Detenzione e trattamenti inumani: il corretto computo dello spazio individuale

Per la determinazione dello spazio individuale minimo, pari o superiore a 3 metri quadrati, da garantire al detenuto affinché lo Stato non violi il divieto di trattamenti inumani, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 15104/19, depositata il 5 aprile. Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza rigettava il reclamo proposto da un detenuto, ai sensi dell’art. 35- ter ord. pen. Avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza. In particolare osservava il Tribunale che il detenuto non era mai stato ristretto in uno spazio individuale inferiore a 3 metri quadrati e che la giurisprudenza della Corte EDU non autorizzava a concepire uno spazio individuale di movimento ma uno spazio individuale di vivibilità, che non era ostacolato dai letti a castello. Avverso detta decisione l’interessato proponeva ricorso lamentando violazione di legge, poiché sosteneva che l’ordinanza impugnata non aveva reso espliciti i criteri di calcolo dello spazio individuale. Così il Procuratore Generale chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Il calcolo dello spazio individuale in cella. Per il Supremo Collegio il ricorso è fondato. Per quanto riguarda, infatti, lo spazio minimo da assicurare a ciascun detenuto all’interno della stanza di pernottamento, la S.C. ha già avuto modo di affermare che, ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo, pari o superiore a 3 metri quadrati, da garantire al detenuto affinché lo Stato non violi il divieto di trattamenti inumani o degradanti, di cui all’art. 3 della Convezione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi. Ebbene, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto indifferente, ai fini della valutazione richiesta sullo spazio individuale del detenuto, che i letti presenti nelle stanze della detenzione fossero letti a castello, poiché tale circostanza andava ritenuta come incidente sul calcolo dello spazio individuale. L’omessa verifica di tali criteri compensativi, alla luce di un corretto computo dello spazio individuale, si risolve nell’applicazione erronea della legge che era stata giustamente e correttamente denunciata con il ricorso. A ciò consegue l’annullamento

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 gennaio – 5 aprile 2019, n. 15104 Presidente Mazzei – Relatore Minchella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 18/01/2018 il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto ex art. 35 ter Ord. Pen. da S.C. avverso il provvedimento in data 19/06/2017 del Magistrato di Sorveglianza di Roma. Osservava il Tribunale di Sorveglianza che la documentazione pervenuta dall’Istituto di Pena dimostrava che il detenuto non era mai stato ristretto in uno spazio individuale inferiore a tre metri quadrati e che la giurisprudenza della Corte EDU non autorizzava a concepire uno spazio individuale di movimento bensì uno spazio individuale di vivibilità, il quale non era ostacolato dai letti a castello aggiungeva che non era chiaro se nelle stanze occupate dal detenuto i letti fossero singoli o se fossero letti a castello, ma, in ogni caso, seppure vi fossero stati tali letti incastellati , lo spazio individuale sarebbe sceso sotto i tre metri quadrati soltanto nei periodi in cui egli era ristretto con altri sei detenuti e cioè per complessivi 48 giorni, un periodo non lungo rispetto alla detenzione patita. 2. Avverso detta ordinanza proponeva ricorso l’interessato a mezzo del difensore Avv. Alessandro De Federicis, deducendo, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b , erronea applicazione di legge sostiene che l’ordinanza impugnata non aveva reso espliciti i criteri di computo dello spazio individuale, non considerando le deduzioni e le produzioni difensive e ritenendo che i letti a castello non ostacolassero i movimenti inoltre, l’ordinanza aveva introdotto un criterio soggettivo e non oggettivo di valutazione, ritenendo che il periodo di detenzione non conforme alla normativa fosse stato breve rispetto alla detenzione complessiva. 3. Il P.G. chiede l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. Con l’introduzione nell’ordinamento italiano dell’art. 35 - ter Ord. Pen. si è inteso perseguire plurimi obiettivi, ossia far cessare condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Convenzione dei diritti dell’uomo secondo le indicazioni della Corte EDU, ristorare i pregiudizi derivati da tali condizioni e, più in genere, introdurre un sistema di tutela dei diritti dei detenuti, improntato a maggiore effettività e tempestività rispetto a quello allora esistente. La ratio complessiva delle modifiche, compresa la disciplina dei particolari rimedi di cui all’art. 35-ter Ord. Pen., va rintracciata - come già riconosciuto da questa Corte sez. 1, n. 43722 dell’11/06/2015, Salierno, non massimata - nel rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione della legalità della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell’autorità giurisdizionale. Circa lo spazio minimo da assicurare a ciascun detenuto all’interno della camera di pernottamento, questa Corte ha già affermato che, ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati, da assicurare a ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU in data 8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani c. Italia, dalla superficie lorda della cella deve essere detratta l’area occupata dagli arredi Sez. 1, n. 5728 del 19/12/2013, dep. 2014, Berni, Rv. 257924 . Considerati anche i criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte Edu ha fissato, mediante plurimi arresti, canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali circa la superficie degli spazi intramurali, indicando in tre metri quadrati lo spazio minimo utile al fine di garantire il movimento del soggetto recluso nello spazio detentivo, ciò che esclude di poter inglobare nel computo gli arredi fissi, in ragione dell’ingombro che ne deriva oltre alla decisione Torreggiani v. Italia, cit., si vedano, tra le altre, le seguenti sentenze 22/10/2009 Orchowski v. Polonia 10/01/2012 Ananyev e altri v. Russia 10/03/2015 Varga e altri v. Ungheria . Si tratta di una coerente elaborazione giurisprudenziale, correlata alla funzione che la nozione dello spazio minimo vitale assolve, nel quadro della complessa ricostruzione dei parametri di un trattamento carcerario che possa essere ritenuto conforme ai contenuti dell’art. 3 CEDU. 2. L’ordinanza impugnata, sebbene abbia correttamente individuato il concetto di spazio individuale di vivibilità differente da un mero spazio individuale di movimento , ha utilizzato, però, criteri di computo dello spazio individuale dei detenuti non corrispondenti a quelli elaborati da questa Corte sulla base delle indicazioni provenienti dalla Corte Edu in particolare, il provvedimento esterna un evidente dubbio laddove, dopo avere affermato che i letti a castello non possono rientrare nel computo dello spazio individuale, ammette che dall’istruttoria non era chiaro se i letti allocati nelle stanze detentive occupate dal ricorrente fossero letti singoli o letti a castello trattandosi di una circostanza di fatto dirimente, la stessa non poteva ritenersi indifferente rispetto alla questione sottoposta, almeno non senza rivelare una problematicità sulle modalità stesse di computo. Peraltro, la successiva affermazione appare censurabile, poiché l’ordinanza impugnata afferma che, anche a voler detrarre lo spazio occupato da ipotetici letti a castello , i periodi in cui il detenuto sarebbe stato ristretto in uno spazio vivibile inferiore ai tre metri quadrati sarebbero stati soltanto due, per un numero complessivo di giorni pari a 48, ritenuto non lungo in rapporto alla detenzione subita dal soggetto . Queste affermazioni non sono condivisibili e impongono di ribadire alcuni principi. Va, infatti, richiamato l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha più volte ribadito che per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo lo spazio destinato ai servizi igienici, ma anche quello occupato da mobili arredi e da strutture tendenzialmente fissi nonché da quegli arredi, che seppur teoricamente amovibili, siano in realtà di peso consistente e di ingombro evidente, quale può essere, ad esempio, un letto a castello Sez. 1, n. 07422 del 17/11/2016 , ed ha ordinariamente incluso nello spazio individuale minimo, invece, il letto singolo sulla scorta del fatto che esso è utilizzabile anche per sedervisi, per leggere, ecc. , in scia alla giurisprudenza della Corte Edu espressa da canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali circa la superficie degli spazi intramurali Sez. 1, n. 16418 del 17/11/2016 . Detto criterio già risultava espresso in precedenza va qui richiamata la decisione Sez. 7, ord. n. 3202 del 18 novembre 2015, Borrelli, n. m., che, in motivazione, precisa che il letto singolo va computato nello spazio individuale, atteso che esso offre la possibilità di utilizzare il letto anche in orario diurno per distendersi, sedersi, appoggiarvi oggetti . Giova anche richiamare la sentenza Sez. 1, n. 40520/2017 del 16/11/2016 nella quale si evidenzia come sia necessario assumere come criterio di calcolo dello spazio minimo abitabile, da riconoscere a ciascun detenuto, quello della superficie funzionale a consentire la libertà di movimento individuale nella camera di soggiorno e pernottamento, senza escludere dal computo gli arredi non fissi al suolo e necessari alle primarie esigenze di alimentazione e riposo del detenuto, come il tavolo, le sedie e il letto singolo L’importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella, secondo quanto già affermato nelle precedenti pronunce Ananyev e altri c. Russia del 10/1/2012 e Belyayev c. Russia del 17/10/2013. In particolare, la prima di queste sentenze al punto 148 conclude nel senso che a ogni detenuto deve disporre di uno spazio individuale per dormire all’interno della cella b deve avere a sua disposizione almeno tre metri quadrati di spazio al suolo c la superficie complessiva della cella deve essere tale da consentire ai detenuti di muoversi liberamente tra gli elementi di arredamento, condizioni la cui assenza fonda la forte presunzione di trattamento degradante ed inumano Correttamente, dunque, nel novero di tali elementi sono stati inclusi gli armadi e non anche i letti, da ritenersi ostativi al libero movimento e alla piena fruizione da parte del detenuto solo quando presentino la struttura a castello , ossia siano sovrapposti l’uno all’altro, per consentire di alloggiare più persone nella stessa camera, presentando un peso tale da non poter essere spostati e da restringere a loro volta, come gli armadi e gli altri elementi infissi stabilmente alle pareti o al suolo, l’area ove muoversi. In altri termini, non rileva che lo spazio sia vivibile per assolvere ad altre funzioni, quanto che sia fruibile per il moto, che non è, invece, certamente impedito o ristretto da quegli articoli amovibili, come sgabelli o tavoli e gli stessi letti non incastellati . Nella fattispecie, il Tribunale di Sorveglianza ha ritenuto indifferente, ai fini della valutazione richiesta, che i letti presenti nelle stanze detentive fossero letti a castello in realtà, siffatta circostanza andava ritenuta come incidente sul computo dello spazio individuale. Peraltro, se il computo medesimo avesse condotto ad uno spazio individuale inferiore ai tre metri quadrati circostanza che sembrerebbe emergere dalla impugnata ordinanza , allora sarebbe sussistita una forte presunzione di trattamento inumano o degradante, superabile soltanto attraverso l’esame congiunto ed analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione nello spazio minimo. Questo complessivo esame, all’evidenza, non è stato compiuto giacché il mero accenno ad alcuni spazi di uscita dalle stanze detentive non chiarisce se si trattava di uscite connesse a peculiari esigenze del trattamento penitenziario o se si trattasse di socialità. In ogni caso, correttamente il ricorrente pone in evidenza che il Tribunale di Sorveglianza, nel mancare di effettuare detto esame, aveva giustificato il salto logico utilizzando un criterio di natura soggettiva e non rispondente ai criteri sopra indicati relativi ai criteri compensativi dello spazio minimo inferiore alla soglia prescritta , e cioè la valutazione di durata del periodo di patimento di uno spazio inferiore ai tre metri quadrati valutazione che appare svincolata da elementi di oggettivo riscontro e legata a parametri non espressi . In ogni modo, l’esame delle condizioni detentive complessive poteva essere effettuato soltanto all’esito della corretta definizione dello spazio minimo disponibile per il ricorrente. 3. L’omessa verifica di questi criteri compensativi, alla luce di un corretto computo dello spazio individuale, si risolve nella erronea applicazione di legge che era stata correttamente denunziata con il ricorso. Di conseguenza, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Roma.