Tra il reato di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di persona non vi è rapporto di specialità

Non è configurabile il rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di persona, poiché sono figure di reato dirette a tutelare beni differenti. Inoltre, l’uno è integrato dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psicofisici ai danni di famigliari, mentre l’altro da quella di privare taluno della libertà personale.

Così si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 14995/19, depositata il 4 aprile. Maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona. La Corte d’Appello di Genova riteneva l’imputato responsabile per i reati di cui agli artt. 572 e 605 c.p., poiché questi aveva maltrattato la convivente in stato di gravidanza, percuotendola e segregandola in una stanza. Avverso la decisone ricorre in Cassazione l’imputato deducendo il vizio di violazione di legge, sostenendo che il reato di sequestro di persona avrebbe dovuto essere assorbito nel reato di maltrattamenti, non avendo privato la compagna della libertà di movimento. Niente specialità tra i reati. La Corte, in merito alla configurabilità di un concorso di reati, ricorda il principio secondo cui non è configurabile il rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia quello di sequestro di persona, giacché sono figure di reato dirette a tutelare beni diversi. Inoltre, l’uno è integrato dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psicofisici ai danni di famigliari e, l’altro, da quella di privare taluno della libertà personale. Posto questi, il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia soltanto se le condotte di imitazione arbitraria della libertà di movimento della vittima non siano ulteriori ed autonome rispetto a quelle che specificatamente hanno integrato i maltrattamenti. Nel caso in esame, rilevano i Giudici che la sentenza impugnata ha sancito la responsabilità per i reato di cui all’ar. 572 c.p., in relazione a plurime condotte vessatorie perpetrate mentre l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 605 c.p. concerne l’atto di privazione della libertà personale. Conseguentemente la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 marzo – 4 aprile 2019, n. 14995 Presidente Miccoli – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto 1. B.N. ricorre per cassazione avverso la sentenza emessa il 28/03/2018 dalla Corte di Appello di Genova, che ha confermato l’affermazione di responsabilità per i reati di cui agli artt. 572 e 605 c.p., per avere maltrattato la convivente, in stato di gravidanza, C.L.L. , percuotendola ripetutamente e cagionandole lesioni personali, nonché per averla segregata in una stanza per oltre 5 ore nella notte del omissis . Deduce il vizio di violazione di legge, sostenendo che il reato di sequestro di persona sarebbe assorbito nel reato di maltrattamenti, non essendovi stata alcuna privazione della libertà di movimento della compagna, che si è risolta ad uscire dalla finestra, e non dalla porta, solo per non svegliare il B. . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Invero, quanto alla configurabilità di un concorso di reati, va ribadito il principio secondo cui non è configurabile il rapporto di specialità tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di sequestro di persona, giacché sono figure di reato dirette a tutelare beni diversi e poi, l’uno, è integrato dalla condotta di programmatici e continui maltrattamenti psico-fisici ai danni di famigliari e, l’altro, da quella di privare taluno della libertà personale Sez. 1, n. 18447 del 02/05/2006, Capuano, Rv. 234673 sicché il reato di sequestro di persona è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia previsto dall’art. 572 c.p., soltanto quando le condotte di arbitraria compressione della libertà di movimento della vittima non sono ulteriori ed autonome rispetto a quelle specificatamente maltrattanti Sez. 5, n. 15299 del 19/12/2016, dep. 2.017, P, Rv. 270395 . Nel caso in esame, la sentenza impugnata appare immune da censure, in quanto l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 572 c.p., concerne le plurime condotte vessatorie perpetrate, nel periodo tra maggio ed agosto 2017, dall’odierno ricorrente nei confronti della convivente, vittima di diversi episodi di percosse e lesioni personali, mentre l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 605 c.p., concerne la privazione della liberta personale commessa la notte tra il omissis , allorquando, dopo averla percossa violentemente, il B. segregava la C. nella stanza dove abitavano, chiudendo la porta di ingresso con le chiavi e la grata della finestra del bagno, privandola del telefono e dicendole che non l’avrebbe più fatta uscire a fronte di tale inequivocabile condotta, la persona offesa riusciva a scappare soltanto dopo cinque ore, forzando l’inferriata che assicurava la finestra del bagno. Giova, al riguardo, evidenziare, altresì, l’inammissibilità delle doglianze proposte dal ricorrente, alla cui stregua la persona offesa avrebbe scelto di non uscire dalla porta di ingresso per non svegliare il convivente, in quanto, pur prescindendo dalla inverosimiglianza della deduzione, smentita dalla ricostruzione storica fornita dai giudici di merito, propone motivi eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 . 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.