L'avvocato non si oppone al decreto ingiuntivo: non è infedele patrocinio

Per la sussistenza della fattispecie di patrocinio infedele occorre che sia pendente un procedimento dinanzi l'autorità giudiziaria. Di conseguenza, risulta irrilevante – ai fini della ricorrenza della citata norma incriminatrice – ogni attività estranea o preliminare all'instaurazione di un giudizio.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 15318/19, depositata il giorno 8 aprile. Opposizione sì, opposizione no. Il protagonista del processo che ha condotto gli Ermellini a pronunciarsi con la sentenza che oggi commentiamo è un avvocato chiamato a rispondere di infedele patrocinio e appropriazione indebita. Dalla lettura della motivazione comprendiamo che alcuni ex clienti del legale-imputato gli avrebbero affidato la gestione di una loro posizione debitoria esistente con un istituto bancario. Stando sempre a quanto si legge in sentenza, l'avvocato non avrebbe avviato alcuna trattativa per comporre bonariamente la vertenza ma, soprattutto, avrebbe intascato una somma di denaro destinata a ripianare parzialmente il debito. Dulcis in fundo, non avrebbe proposto opposizione al decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dalla banca creditrice. All'esito del giudizio di primo grado, il legale veniva prosciolto dal delitto di infedele patrocinio, mentre invece riportava condanna per l'appropriazione indebita della somma di denaro. Il giudizio di appello terminava con una sentenza che, quanto al dispositivo, era copia conforme di quella emessa dal tribunale. Da qui, il ricorso per cassazione articolato su diversi motivi, tra i quali due risultano di particolare interesse il primo relativo alla erronea applicazione della disciplina in tema di patrocinio infedele, e il secondo riguardante il difetto di legittimazione alla proposizione della querela. Patrocinio infedele il presupposto è l'esistenza di un contenzioso. La Suprema Corte accoglie entrambe le censure proposte dal ricorrente con riferimento a quella che lamenta la erronea applicazione della legge penale, il decisum è di cristallina trasparenza. Occorre, in primo luogo, che esista una vicenda giudiziaria pendente, nell'ambito della quale un avvocato abbia ricevuto un incarico difensivo. Se non ricorre questo presupposto non potrà parlarsi di patrocinio infedele, proprio perchè il legislatore ha inteso circoscrivere la responsabilità penale alle sole condotte illecite del patrocinatore poste in essere durante un giudizio. Di conseguenza, tutta l'attività prodromica al processo o estranea a quest'ultimo risulterà del tutto irrilevante ai fini della affermazione di responsabilità penale dell'avvocato infedele”. E' sulla scorta di questo rilievo che i Supremi Giudici ritengono che il mancato inoltro di una proposta di definizione extragiudiziale di un debito non abbia alcuna rilevanza. Allo stesso modo si conclude per l'omessa opposizione al decreto ingiuntivo, visto e considerato che la fase processuale” vera e propria ha inizio con la proposizione dell'opposizione stessa e non già prima di essa. Procedibilità a querela o d'ufficio? Il divieto di reformatio in peius. Un altro problema affrontato dalla Suprema Corte, e risolto con un annullamento per nuovo giudizio, è quello della lamentata insussistenza della legittimazione a proporre la querela, che ad avviso del ricorrente sarebbe stata sporta da soggetti diversi dal proprietario delle somme oggetto di appropriazione indebita. L'oggetto della censura prende le mosse dalla dichiarata irrilevanza della questione, in ragione del fatto che la Corte di Appello avrebbe ritenuto sussistente la circostanza aggravante dell'abuso del mandato professionale, illo tempore in grado di rendere perseguibile d'ufficio l'appropriazione indebita. La Suprema Corte, sul punto, è netta il giudice d'appello, anche in assenza di impugnazione del PM, può dare al fatto di reato una definizione giuridica più grave, purchè il trattamento sanzionatorio dell'imputato rimanga inalterato. Sotto questo profilo è evidente che passare dalla perseguibilità a querela a quella d'ufficio rappresenta invece una patente violazione del divieto di reformatio in peius . Preliminare a tutto – anche in ragione della sopravvenuta abrogazione delle ipotesi di perseguibilità d'ufficio delle ipotesi appropriative aggravate – è la verifica della legittimazione a proporre querela, in assenza della quale l'azione penale non potrebbe essere esercitata o proseguita.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 febbraio – 8 aprile 2019, n. 15318 Presidente Paoloni – Relatore Costantini Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Ancona, su appello dell’imputato A.R. e delle costituite parti civili L.G. e P.C. , in accoglimento del gravame di queste ultime, ha dichiarato la responsabilità in ordine alle sole statuizioni civili per il delitto di cui al capo a di infedele patrocinio ex art. 380 c.p. prestato da A.R. in ordine al quale era stato assolto dal Tribunale di Pesaro e ha confermato nel resto la condanna per il delitto di cui al capo b di appropriazione indebita della somma di Euro 6.150 ricevuta da L. e P. , consegnata materialmente da M.M.G. amica dei denuncianti , in tali termini derubricata in primo grado l’originaria imputazione di truffa aggravata ex art. 61 c.p., n. 7. In particolare A.R. , nella qualità di patrocinatore legale dei coniugi L.G. e P.C. , da cui aveva ricevuto mandato verbale per la mediazione della posizione debitoria in essere con la Banca Popolare Valconca, non formulava proposte o richieste alla parte creditrice anche omettendo di presentare un’opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Rimini su richiesta della citata Banca, così rendendosi infedele ai propri doveri professionali ed arrecando nocumento agli interessi delle parti difese capo a . Quale patrocinatore legale dei coniugi L. e P. , veniva riconosciuto colpevole anche del delitto di appropriazione indebita della somma di Euro 6.150 materialmente consegnatagli con la datazione di quattro rate, dalla comune amica di detti coniugi, M.M.G. somma in contante che sarebbe dovuta essere destinata in favore della banca creditrice, a parziale copertura del debito capo b . 2. Il ricorrente deduce i motivi di seguito indicati. 2.1. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine alla ritenuta responsabilità ai soli fini delle statuizioni civili per il delitto di cui all’art. 380 c.p Si censura la ritenuta sussistenza del delitto di infedele patrocinio laddove è stato affermato essere esistente il rapporto processuale sulla base dell’avvenuta notifica del decreto ingiuntivo alle parti L. e P. in data 18 novembre 2011. Si nega l’esistenza di qualsivoglia incarico professionale in data precedente al dicembre 2011, data prima della quale, in assenza di prova circa il conferimento di un mandato scritto e specifico, sarebbe stato impossibile proporre l’opposizione al decreto ingiuntivo. 2.2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine alla sussistenza del delitto di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p Si censura la lacuna della sentenza in ordine alla manifestata interversione del possesso, tenuto conto che non emergerebbe dagli atti in quale momento il ricorrente avesse iniziato a comportarsi uti dominus rispetto alle somme ricevute ciò anche in considerazione dell’incertezza della causale connessa alla dazione di denaro contante. 2.3. Inosservanza dell’applicazione dell’art. 61 c.p., n. 11, e conseguente ritenuta procedibilità d’ufficio della fattispecie di cui all’art. 646 c.p La Corte avrebbe errato nel ritenere che il delitto era procedibilità d’ufficio per la ritenuta sussistenza della non contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 in considerazione del fatto che la querela proposta per il delitto di appropriazione indebita era stata presentata da soggetti non legittimati L. e P. , e non da parte della persona a cui sarebbe stata sottratta la somma di danaro M.M.G. . La contestazione originaria di cui all’art. 640 c.p. faceva invece riferimento alla sola aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7, evenienza che non consentirebbe di valutare come legittima la decisione impugnata nella parte in cui il delitto di appropriazione indebita è stato ritenuto procedibile d’ufficio sulla base di evenienze mai prospettate nell’imputazione. Non risulta, inoltre, dimostrato che la somma ricevuta dal legale da parte di M.M.G. sia connessa al mandato professionale. Ritenuto in diritto 1. Il ricorso è fondato e deve essere annullato senza rinvio in ordine al capo a e con rinvio quanto al capo b . 2. Fondato risulta il primo motivo di ricorso, che censura la ritenuta responsabilità in ordine al capo a , che evidenzia come non fosse ipotizzabile il delitto di infedele patrocinio ex art. 380 c.p. in una fase estranea e precedente a quella propriamente processuale. Elemento costitutivo del delitto di patrocinio infedele è la previa instaurazione di un procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, con conseguente irrilevanza dell’attività che risulta o preliminare all’inizio di un procedimento in cui il difensore è parte o che è ad essa estranea in quanto connessa a fase non contenziosa Sez. 6, n. 7384 del 21/10/2004, dep. 2005, Ariis, Rv. 231034 . Ed infatti, detta disposizione sanziona, conformemente alla chiara lettera della norma, la condotta del patrocinatore infedele ai suoi doveri professionali che arrechi nocumento agli interessi della parte da lui difesa assistita o rappresentata dinanzi all’autorità giudiziaria, avendo il legislatore inteso riferirsi esclusivamente a quei comportamenti infedeli che hanno luogo nell’ambito di un procedimento giurisdizionale. La condotta che si contesta al ricorrente è relativa all’omessa formulazione di proposte e/o richieste alla parte creditrice Banca Popolare Valconca e alla mancata opposizione al decreto ingiuntivo notificato in data 18 novembre 2011 alla parte offesa L.G. . Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, la notifica del decreto ingiuntivo nei confronti del L. non risulta condotta idonea a far ritenere instaurata una fase processuale in cui ritenere già in essere un ruolo attivo del ricorrente. È pur vero che, avverso il decreto ingiuntivo, per mezzo dell’opposizione, la parte può instaurare un procedimento contenzioso che ha i caratteri della citazione a giudizio fase indipendente e per nulla necessaria allorché si valuti la stessa non utile. Affermare, però, che a seguito della ricezione da parte dei soggetti comunque legati da un mandato professionale indifferente se lo stesso fosse formale o meno al difensore dovesse ritenersi pendente un procedimento in cui il legale avrebbe compiuto la contestata condotta di infedele patrocinio, risulta evenienza illogica e contraddittoria, laddove si imputa, oltre un comportamento omissivo connesso ad attività extragiudiziaria e non contenziosa, come detto estranea alla previsione legale, la mancata attivazione di una fase contenziosa meramente eventuale per mezzo dell’opposizione al decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c Solo al momento della proposizione di detta opposizione può ritenersi sussistente una fase propriamente processuale tesa a contrastare la pretesa creditoria con il necessario patrocinio del legale fase chiaramente autonoma rispetto al procedimento che aveva preceduto l’emissione del decreto ingiuntivo e che pone il patrocinatore dinanzi all’autorità giudiziaria alla cui tutela è tesa la disposizione in esame. Da quanto sopra consegue che, al netto di ogni valutazione se del caso involgenti profili propriamente disciplinari, sia la lamentata omessa attivazione di qualsivoglia attività extragiudiziaria, sia l’inerzia successiva alla notifica del decreto ingiuntivo che non è confluita in una attività propriamente processuale con la opposizione allo stesso opposizione comunque effettuata da altro legale , non risultano condotte rientranti nell’alveo della fattispecie contestata, circostanza che impone l’annullamento senza rinvio della decisione in ordine alla ritenuta responsabilità per i delitto di cui all’art. 380 c.p. per insussistenza del fatto. 3. Fondato risulta il terzo motivo di ricorso. Seppure debba rilevarsi l’infondatezza del secondo motivo di ricorso che mette in discussione che la condotta del legale che si è appropriato delle somme consegnate dal cliente integri la contestata appropriazione indebita in tal senso conforme consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui realizza il reato di appropriazione indebita la condotta dell’esercente la professione forense, che trattenga somme consegnate dal cliente per una determinata finalità allorché, cessato il rapporto le stesse non vengano restituite Sez. 2, n. 5499 del 09/10/2013, dep. 2014, Carnevale Baraglia, Rv. 258220 Sez. 6, n. 1410 del 19/11/1998, dep. 1999, Rosiello, Rv. 212637 , deve ritenersi logicamente preliminare l’esame del terzo motivo di ricorso per mezzo del quale si deduce la mancata risposta al rilievo a mente del quale la querela sarebbe stata presentata da soggetti privi di legittimatimazione le costituite parti civili L.G. e P.C. e non, piuttosto, da parte del soggetto a cui appartenevano le somme consegnate al ricorrente M.M.G. . La Corte di appello, in maniera eccentrica ha affermato che il reato, in quanto procedibile d’ufficio, non avrebbe necessitato di tale querela, così superando la dedotta censura che, oltre a rappresentare la carenza di legittimazione in capo ai querelanti, aveva dedotto la incertezza del titolo sotteso alla consegna della somma in favore del ricorrente da parte della M. . Secondo la Corte di merito il reato era procedibile d’ufficio per la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, circostanza contenuta nella contestazione che richiamava l’abuso del mandato professionale da parte di A. . Motivazione che, si osserva, essere da un lato erronea e, sotto altro profilo, non idonea a superare la deduzione in quella sede posta circa la legittimazione in capo ai querelanti. La disposizione di cui all’art. 597 c.p.p., comma 3, che consente al giudice di appello, anche in presenza della sola impugnazione dell’imputato e ferma restando la pena irrogata, di dare al fatto una qualificazione giuridica più grave, non consente tuttavia di riconoscere l’esistenza di una circostanza aggravante, non ritenuta dal primo giudice, al fine di farne derivare la procedibilità del reato stesso una tale eventualità, infatti, costituirebbe ipotesi di reformatio in peius, non consentita dalla mancata impugnazione del PM. Sez. 4, n. 31917 del 06/03/2009, Favara, Rv. 244685 Sez. 5, n. 10543 del 24/01/2001, Altomare N, Rv. 218328 , principio di diritto recentemente ribadito laddove è stato precisato che, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, viola il divieto di reformatio in peius la diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice del gravame, qualora a ciò consegua la configurazione di un delitto procedibile di ufficio, escluso dal primo giudice, in luogo di uno procedibile a querela Sez. 5, n. 42577 del 20/07/2016, Anetrini, Rv. 267782 . Questa Corte ha, infatti, evidenziato che in presenza della sola impugnazione dell’imputato, non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la nuova e più grave qualificazione giuridica data al fatto dal giudice dell’appello, quando rimanga ferma la pena irrogata anche nel caso in cui da ciò ne discenda un più grave trattamento penitenziario Sez. 2, n. 2884 del 16/01/2015, Rv. 262286 . Ciò che rileva, quindi, è che rimanga immutato il trattamento sanzionatorio applicato all’imputato o che la posizione processuale dello stesso, in ordine al fatto ascrittogli, non risulti complessivamente deteriore all’esito di tale operazione ermeneutica, tanto da ritenersi, per l’appunto, che sussiste violazione del divieto di reformatio in peius allorché il giudice prosciolga l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza impugnata. Operazione ermeneutica non consentita, che corrisponde a quella effettuata dalla Corte di appello di Ancona allorché ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 mai contestata al ricorrente. La decisione di primo grado del Tribunale, infatti, nella parte in cui aveva ritenuto che il delitto di truffa contestato dovesse essere qualificato come appropriazione indebita, non ha effettuato alcun riferimento alla presenza di detta aggravante, anche in considerazione della contesta aggravante di cui all’art. 61, n. 7 del danno di rilevante gravità, senza in alcun modo verificare la esistenza della legittimazione a proporre la querela in capo alle costituite parti civili ovvero la procedibilità a querela o meno della fattispecie di cui era stata effettuata una difforme qualificazione sulla base delle analitiche condotte enunciate nella imputazione. Venuta meno la possibilità, per quanto sopra detto in ordine ai richiamati principi di diritto, di aggravare la posizione processuale del ricorrente per mezzo di una difforme qualificazione della fattispecie di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. quale aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, da cui sarebbe discesa la procedibilità d’ufficio dell’A. , risulta evidente la mancanza di risposta da parte della Corte di merito alla deduzione in ordine alla legittimazione a proporre la querela da parte delle costituite parti civili L.G. e P.C. . In ordine a tale capo della sentenza, quindi, deve essere disposto l’annullamento con rinvio alla Corte di appello di Perugia che dovrà previamente valutare la natura del rapporto esistente tra le costituite parti civili, M.M.G. ed il ricorrente, onde accertare la legittimazioni di L.G. e P.C. in ordine alla proposta querela, condizione di procedibilità da ritenersi certamente necessaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui all’art. 380 c.p. perché il fatto non sussiste. Annulla la stessa sentenza relativamente al reato di cui all’art. 646 c.p. e rinvia per nuovo giudizio su tale capo alla Corte di appello di Perugia.