Possesso di carte di credito clonate, “non inizializzate”: punibilità ridotta

L’installazione, all’interno del sistema bancomat, di scanner per banche magnetiche per la raccolta e la memorizzazione di dati preordinate ad intercettare comunicazioni relative al sistema informatico integra il reato - di pericolo - di falsificazione dei mezzi elettronici di pagamento e di prelievo, reato che si pone, in termini prodromici e strumentali rispetto alla clonazione cui pure è finalizzato.

Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15665/19, depositata in cancelleria il 9 aprile. Carte quasi del tutto clonate. Nel caso di specie, tre uomini e una donna sono stati colti in possesso di 17 supporti di plastica con banda magnetica contraddistinti da cifre alfanumeriche e contenenti numerazioni di carte di credito, con installazione di apparecchiatura di illecita captazione di comunicazioni informatiche idonee alla clonazione di carte. Tanto è bastato per l’avvio di un procedimento penale in relazione al reato di cui all’art. 55, comma 9, d.lgs. n. 231/2007, ora codificato all’art. 493- ter , c.p In esito al giudizio di primo grado il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità penale in relazione al capo d’accusa contestato. Tanto ha confermato la Corte d’appello, adita in sede di gravame. Alla difesa non è rimasto altro che rivolgersi - in sede di legittimità - alla Suprema Corte, ivi chiedendo l’annullamento della sentenza emessa dal giudice di merito poiché, stante i fatti di causa, quest’ultimo non avrebbe correttamente valutato le carte di credito incriminate”, le quali, in realtà, non avrebbero avuto effettiva efficacia offensiva. Clonazione e falsificazione mera di mezzi elettronici. La sentenza in epigrafe, nel pronunciarsi sulla vicenda, si sofferma sul confine che intercorre tra il delitto recte le condotte delittuose di cui all’art. 493- te r, c.p. e la diversa fattispecie criminosa disciplinata all’art, 617- quinquies , c.p., quest’ultimo rubricato Installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche”. Come noto, la prima delle norme incriminatrici sopra richiamate, punisce plurime condotte penalmente rilevanti e segnatamente, chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi []”. Si tratta, come bene evidenzia la Corte di Cassazione nella sentenza in commento, di un delitto a presidio del bene giuridico tutela dell’affidabilità dei mezzi di pagamento alternativi all’uso di contante o atti al prelievo di denaro”. L’art. 617- quinquies , cit., invece, punisce chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparecchiature atte a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative a un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni” i.e. reato di falsificazione dei mezzi elettronici di pagamento e di prelievo . Carte vergini,” ancora innocue. La particolarità della vicenda sottostante al dictum in commento è data della contestata idoneità, della carte vergini” a tradire il bene giuridico avuto di mira dall’art. 493- ter , cit. In merito, la Cassazione rileva come la norma incriminatrice da ultimo richiamata sia stata cristallizzata a seguito della più ampia diffusione delle carte di credito e dei documenti similari, con l’intento di tutelare certezza e speditezza del traffico giuridico e, dunque, la fiducia” riposta dai cittadini sul sistema economico e finanziario, pur concorrendo l’offesa anche al patrimonio della singola persona offesa. La Corte, in considerazione di siffatto bene giuridico tutelato, e richiamando puntuali precedenti giurisprudenziali, sottolinea che i l’indebita utilizzazione, ai fini di profitto, della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui all’art. 493- ter , cit., indipendentemente dal conseguimento di un profitto ovvero dal conseguimento di un danno, la norma non richiedendo che la transazione giunga a buon fine ii non si ha reato impossibile nel caso in cui la carta di credito clonata venga bloccata” dal titolare, dal momento che è sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 493- te r, cit., il semplice possesso della carta clonata prescindere dall’utilizzazione, stante la natura di reato di pericolo” di cui si discute iii sempre ai fini della punibilità, è necessario che la carta sia stata – anche se successivamente disattivata per ragioni di sicurezza – effettivamente funzionale all’uso”. In tal senso, la Corte, con riferimento alla detenzione abusiva di carte altrui o di carte contraffate, vuole intendere che il reato non si configura in presenza di carte vergini, ai quali – si spiega – non siano state ancora impresse e credenziali idonee l’uso di pagamento e di prelievo. A contrario - e relativamente al caso di specie - il possesso di reperti non inizializzati” integra – beninteso, in presenza di ulteriori elementi atti a dimostrare l’inequivocità e l’idoneità della condotta”, siccome destinati alla concreta dotazione dei dati necessari per volgere funzioni di pagamento e prelievo, traibili dalla interinale detenzione, integra il diverso reato - in forma tentata – di falsificazione dei mezzi elettronici di pagamento e di prelievo. La decisione della Corte. Sulla base di quanto sopra, la Corte ha dunque annullato la sentenza emessa dal Tribunale rimettendo al medesimo plesso il giudizio per una nuova valutazione della vicenda considerata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 marzo – 9 aprile 2019, n. 15665 Presidente Miccoli – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata del 16 maggio 2014, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 10 ottobre 2013, con la quale - all’esito del giudizio abbreviato - è stata affermata la responsabilità penale di O.P. , D.P. , I.P. e V.D. in ordine ai reati di possesso illecito, a fini di profitto, di 17 supporti in plastica con banda magnetica contraddistinti da cifre alfanumeriche e contenenti numerazioni di carte di credito, installazione di apparecchiatura di illecita captazione di comunicazioni informatiche idonee alla clonazione di carte e violenza a pubblico ufficiale. 2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma hanno proposto ricorso gli imputati O.P. , D.P. e I.P. per mezzo del difensore, Avv. Rocco Quartuccio, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, deducono erronea applicazione della legge penale e correlato vizio della motivazione in riferimento al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9, non avendo i giudici di merito accertato l’effettiva clonazione delle 17 carte trovate in possesso degli imputati attraverso la necessaria consulenza tecnica, in presenza di un reato di pericolo concreto che postula il predetto accertamento, come prospettato dalla difesa nei motivi d’appello, erroneamente ritenuti infondati sul punto, anche in riferimento al sequestro di altre carte di pagamento. 2.2. Con il secondo motivo, deducono mancanza di motivazione sulla censura, prospettata con l’appello, relativa all’affermazione di responsabilità in riferimento a tre carte genuine, emessa da Ikea e Nectar ed intestate a T.N. . 2.3. Il terzo motivo prospetta nullità della sentenza in conseguenza dell’omessa traduzione agli imputati alloglotti ex art. 143 c.p.p., assistiti dall’interprete nel processo d’appello ed al quale doveva essere, pertanto, tradotto anche l’avviso di deposito. Considerato in diritto 1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. 1.1.La mancata traduzione della sentenza in una lingua nota all’imputato alloglotta, non integra la nullità prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c - sotto il profilo della lesione recata alla effettiva partecipazione al giudizio e alla completa esplicazione del diritto di difesa qualora sia stata proposta tempestiva impugnazione da parte del difensore e non siano stati allegati elementi specifici in ordine al pregiudizio derivante dalla omessa traduzione Sez. 3, n. 22261 del 09/12/2016 - dep. 2017, Zaroual, Rv. 269982, N. 45457 del 2015 Rv. 265521, N. 22814 del 2016 Rv. 267941 . Invero, anche dopo la modifica dell’art. 143 c.p.p. per effetto del D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, la mancata traduzione della sentenza comporta che, se vi è stata specifica richiesta di traduzione, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444, N. 23608 del 2014 Rv. 259732 , con la conseguenza per cui spetta in via esclusiva all’imputato alloglotta, e non al suo difensore, la legittimazione a rilevare la violazione dell’obbligo di traduzione della sentenza, previsto dall’art. 143 c.p.p. al fine di consentire a detto imputato, che non comprenda la lingua italiana, l’esercizio di un autonomo potere di impugnazione ex art. 571 dello stesso codice Sez. 2, n. 32057 del 21/06/2017, Rafik, Rv. 270327, N. 4929 del 2007 Rv. 236409, N. 35571 del 2011 Rv. 250877, N. 40616 del 2013 Rv. 256934 . 1.2. Nel caso in esame, l’omessa traduzione della sentenza e dell’avviso di deposito non ha cagionato pregiudizio all’esplicazione del diritto di difesa, in presenza di una tempestiva impugnazione del difensore, mentre alcuna specifica deduzione risulta formulata dagli imputati personalmente. La censura è, pertanto, manifestamente infondata. 2. Sono, invece, fondate le doglianze che investono l’ambito applicativo della fattispecie di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 55, comma 9, ora disciplinata dall’art. 493-ter c.p., introdotto dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 2. 2.1. La norma contestata prevede che Chiunque, al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 a 1.550 Euro. Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi . La norma incriminatrice descrive più fattispecie criminose, caratterizzate dalla comune oggettività giuridica di tutela dell’affidabilità dei mezzi di pagamento alternativi all’uso di contante o atti al prelievo di denaro. 2.2. Siffatta matrice comune è stata sottolineata dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 302 del 2000, ha evidenziato come il D.L. n. 143 del 1991, art. 12 - poi trasfuso nel D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9, e, da ultimo, codificato nell’art. 493-ter c.p. secondo una ininterrotta linea di continuità normativa - delinei una figura criminosa dalla fisionomia multiforme, sia in riferimento all’oggetto materiale - che investe un’ampia gamma di documenti, diversi tra loro per natura, funzione e modalità d’impiego - che per quanto attiene alla condotta penalmente rilevante, essendo contemplata, accanto all’ipotesi dell’indebita utilizzazione dei documenti da parte di chi non ne sia titolare, anche quella di falsificazione di questi ultimi e di possesso di documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché di ordini di pagamento con essi prodotti. Dall’analisi del profilo strutturale della fattispecie, la Consulta ha tratteggiato la ratio comune, secondo cui la conformazione del paradigma punitivo complessivamente considerato depone per l’aggressione di interessi, di natura pubblicistica, legati segnatamente all’esigenza di prevenire, di fronte ad una sempre più ampia diffusione delle carte di credito e dei documenti similari, il pregiudizio che l’indebita disponibilità dei medesimi è in grado di arrecare alla sicurezza e speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, alla fiducia che in essi ripone il sistema economico e finanziario , pur concorrendo anche l’offesa al patrimonio - con riguardo ad alcuni dei comportamenti ad essa riconducibili - a delineare l’oggettività giuridica del reato. 2.3. L’orientamento ermeneutico di legittimità, nella sua massima espressione nomofilattica, si muove, nella medesima direzione ermeneutica. Le Sezioni Unite di questa Corte n. 22902 del 28/03/2001, Tiezzi, Rv. 218871 , hanno chiarito - per quanto interessa ai fini della risoluzione della presente questione - come dall’analisi letterale della norma in esame emerga che il legislatore abbia inteso assicurare la tutela degli interessi evocati mediante la previsione di due condotte la prima consistente nella indebita utilizzazione, e dunque nel concreto uso illegittimo delle carte di credito o delle carte di pagamento - lecita o illecita che sia la loro provenienza - da parte di persona diversa dal titolare, al fine di realizzare un profitto per sé o per altri la seconda consistente nel possesso inteso come detenzione materiale , nella cessione o nell’acquisizione di tali documenti di provenienza illecita, e dunque in una azione che, sotto il profilo logico e temporale, è distinta dalla prima perché la precede e ne costituisce il presupposto fattuale condotte che esauriscono ex sibus la tipicità del fatto illecito, configurando, in ossequio al principio di determinatezza e tassatività dell’illecito penale, quella indebita disponibilità dei documenti presi in considerazione dalla norma, suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni metaindividuali tutelati tanto che l’eventuale conseguimento, da parte dell’agente, dell’ingiusto profitto con correlativo danno del soggetto passivo rileva, esclusivamente, sotto il profilo della dosimetria della pena Rv. 218873 . Attraverso siffatta ricostruzione sistematica della norma in disamina, il giudice di legittimità ha convalidato gli approdi ermeneutici cui erano pervenuti quei filoni della dottrina e della giurisprudenza, che, in conformità alle ragioni di politica criminale che avevano ispirato gli interventi normativi richiamati - diretti a contrastare il riciclaggio del danaro di provenienza illecita, prevedendo un controllo a monte dei movimenti finanziari, e di limitazione dell’uso del contante, la cui disciplina andava presidiata con la sanzione penale - avevano posto in luce come il legislatore, conscio della inidoneità dei tradizionali illeciti di evento e di lesione - incentrati sui concetti di danno e di profitto - a fronteggiare le nuove forme di criminalità collegate allo sviluppo dei moderni strumenti di pagamento, avesse optato per una semplificazione delle fattispecie, costruite in chiave di pericolosità e caratterizzate dal fine di profitto e dall’assenza dei profili tipici costituiti dal conseguimento di un vantaggio economico per l’agente e di un pregiudizio della vittima, proprio allo scopo di consentire una apprezzabile facilità di accertamento delle infrazioni allo statuto di disciplina del sistema finanziario, posto che nell’ambito che ad esso si riferisce non è agevole cogliere e dimostrare la perpetrazione di frodi Sez. 5, n. 17923 del 12/01/2018, PG in proc. Pasquale, Rv. 273033 . 2.4. Entro le coordinate sistematiche così delineate, il consolidato orientamento di legittimità si è espresso nel senso che l’indebita utilizzazione, a fini di profitto, della carta di credito da parte di chi non ne sia titolare, integra il reato di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12, conv. in L. n. 197 del 1991 ora previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9 , indipendentemente dal conseguimento di un profitto o dal verificarsi di un danno, non essendo richiesto dalla norma che la transazione giunga a buon fine Rv. 273033, ibidem Sez. 5, n. 16572 del 20/04/2006, Sabau, Rv. 234460 e che Non si ha reato impossibile, in riferimento alla fattispecie criminosa di cui al D.L. n. 143 del 1991, art. 12, nel caso in cui la carta di credito clonata venga bloccatà dal titolare, essendo sufficiente, per l’integrazione del reato, il semplice possesso della carta clonata a prescindere dall’utilizzazione, in considerazione della natura di reato di pericolo della fattispecie criminosa disciplinata dagli articoli richiamati Sez. 2, n. 37016 del 05/10/2011, Zolli, Rv. 251155 , esplicitando come Il reato di illecito uso di carta di credito non tutela il bene del patrimonio, ma garantisce, in modo più o meno diretto, i valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico economico e della fede pubblica Sez. 6, n. 29821 del 24/04/2012, Battigaglia, Rv. 253175 Sez. 2, n. 15834 del 08/04/2011, Bonassi, Rv. 250516 Sez. 5, Sentenza n. 41317 del 21/11/2006, P.M. in proc. Lavagno e altro, Rv. 235761 . 3. Nella delineata prospettiva, va ulteriormente precisato come dato imprescindibile per la configurazione del reato, in forma consumata, sia l’idoneità dei supporti materiali, che costituiscono l’oggetto strumentale della condotta, a svolgere geneticamente funzioni di pagamento o di prelievo, nel senso che occorre che la carta sia stata - anche se successivamente disattivata per ragioni di sicurezza - effettivamente funzionale all’uso. 3.1. In particolare, con riferimento alla detenzione abusiva di carte altrui o di carte contraffatte - reato di pericolo di mera condotta - il reato non si configura in presenza di supporti vergini, ai quali non siano state ancora impresse le credenziali idonee all’uso di pagamento o di prelievo il possesso dei reperti non inizializzati può invece integrare, in presenza di ulteriori elementi atti a dimostrare l’inequivocità e l’idoneità della condotta, in quanto destinati alla concreta dotazione dei dati necessari per volgere funzioni di pagamento o di prelievo, evincibili dalle circostanze connotative della interinale detenzione, il diverso reato, in forma tentata, di falsificazione dei mezzi elettronici di pagamento o prelievo. 3.2. Di guisa che l’accertamento processuale deve necessariamente investire l’idoneità, anche solo potenziale o, in ipotesi, successivamente esclusa dalla tempestiva attivazione di sistemi di sicurezza e di blocco, all’espletamento della funziona propria degli strumenti di pagamento digitali, al fine della corretta qualificazione giuridica del fatto. 4. Nel caso in esame, se risulta accertata - e non contestata - una più ampia condotta prodromica alla falsificazione, sussunta nell’alveo dell’art. 617-quinquies c.p., in presenza della flagrante attività di dis installazione di strumenti atti alla captazione illecita di credenziali di accesso personali e del rinvenimento di una vera e propria base logistica, dotata di sofisticati strumenti di donazione, non consta, invece, se le carte rinvenute sul furgone fossero o meno già donate, con conseguente incertezza riguardo gli elementi costitutivi dei - diversi - reati previsti dalla norma incriminatrice contestata. La corte territoriale ha, invece, affrontato e risolto la questione relativa all’accertamento della potenzialità funzionale dei reperti in sequestro, limitandosi a richiamare al riguardo l’accertata, contestuale, condotta di cui all’art. 617-quinquies c.p. e la presenza di un vero e proprio laboratorio, nella disponibilità degli imputati, funzionale alla clonazione di supporti vergini mediante impressione dei dati illecitamente carpiti. Siffatta argomentazione s’appalesa, tuttavia, inidonea a configurare ove accertata la mancata funzionalità dei supporti sequestrati - il delitto di detenzione contestato, palesandosi a monte la necessità di verifica della natura delle carte detenute al fine di conferire al relativo possesso la corretta qualificazione giuridica. Invero, l’installazione all’interno del sistema bancomat di scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati preordinate ad intercettare comunicazioni relative al sistema informatico integra il reato - di pericolo - di cui all’art. 617-quinquies c.p. Sez. 5, n. 36601 del 09/07/2010, Pectu Nicusor, Rv. 248430 , che si pone, tuttavia, in termini prodromici e strumentali rispetto alla clonazione cui è finalizzato e che, ove realizzata, configura un autonomo reato, in progressione criminosa con il primo. 5. Alla stregua delle rassegnate argomentazioni - che assorbono, senza precluderle, le ulteriori censure formulate nel secondo motivo - la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice d’appello perché, in piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione degli enunciati principi - proceda a nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla condotta di cui all’art. 493-ter c.p. già prevista e punita dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55 , con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo esame. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.