Il diritto delle parti alla prova contraria in caso di documenti assunti d’ufficio

Nel caso di assunzione d’ufficio di nuovi mezzi di prova, è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria. Il giudice dell’appello dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495, comma 2, c.p.p. deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri di cui all’art. 190.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15281/19, depositata l’8 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Milano confermava la condanna di prime cure per due imputate per il delitto di falso in testamento olografo. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso il difensore di fiducia delle due imputate sostenendo violazione delle norme previste a pena di inutilizzabilità in quanto la falsità del testamento era stata asseverata sulla base della c.t.u. disposta in un procedimento civile non definito con sentenza irrevocabile. Prove nuove. Secondo la consolidata giurisprudenza, è legittima l’acquisizione nel processo penale della consulenza tecnica depositata nel procedimento civile, non ancora definito con sentenza passata in giudicato, attesa la sua natura di prova documentale. Precisa però la Corte che l’acquisibilità del documento lascia impregiudicata la questione del diritto al contraddittorio nella formazione della prova posta a fondamento del giudizio di responsabilità. Ed infatti la giurisprudenza ha ulteriormente precisato che alla ammissione di una nuova prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p., il giudice non può non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie, con la conseguenza che l’istanza di ammissione di queste ultime integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, quindi, rituale richiesta a norma dell’art. 495, comma 2, c.p.p. . Ai fini della valutazione di ammissibilità di tali prove, la parte ha l’onere di tematizzare la prova indicando specificamente gli argomenti di cui voglia sollecitare un approfondimento. Da tali premesse deriva che, nel caso di assunzione d’ufficio di nuovi mezzi di prova, è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria. Il giudice dell’appello dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495, comma 2, c.p.p. deve dunque decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri di cui all’art. 190, non potendo avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dall’art. 603 sull’ammissibilità delle prove non sopravvenute nel giudizio di prime cure. Per tali ragioni, la sentenza impugnata viene annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 marzo – 8 aprile 2019, n. 15281 Presidente Miccoli – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata del 18 maggio 2018, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale in sede del 3 aprile 2017, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di F.S.A.E. e F.L. in ordine al delitto di falso in testamento olografo, con le statuizioni accessorie. 2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano hanno proposto ricorso le imputate, per mezzo del difensore Avv. Ettore Puccillo, articolando tre motivi. 2.1. Con il primo motivo, deducono violazione di norme previste a pena di inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p. per essere stata la falsità del testamento asseverata attraverso la consulenza tecnica disposta in un procedimento civile non definito con sentenza irrevocabile, senza che si procedesse al richiesto esame del consulente, con travisamento di prova decisiva, anche tenuto conto dell’autenticità dell’atto attestata con la consulenza di parte. 2.2. Con il secondo motivo, deducono vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità, fondata su un mero post factum, quale è l’uso del testamento mediante pubblicazione, che non dispiega efficacia dimostrativa di una forma di concorso morale, in assenza della prova di un contributo causale rilevante ascrivibile alle imputate. 2.3. Con il terzo motivo, lamentano la mancata concessione delle attenuanti generiche, avendo la corte territoriale del tutto trascurato i positivi indicatori prospettati nell’atto d’appello. Considerato in diritto 1. Il primo, assorbente motivo di ricorso è fondato nei termini di cui infra. 1.1. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, è legittima l’acquisizione nel processo penale della consulenza tecnica depositata nel procedimento civile, non ancora definito con sentenza passata in giudicato, attesa la sua natura di prova documentale alla luce della nozione generale di documento contenuta nell’art. 234 c.p.p. Sez. 3, n. 15431 del 07/11/2017 - dep. 2018, Busetti, Rv. 272551, N. 5863 del 2012 Rv. 252127 , dovendo la stessa considerarsi prova documentale in quanto formata fuori del procedimento penale e rappresentativa di situazioni e cose Sez. 3, n. 5863 del 23/11/2011 - dep.2012, G., Rv. 252127 N. 8723 del 1996 Rv. 205871, N. 22821 del 2002 Rv. 225229, N. 7916 del 2008 Rv. 239546 . L’acquisibilità del documento lascia, tuttavia, impregiudicata la questione del diritto al contraddittorio nella formazione della prova posta a fondamento del giudizio di responsabilità. 1.2. Dal testo della sentenza di primo grado, risulta che l’acquisizione della CTU svolta nel procedimento civile sia stata disposta dal giudice f. 2 sentenza primo grado , che rigettava la concorde richiesta della difesa e del Pubblico Ministero di esame del consulente d’ufficio la Corte d’appello di Milano ha, del pari, rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria mediante esame anche del medesimo consulente, richiamando l’utilizzabilità dell’elaborato ed il divieto di utilizzazione di cui all’art. 238 c.p.p., comma 2-bis. 1.3. Nella delineata prospettiva, va richiamato il consolidato principio di diritto secondo il quale alla ammissione di una nuova prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p., il giudice non può non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie, con la conseguenza che l’istanza di ammissione di queste ultime integra a tutti gli effetti esercizio del diritto alla prova e concreta, quindi, rituale richiesta a norma dell’art. 495 c.p.p., comma 2 Sez. 2, n. 54274 del 04/10/2016 - dep. 21/12/2016, Altana, Rv. 268858 Sez. 6, n. 5401 del 06/04/2000 - dep. 08/05/2000, La Vardera A e altri, Rv. 21614401 Sez. 6, n. 10109 del 26/06/1997 - dep. 10/11/1997, Abatini, Rv. 20881701 , mentre, ai fini del vaglio della loro ammissibilità sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell’art. 190 c.p.p. Sez. 6, n. 48645 del 06/11/2014 - dep. 24/11/2014, G e altro, Rv. 26125601 Sez. 5, n. 26885 del 09/06/2004 - dep. 15/06/2004, Spinelli, Rv. 22988301 , la parte che di tale diritto intenda avvalersi ha l’onere di tematizzare la prova indicando specificamente i temi dei quali voglia sollecitare l’approfondimento. Esigenza di specificità, questa, che, in effetti, si pone in termini più consistenti nell’ipotesi di esercizio del diritto alla controprova a seguito di istruzione probatoria officiosa, poiché, mentre in quella ordinaria - cui si riferisce l’art. 495 c.p.p., comma 2, la deduzione della prova contraria è strettamente correlata ai temi indicati dalle parti nelle liste depositate ai sensi dell’art. 468 c.p.p. e nelle richieste articolate ai sensi dell’art. 493 cod. Rv. 21410801 , nel caso disciplinato dall’art. 507 c.p.p. il diritto alla controprova deve esplicarsi in relazione ai temi sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile ai fini del decidere disporre un supplemento istruttorio Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992 - dep. 21/11/1992, Martin, Rv. 191607 . 1.4. In termini di logica discendenza dai principi enunciati deriva che nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria, che può essere denegato dal giudice, con adeguata motivazione, solo quando le prove richieste sono vietate dalla legge o sono manifestamente superflue o irrilevanti con la conseguenza che il giudice di appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2, deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall’art. 190 stesso codice per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte , mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado Sez. 6, n. 48645 del 06/11/2014, G., Rv. 261256, N. 26885 del 2004 Rv. 229883, N. 761 del 2007 Rv. 235598 . 2. Nel caso in esame, dall’acquisizione ex art. 507 c.p.p. della consulenza tecnica grafologica svolta nel procedimento civile, ancora pendente, è derivato il diritto delle imputate di richiedere la citazione a prova contraria del consulente tecnico. 2.1. Invero, il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall’art. 468, comma 1, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, in quanto l’opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa Sez. 5, n. 41662 del 14/04/2016, Noronha Evando, Rv. 267863, N. 8033 del 1995 Rv. 202023, N. 15368 del 2010 Rv. 246613, N. 9606 del 2012 Rv. 252158, N. 2815 del 2014 Rv. 258878, N. 26048 del 2016 Rv. 266976 . 2.2. E l’esame del predetto consulente - il cui elaborato è stato posto, in funzione rafforzativa delle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero, a fondamento dell’affermazione di responsabilità - s’appalesa va tanto più necessario, nella prospettiva della prova contraria, in quanto risulta che la difesa ne abbia contestato le conclusioni, assumendo iniziative di sollecitazione e di critica rispetto all’attività tecnica ed ai relativi esiti Cfr. Sez. 1, n. 54492 del 05/04/2017, P.G. in proc. Perillo, Rv. 271899 e che il giudice non abbia ritenuto di superare le divergenti valutazioni attraverso la perizia Sez. 3, n. 21018 del 30/09/2014 - dep. 2015, C., Rv. 263737 N. 10918 del 1992, N. 7663 del 2005 Rv. 230824 , finendo per conferire rilievo dirimente alla CTU solo documentalmente introdotta nel processo. 3. Alla stregua delle rassegnate argomentazioni - che assorbono, senza precluderle, le ulteriori censure - la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice d’appello perché, in piena libertà di giudizio ma facendo corretta applicazione degli enunciati principi - proceda a nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo esame.