrecato ai clienti dalla condotta criminosa. A tal riguardo, la Corte territoriale legittimamente riteneva che la raccolta di risparmio finalizzato all’investimento, come avvenuto nel caso in esame, integrasse il reato contestato, tenendo conto dell’irrilevanza rispetto alla condotta illecita delle modalità di regolamentazione del mercato in cui il risparmio abusivamente raccolto doveva essere reinvestito.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 marzo – 10 aprile 2019, n. 15826 Presidente Gallo – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Messina riformando la sentenza del Tribunale dichiarava la prescrizione del reato di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 166, svolgimento dell’attività di promotore finanziario senza autorizzazione ed assolveva la ricorrente dal reato di truffa in relazione alla contestazione di condotte artificiose volte ad indurre le persone offese ad investire nel mercato Forex . Confermava le statuizioni civili in relazione al reato dichiarato prescritto. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione primo e terzo motivo la promozione di investimenti nel mercato Forex non sarebbe attività di promozione finanziaria soggetta alle autorizzazioni essendo l’attività della Forex diretta agli investimenti e non agli scambi valutari , sarebbe dunque illegittima la conferma della responsabilità che sostiene la condanna alle statuizioni civili si deduceva con il terzo motivo I mancata valutazione degli argomenti proposti con l’atto di appello. 2.2. Vizio di motivazione in relazione all’accertamento di responsabilità la sentenza impugnata non darebbe conto dell’esistenza dell’elemento soggettivo e non dimostrerebbe la colpevolezza della ricorrente. Considerato in diritto 1. Il ricorso, diretto a contestare la condanna alle statuizioni civili, è inammissibile. 1.1. Si premette che il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria ha natura plurioffensiva e protegge, pertanto, non solo l’interesse pubblico alla tutela della concorrenza, del risparmio e dei mercati finanziari, ma anche quello alla sicura professionalità dei soggetti cui si rivolgono, per le loro operazioni sui mercati mobiliari, i privati investitori, i quali sono, quindi, legittimati a costituirsi parte civile dovendosi, peraltro, considerare che il danno patrimoniale subito dai clienti del promotore abusivo è estraneo alla struttura del reato in questione e che, pertanto, particolarmente incisivo deve essere l’accertamento del danno concreto arrecato ai clienti dalla condotta criminosa, eventualmente anche solo in relazione ai danni morali Sez. 5, n. 28157 del 03/02/2015 - dep. 02/07/2015, P.C. in proc. Lande, Rv. 264914 . 1.2. Tanto premesso il collegio rileva che tutti i motivi proposti sono inammissibili. 1.2.1. Il primo motivo che ritiene che l’abuso contestato non sia perseguibile se finalizzato a colpire attività dirette all’investimento nel mercato deregolamentato denominato Forex è manifestamente infondato. Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il presidio penale è funzionale a garantire la professionalità delle persone che gestiscono gli investimenti dei risparmiatori in qualunque mercato, tutelando sia l’interesse delle agenzie di investimento ad una concorrenza regolare, sia quello degli investitori, nulla rilevando che il denaro raccolto sia destinato ad un mercato deregolamentato e rischioso come quello denominato Forex. Sul punto il collegio ribadisce che integra il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria la conclusione di contratti aventi ad oggetto operazioni su strumenti finanziari per conto dei clienti sottoscrittori, percependo le somme destinate a tali fini, dovendosi intendere per investimento di natura finanziaria ogni conferimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore con un’aspettativa di profitto o remunerazione ovvero di utilità, unita ad un rischio, a fronte delle disponibilità impiegate in un dato intervallo temporale. Né rileva, a tal fine, l’effettivo impiego di quanto versato dal cliente nello strumento finanziario prospettato dal promotore abusivo che costituisce un r estraneo alla struttura del reato in questione Sez. 5, n. 28157 del 03/02/2015 - dep. 02/07/2015, P.C. in proc. Lande, Rv. 264916 . Il reato di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria integra infatti un reato di pericolo che tutela il corretto svolgimento, nell’interesse degli investitori, dei mercati mobiliari per il tramite di operatori abilitati, garantendo, da un lato, nell’interesse del mercato, l’esclusione della concorrenza di intermediari non abilitati, dall’altro assicurando agli investitori l’affidabilità di soggetti che operano professionalmente in tale settore è un reato eventualmente permanente in quanto la sua consumazione si protrae per tutto il tempo in cui il soggetto privo della necessaria legittimazione pone in essere atti tipici della funzione di intermediazione finanziaria idonei a porre in pericolo i beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, potendo rimuovere la situazione antigiuridica e determinare la riespansione del bene protetto Sez. 5, n. 28157 del 03/02/2015 - dep. 02/07/2015, P.C. in proc. Lande, Rv. 264917 . La Corte territoriale, in coerenza con tali consolidate indicazioni ermeneutiche, riteneva legittimamente che la raccolta di risparmio finalizzato all’investimento e integrasse il reato contestato, tenuto conto della irrilevanza rispetto alla condotta illecita delle modalità di regolamentazione del mercato nel quale il risparmio abusivamente raccolto doveva essere reinvestito. 1.2.2. Il secondo ed il terzo motivo che contesto rispettivamente il riconoscimento dell’elemento soggettivo del reato contestato e la consistenza della motivazione sono inammissibili in quanto generici. Si ribadisce che secondo l’orientamento della Corte di cassazione, che il collegio condivide, per l’appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581, comma 1, lett. c , e art. 591, comma 1, lett. c del codice di rito comporta la inammissibilità dell’impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l’atto individui il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame Cass. Sez. 6 sent. 13261 del 6.2.2003, dep. 25.3.2003, rv 227195 Cass. sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Rv. 241477 Cass. sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, Cass. sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Rv. 251528 . Peraltro, in materia, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato Sez. un n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822 . Nel caso di specie i motivi in esame non presentano il tasso di specificità necessario per superare il vaglio di ammissibilità risolvendosi in censure generiche e reiterative delle doglianze già avanzate con la prima impugnazione. 2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 2000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.