Le limitazioni inerenti al regime detentivo speciale

In presenza di comprovate esigenze di ordine e di sicurezza pubblica può darsi luogo, per i sottoposti al regime speciale di detenzione, alla riduzione della permanenza all’aperto per una durata non superiore a due ore al giorno, fermo restando che tale limite non si riferisce all’istituto della socialità avendo quest’ultimo finalità differenti rispetto all’istituto della permanenza all’aria aperta mentre col primo si perseguono obiettivi culturali e relazionali, il secondo è teso a garantire il diritto alla salute psico-fisica del detenuto.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 15572/19, depositata il 9 aprile. Il restringimento dei diritti dei detenuti. La sentenza in commento affronta il delicato profilo del restringimento, in quanto ad estensione e portata, dei diritti dei detenuti. A tutela di rilevanti interessi quali l’umanità della pena, la funzione rieducativa nonché il diritto alla salute del detenuto, delle limitazioni dell’ordinario regime detentivo possono giustificarsi solo in presenza di situazioni di emergenza o esigenze di ordine inerenti alla custodia in carcere. Tale principio è stato a più riprese enunciato dalla Corte Costituzionale, la quale ha rimarcato la necessità che qualunque limitazione dei diritti dei detenuti risponda a specifiche esigenze di sicurezza pubblica, altrimenti acquistando unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto a quello della libertà personale, non compatibile con la funzione rieducativa della pena costituzionalmente garantita. Con riferimento al regime detentivo speciale, specifiche limitazioni sono previste dall’art. 41 bis in relazione periodo di permanenza giornaliera all’aria aperta, che, per ragioni attinenti alla sicurezza pubblica, può essere ridotto per una durata non superiore a due ore. La riduzione dell’orario di permanenza all’aperto tesi difensiva. Il provvedimento impugnato dalla Casa circondariale di Sassari riguardava un reclamo proposto da un detenuto – ed accolto prima dal Magistrato per poi essere confermato dal Tribunale di Sorveglianza – riguardante la disapplicazione del regolamento interno dell’istituto, nella parte in cui prevedeva il limite massimo di due ore al giorno di permanenza fuori dalla cella e la forzata rinuncia alla fruizione delle sale di socializzazione nel caso di permanenza all’aperto di due ore. Secondo la tesi difensiva, il Tribunale aveva errato nell’interpretare la norma relativa alla riduzione della permanenza d’aria per il regime detentivo speciale, in combinato disposto con la previsione dei limiti minimi di permanenza all’aperto, la quale avrebbe introdotto un limite orario massimo di fruizione dei periodi da trascorrere all’aria aperta e in sala socialità. Pertanto, dal fatto che dalla suddetta disapplicazione discendesse che il reclamante potesse beneficiare di un massimo di due ore all’aria aperta, nel quale non potevano essere compresi i periodi di socialità, ne discendeva una violazione di legge del provvedimento impugnato. Nella durata di permanenza all’aperto vanno escluse le ore di socialità. La Suprema Corte riteneva il ricorso infondato, sul presupposto che il provvedimento impugnato traesse fondamento da una lettura ineccepibile delle norme in questione, dalle quali poteva soltanto desumersi che la permanenza all’aperto del detenuto in regime detentivo speciale non possa essere superiore a due ore al giorno, nelle quali vanno escluse le frazioni orarie trascorse nelle sale di socialità dell’istituto penitenziario. Le ragioni a fondamento di tale tesi sono molteplici in primo luogo, la previsione che consente di ridurre ad un massimo di due ore giornaliere il periodo di permanenza all’aperto nulla dispone in ordine ad eventuali limitazioni all’attività di socialità svolta fuori cella in secondo luogo, la ricomprensione dell’ora di socialità all’interno delle due ore di permanenza all’aperto non appare armonica con le finalità, tra loro eterogenee, alle quali rispondono gli istituti della socialità e della permanenza negli spazi aperti, posto che nel primo caso si perseguono obiettivi relazionali e culturali non riscontrati nella seconda ipotesi ove ciò che viene garantito è il diritto alla salute psico-fisica del detenuto. Inoltre, l’eventuale restringimento della durata di permanenza all’aperto può essere disposto solo qualora sussistano motivi eccezionali” che si sostanzino in ragioni di ordine e pubblica sicurezza tali ragioni dovranno essere adeguatamente motivate nel relativo provvedimento, non essendo possibile presumerle nei confronti del singolo detenuto sulla base del solo decreto ministeriale di applicazione del regime detentivo speciale nel singolo istituto penitenziario.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 febbraio – 9 aprile 2019, n. 15572 Presidente Iasillo – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Sassari rigettava il reclamo proposto congiuntamente dalla Casa circondariale di e dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria avverso l’ordinanza emessa dal Magistrato di sorveglianza di Sassari il 06/04/2008 con cui - in accoglimento del reclamo proposto da P.A. , che era sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. - era stata disposta la disapplicazione del regolamento interno di istituto, nella parte in cui prevedeva il limite massimo di due ore al giorno di permanenza fuori dalla sua cella e la forzata rinuncia alla fruizione delle sale di socializzazione in caso di permanenza all’aperto di due ore. Per effetto di tali statuizioni, il Magistrato di sorveglianza di Sassari - previa disapplicazione del decreto ministeriale di applicazione del regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis, e di ogni altra disposizione amministrativa eventualmente difforme - ordinava alla direzione della Casa circondariale di di consentire a P. di usufruire di due ore giornaliere di permanenza in spazi aperti, senza comprendere in tale frazione temporale l’ora di socialità fruita nei locali interni. 2. Avverso tale ordinanza la Casa circondariale di e il Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, ricorrevano per cassazione, deducendo la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che la decisione in esame aveva eluso i limiti orari tassativi previsti per i soggetti sottoposti al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., che dovevano ritenersi contenuti entro il limite massimo giornaliero di due ore. Si deduceva, in proposito, che il provvedimento impugnato non poteva trovare il suo fondamento nella previsione dell’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , Ord. Pen. - che prevede la limitazione della permanenza all’aperto, che non può svolgersi in gruppi superiori a quattro persone, ad una durata non superiore a due ore al giorno fermo restando il limite minimo di cui all’art. 10, comma 1, - atteso che tale disposizione stabilisce un limite massimo, mentre l’oggetto del reclamo censurato riguardava il limite minimo di permanenza all’aperto. Né appariva corretto il riferimento effettuato dal Tribunale di sorveglianza di Sassari alla previsione dell’art. 10 Ord. Pen., così come richiamato dall’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , Ord. Pen., atteso che tale richiamo riguardava l’intero contenuto del limite, comprensivo non solo del dato temporale ma anche delle cautele sostanziali e procedimentali , previste dal secondo periodo della stessa disposizione. Ne discendeva che la lettura armonica delle disposizioni di cui agli artt. 10 e 41 bis Ord. Pen. imponeva di ribadire che tali previsioni introducevano un limite orario massimo di fruizione dei periodi da trascorrere all’aria aperta e in sala di socialità, unitariamente intesi, stabilito in due ore, che il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva eluso sulla base di un’erronea interpretazione delle norme sopra richiamate, senza considerare che i due istituti rispondevano a esigenze di politica criminale che andavano armonizzate alla luce della condizione di soggetto sottoposto al regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. patita da P. . Queste ragioni imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. I ricorsi proposti congiuntamente dalla Casa circondariale di e dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria sono infondati. 2. Occorre premettere che il provvedimento genetico, emesso dal Magistrato di sorveglianza di Sassari il 06/04/2008, sul reclamo proposto da P.A. , riguardava la disapplicazione del regolamento interno di istituto, nella parte in cui prevedeva il limite massimo di due ore giornaliere di permanenza fuori dalla cella e la rinuncia forzata all’uso delle sale di socializzazione nel caso di fruizione di due ore di permanenza all’aperto. Da tale disapplicazione discendeva che il reclamante aveva il diritto di beneficiare di un massimo di due ore all’aria aperta, nel quale non potevano essere compresi i periodi di socialità trascorsi nei locali interni della stessa struttura penitenziaria. Tale provvedimento trae il suo fondamento da una lettura ineccepibile del combinato disposto dell’art. 10, comma 1, e art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , Ord. Pen., per effetto del quale la permanenza all’aperto del detenuto sottoposto al regime detentivo speciale non può essere superiore a due ore al giorno e in gruppi di non più di quattro persone, nelle quali non possono essere comprese le frazioni orarie trascorse nelle sale di socialità dell’istituto penitenziario. Osserva, in proposito, il Collegio che, nel dettare tale disciplina, il legislatore italiano intende riferirsi alla permanenza del detenuto all’aperto e non già al suo stazionamento fuori dalla cella dove è ristretto ma all’interno dell’istituto penitenziario. Sul punto, non si può che richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui In tema di condizioni di detenzione la permanenza all’aperto , prevista dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 10, non può consistere in una mera permanenza al di fuori della cella nella specie nelle sale di biblioteca, palestra ecc. , dovendo essa svolgersi, secondo la previsione del D.P.R. 6 settembre 2000, n. 230, art. 16, all’aria aperta Sez. 1, n. 44609 del 27/06/2018, C., Rv. 274026 . D’altra parte, il silenzio dell’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , Ord. Pen. in ordine alle limitazioni all’attività di socialità svolta fuori dalla cella ma all’interno della struttura penitenziaria non può che interpretarsi nel senso dell’espansione, sul punto, della disciplina ordinaria, le cui regole sono finalizzate a garantire l’umanità della pena, ad assicurare la funzione rieducativa del trattamento sanzionatorio e a impedire la compressione del diritto alla salute del detenuto, non giustificata da effettive e comprovate ragioni di sicurezza. Né può essere interpretato nella direzione invocata dalla disposizione in esame il secondo periodo dello stesso art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , che non fa alcun riferimento alle attività di socialità in questione, limitandosi ad affermare Saranno inoltre adottate tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti e cuocere cibi . Occorre, al contempo, evidenziare che la ricomprensione dell’ora di socialità all’interno delle due ore di permanenza all’aperto non appare armonica con le finalità, tra loro eterogenee, alle quali rispondono gli istituti della socialità e della permanenza negli spazi aperti, atteso che nel primo caso si perseguono obiettivi culturali e relazionali non riscontrabili nel caso della permanenza all’aperto, che risponde alla diversa esigenza di garantire il diritto alla salute psico-fisica del detenuto. Questa Corte, del resto, ha già affermato che gli istituti della socialità e della permanenza negli spazi aperti non possono essere assimilati sul piano delle esigenze di politica criminale che vi sono sottese, anche alla luce del dato letterale, che rimanda all’aria aperta e non certo alla presenza fuori dalla camera di detenzione, oltre che dall’argomento sistematico costituito dal fatto che l’art. 10 Ord. Penit., che costituisce chiaramente la norma generale di riferimento, definisce la permanenza all’aperto come permanenza all’aria aperta, come chiarito anche dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 16, che a tale disposizione dà attuazione, prevedendo, al comma 2, che in quei frangenti vengano utilizzati spazi all’aperto , se possibile non interclusi tra fabbricati, ma in luoghi maggiormente esposti all’aria e alla luce, venendo la permanenza assicurata per periodi adeguati, anche attraverso le valutazioni dei servizi sanitario e psicologico Sez. 1, n. 44609 del 27/06/2018, C., cit. . In altri termini, la previsione dell’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. f , Ord. Pen. non giustifica un’equiparazione tra la permanenza del detenuto all’interno della struttura carceraria per finalità di socialità e la sua permanenza all’aperto, in ragione del fatto che, come evidenziato dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 4 del provvedimento impugnato, tale equiparazione comprime il diritto alla salute e al benessere psicofisico senza ragione , non comportando alcun incremento alla sicurezza o alla prevenzione dei rapporti intramurari tra soggetti sottoposti al regime detentivo speciale. 2.1. A tali considerazioni occorre aggiungere che la soluzione ermeneutica seguita nel caso in esame dal Tribunale di sorveglianza di Sassari appare conforme al principio, espresso dalla Corte costituzionale, secondo cui l’estensione e la portata dei diritti dei detenuti può subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze di sicurezza inerenti alla custodia in carcere , con la conseguenza che in assenza di tali esigenze, la limitazione acquisterebbe unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27 Cost., comma 3, Corte. Cost., sent. n. 135 del 2013 . Ne discende che la compressione di un diritto, quale quello alla salute del detenuto, può essere giustificato soltanto in quanto corrisponda a una maggiore tutela accordata a un interesse sovraordinato, quale quello dell’ordine e della sicurezza pubblica. La ricorrenza di tali sovraordinate esigenze di tutela veniva correttamente esclusa dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, avuto riguardo al fatto che alle limitazioni poste alla fruizione del periodo all’aria aperta non corrispondeva un incremento della tutela assicurata alle esigenze di ordine e sicurezza pubblica, posto che l’ammissione all’aria aperta di P. sarebbe comunque avvenuta con le medesime persone con cui il detenuto avrebbe fruito dell’ora di socialità, con le quali avrebbe potuto comunicare liberamente. Queste conclusioni, naturalmente, non comportano che, che in caso di comprovate esigenze di ordine e sicurezza pubblica, non possa farsi luogo, per tale categoria di detenuti, alla riduzione della durata della permanenza all’aria aperta. Tuttavia, in questi casi, la relativa limitazione deve conseguire all’adozione di un provvedimento motivato della direzione dell’istituto penitenziario, che dia adeguatamente conto dei motivi eccezionali richiesti dall’art. 10, comma 1, Ord. Pen., i quali non potranno essere desunti presuntivamente nei confronti del singolo detenuto, sulla base del solo decreto ministeriale di applicazione regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis Ord. Pen 3. Per queste ragioni, i ricorsi proposti congiuntamente dalla Casa circondariale di e dal Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, devono essere rigettati, senza che a tali statuizioni consegua la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali Sez. U, n. 3775 del 21/12/2017, dep. 2018, Tuttolomondo, Rv. 271650 . P.Q.M. Rigetta i ricorsi.