Parte civile: quando la sentenza assolutoria le preclude l’impugnazione

Sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato”?

La questione di diritto affrontata. La sentenza in commento n. 14080/19, depositata il 1° aprile si occupa di affrontare la problematica relativa all’interesse della parte civile di impugnare una sentenza assolutoria, ponendo in evidenza i diversi orientamenti in materia che hanno dato pregio o meno all’aspetto della efficacia preclusiva del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo. In particolare, dunque, se l’impugnazione della parte civile, in tali casi, risulti inammissibile per carenza di interesse, ben potendo la stessa agire nelle opportune sedi civili per il risarcimento del danno derivante dal fatto illecito”. La normativa di riferimento. L’art. 652 c.p.p. come è noto, dispone che La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75 comma 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato”. Contrasti giurisprudenziali. Atteso che, come previsto dalla norma richiamata, la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato” non è contemplata tra le ipotesi di giudicato che hanno efficacia preclusiva nei giudizi civili e amministrativi, nondimeno, la giurisprudenza è giunta, sul punto a soluzioni non univoche. Ed infatti, i giudici di legittimità hanno affermato, per un verso, che la configurabilità di un interesse della parte civile ad impugnare sia strettamente legato all’effetto preclusivo del giudicato penale e, quindi, posto che la sentenza penale pregiudicherebbe la pretesa risarcitoria della parte civile, la stessa ha un concreto interesse a rimuovere la decisione penale”. Al contrario, per altro verso, la giurisprudenza della Suprema Corte ha ritenuto che sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato” anche quanto la stessa non abbia efficacia preclusiva, al fine, comunque, di ottenere un’affermazione di responsabilità penale. Ciò perché, tale riconoscimento di responsabilità giova certamente a tale parte processuale anche nel giudizio civile. In merito a tale contrasto si sono espresse le Sezioni Unite Cass. Pen., S.U. 40049/2008, Guerra affermando, innanzitutto, l’interesse della parte civile ad impugnare anche in assenza di effetto preclusivo, anche solo per il riconoscimento della responsabilità penale, dato che così ci si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio”. In secondo luogo, la Corte ha altresì sostenuto che, quando l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato è stata pronunciata per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, o per la presenza di una causa di giustificazione diversa da quella di cui all’art. 51 c.p. o per un’altra ragione, la sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio di danno e spetta al giudice civile o amministrativo il dovere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del giudizio penale”. Concreto accertamento del giudice di merito. Le Sezioni Unite richiamate, peraltro, hanno posto l’accento su un altro aspetto importante ai fini dell’interesse a impugnare. Ed infatti, secondo i giudici, non è tanto la formula assolutoria utilizzata, quanto il concreto accertamento svolto dal giudice e ricostruito in sentenza. Orientamenti residui dopo le Sezioni Unite Guerra. In definitiva, dunque, nonostante la Sentenza delle Sezioni Unite richiamata, il panorama giurisprudenziale, ad oggi, risulta ancora non omogeneo. Per riassumere, infatti, gli orientamenti che si riscontrano sono tre. Il primo vuole che sia inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, non avendo la stessa efficacia preclusiva. Il secondo afferma l’interesse della parte civile ad impugnare anche le sentenze assolutorie con formula perché il fatto non costituisce reato in quanto anche questa ha efficacia preclusiva, data l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’unità della funzione giurisdizionale” comunque superato dalle Sezioni unite citate . Il terzo, infine, afferma l’interesse processuale della parte civile ad impugnare tale tipo di decisione, in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’art. 652 c.p.p. non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, che è riconosciuto in termini generali dall’art. 576 c.p.p In presenza di una così vasta mole di opinioni contrastanti e permanenti nel panorama giurisprudenziale, la Seconda sezione della Corte pertanto ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, ordinanza 15 marzo – 1 aprile 2019, n. 14080 Presidente Prestipino – Relatore Pazienza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 06/06/2017, la Corte d’Appello di Trieste ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Udine in data 23/12/2015, con la quale S.S. e S.R. erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al delitto di truffa loro ascritto in concorso, nonché al risarcimento dei danni subiti da B.F. e G.V. , costituitisi parte civile. In particolare, la Corte d’Appello ha assolto gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato, disponendo altresì la revoca delle statuizioni civili. Ad avviso della Corte territoriale, infatti, non è stata adeguatamente comprovata la sussistenza del cd. dolo iniziale che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, dep. 2014, Montalti, Rv. 258203, richiamata nella sentenza impugnata . In particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto priva di adeguato riscontro l’ipotesi accusatoria, secondo cui i S. si sarebbero adoperati per la conclusione del contratto preliminare di vendita con le parti civili promissarie acquirenti - carpendone la fiducia circa il buone esito dell’affare, e facendosi consegnare già in quella sede una somma di rilevante importo - pur essendo consapevoli di non essere in grado di stipulare il contratto definitivo, per la situazione di insolvenza o comunque di grave dissesto - maliziosamente taciuta in cui versava, sin dall’epoca del preliminare, l’impresa individuale S.R. COSTRUZIONI nella quale S.R. e S.S. rivestivano, rispettivamente, i ruoli di titolare e di collaboratore . 2. Ricorrono per cassazione agli effetti civili il B. e la G. , a mezzo del proprio difensore, deducendo vizio di motivazione e travisamento della prova. Dopo aver ripercorso i passaggi motivazionali della sentenza impugnata, i ricorrenti evidenziano la violazione del principio della - motivazione rafforzata, avendo la Corte territoriale assolto gli imputati omettendo di confrontarsi con alcuni elementi di prova valorizzati ed anzi ritenuti decisivi dalla sentenza di primo grado. 2.1. In particolare, si censura la motivazione della Corte d’Appello che aveva ritenuto non provata la mala fede iniziale dei S. presupposto necessario per la configurabilità della truffa contrattuale loro contestata , sostenendo che non fosse emerso con certezza che la mancata stipula del contratto definitivo di compravendita immobiliare, nel termine convenuto, fosse stata causata dallo stato di sostanziale decozione dell’impresa, già noto agli imputati promittenti venditori al momento della stipula del preliminare con le parti civili. Al riguardo, i ricorrenti lamentano l’omessa valutazione della circostanza ritenuta determinante dal giudice di primo grado - per cui i S. avevano omesso di richiedere all’istituto di credito la restrizione dell’ipoteca gravante sull’immobile, pur avendo ricevuto a tale specifico scopo, dalle parti civili, un acconto sul prezzo di acquisto di maggiore entità rispetto a quanto inizialmente convenuto. Si deduce altresì che, qualora gli imputati avessero provveduto a richiedere la restrizione della garanzia reale, la stipula sarebbe potuta avvenire anche se con ritardo rispetto al termine indicato nel preliminare come avvenuto per altra unità abitativa del medesimo complesso immobiliare . 2.2. La difesa censura la sentenza della Corte d’Appello anche per aver ricondotto la mancata stipula alle modifiche richieste dalle parte civili all’immobile in costruzione, senza peraltro confrontarsi con quanto dedotto al riguardo dal giudice di primo grado, secondo cui non era emerso che le parti civili avessero chiesto modifiche diverse ed ulteriori rispetto a quelle concordate nel contratto preliminare un mero spostamento delle pareti per il quale era stata presentata dichiarazione di inizio lavori solo nel novembre 2011 . 2.3. I ricorrenti deducono inoltre un travisamento della prova con riferimento a quanto riferito dal teste F. in ordine ad un documento prodotto dalla difesa comprovante una richiesta dei S. di riduzione dell’ipoteca gravante sull’immobile. Si evidenzia, in particolare, che la Corte d’Appello ha sostenuto che tale documento non fosse stato considerato dal primo giudice e che il F. non avesse escluso la sua ricezione da parte della banca, laddove invece il Tribunale di Udine aveva tenuto presente il documento, dando atto che il F. aveva riferito di non averne avuto precedentemente contezza. Considerato in diritto 1. La valutazione della fondatezza del ricorso per cassazione proposto dalle parti civili non può prescindere dalla preliminare verifica della sua ammissibilità è in particolare necessario interrogarsi, anzitutto, sulla sussistenza, in capo alle ricorrenti, di un effettivo e concreto interesse ad impugnare una decisione assolutoria emessa con la formula perché il fatto non costituisce reato art. 568 c.p.p., comma 4 e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a e comma 2 . 2. Al riguardo, deve osservarsi che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha offerto, sin da epoca risalente, soluzioni non univoche, anche quanto al rapporto tra l’interesse ad impugnare della parte civile e la portata dell’effetto preclusivo che deriva, dal giudicato penale, sui giudizi civili o amministrativi per le restituzioni e il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 652 c.p.p., comma 1 disposizione che, com’è noto, non prende in considerazione la formula perché il fatto non costituisce reato il predetto comma 1 prevede infatti che la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento - o di giudizio abbreviato, se accettato dalla parte civile cfr. il comma 2 - ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, sempre che il danneggiato si sia costituito parte civile o sia stato posto in condizione di farlo, salvo che abbia esercitato l’azione penale in sede civile a norma dell’art. 75 c.p.p., comma 2 . 2.1. Si è in particolare affermato, per un verso, che la configurabilità di un interesse ad impugnare, in capo alla parte civile, deve essere necessariamente posta in stretta correlazione con il prodursi dell’effetto preclusivo cui si è accennato appunto perché anche la pretesa risarcitoria sarebbe pregiudicata dalla decisione penale, deve riconoscersi alla parte civile un concreto interesse a rimuovere la decisione penale e il suo effetto preclusivo. Inversamente, nessun interesse processuale ha la parte civile a impugnare la decisione penale quando questa manca di efficacia preclusiva e quindi lascia libera la stessa parte civile di perseguire la sua pretesa risarcitoria nelle sedi proprie Sez. 3, n. 10792 del 08/06/1994, Armellini, Rv. 200381 . 2.2. In una prospettiva diametralmente opposta, si è invece sostenuto che sussiste l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione con la quale l’imputato è stato prosciolto con la formula perché il fatto non costituisce reato, anche quando questa manca di efficacia preclusiva ciò al fine di ottenere l’affermazione della responsabilità per il fatto illecito. Infatti chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale posizione Sez. 3, n. 6581 del 15/04/1999, Lamanuzzi, Rv. 213840. In senso conforme, cfr. Sez. 5, n. 15245 del 23/02/2005, Nalesso, Rv. 232157 . 2.3. L’ammissibilità dell’impugnazione della parte civile è stata poi sostenuta da altre decisioni che hanno tracciato un differente percorso argomentativo, imperniato non già sulla ritenuta irrilevanza della mancata produzione di effetti preclusivi per la proposizione dell’azione in sede civile cfr. supra, § 2.2 , ma sull’attribuzione di tali effetti anche alla sentenza assolutoria pronunciata con la formula che qui interessa. Si è in particolare affermato che la parte civile ha interesse ad impugnare la sentenza di primo grado che abbia assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato, giacché, a norma dell’art. 652 c.p.p., l’azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa non solo quando l’imputato è stato assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, ma anche quando è stato assolto perché il fatto non costituisce reato, attesa l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la esistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’unità della funzione giurisdizionale Sez. 4, n. 9795 del 05/12/2000, dep. 2001, Burgaretta, Rv. 218283. Nello stesso senso, cfr. Sez. 5, n. 3416 del 19/01/2005, Casini, Rv. 231419 . 3. La questione controversa è stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, n. Guerra, Rv. 240815 , che l’hanno peraltro esaminata sotto un particolare angolo prospettico, strettamente correlato alla specifica questione devoluta relativa alla sussistenza o meno dell’interesse della parte civile a proporre ricorso immediato per cassazione, contro una sentenza di assoluzione dal reato di diffamazione a mezzo stampa con la formula perché il fatto non sussiste a norma dell’art. 51 c.p. , allo scopo di ottenere la diversa formula assolutoria perché il fatto non costituisce reato . 3.1. Il Supremo Consesso, nell’ambito di un’ampia ricostruzione sistematica in tema di interesse ad impugnare dei vari soggetti processuali, e di contenuto delle varie formule assolutorie, ha in primo luogo - per quanto qui specificamente interessa - favorevolmente richiamato l’indirizzo interpretativo cfr. supra, § 2.2 che riconosce alla parte civile l’interesse ad impugnare la sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato , anche se priva di effetti preclusivi, perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio cfr. pag. 13 . 3.2. Altrettanto esplicitamente, le Sezioni Unite hanno invece poi disatteso l’altro orientamento in precedenza richiamato cfr. supra, § 2.3 che ha ritenuto sussistere l’interesse ad impugnare della parte civile riconoscendo efficacia preclusiva anche alla sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato , attraverso un’interpretazione analogica dell’art. 652 c.p.p. fondata sul principio dell’unitarietà della giurisdizione. Il Supremo Collegio ha escluso la fondatezza di tale percorso argomentativo, perché il principio dell’unitarietà della giurisdizione affermatosi nella vigenza dell’art. 25 c.p.p. 1930 non può ritenersi tuttora vigente nell’odierno sistema improntato al modello accusatorio, che ammette l’esercizio contemporaneo dell’azione penale e di quella civile e la possibilità di pervenire a giudicati tra loro discordanti difetta quindi, per le Sezioni Unite, il presupposto fondante l’interpretazione analogica dell’art. 652 cfr. pag. 14 . 3.3. Nell’affermare la necessità che l’interesse della parte civile sia apprezzato anche sotto il profilo della sua concretezza come accennato, il caso di specie concerneva un’impugnazione finalizzata solo a sostituire la formula assolutoria il fatto non sussiste con quella il fatto non costituisce reato , essendo stato accertato l’esercizio del diritto di critica , il Supremo Consesso ha per un verso accolto e ribadito l’interpretazione - sostenuta dalla giurisprudenza civile assolutamente prevalente, sulla scorta della lettera dell’art. 652 e dei lavori preparatori - secondo cui quando l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato è stata pronunciata per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, o per la presenza di una causa di giustificazione diversa da quella di cui all’art. 51 c.p. o per un’altra ragione, la sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio di danno e spetta al giudice civile o amministrativo il dovere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del giudizio penale Cass. civ., Sez. III, 30 ottobre 2007, n. 2883, m. 600388 Sez. III, 14 febbraio 2006, n. 3193, m. 590619 Sez. III, 19 luglio 2004, n. 13355, m. 575647 Sez. III, 17 novembre 2003, n. 17374, m. 568227 Sez. III, 18 luglio 2002, n. 10412, m. 555882 Sez. III, 7 agosto 2002, n. 11920 Sez. III, 30 luglio 2001, n. 10339, m. 548623 cfr. pag. 18 della sentenza . 3.3.1. Per altro verso, le Sezioni Unite hanno posto l’accento sulla necessità di aver riguardo, quanto alla sussistenza di un effetto preclusivo per coltivare l’azione in sede civile, non tanto alla formula assolutoria utilizzata di per sé non decisiva , quanto piuttosto al concreto accertamento compiuto dal giudice e ricostruito in sentenza nella specie, l’interesse ad impugnare è stato escluso, perché - al di là della formula impropriamente utilizzata - il giudice aveva accertato che il fatto sussisteva, ma era privo di illiceità perché compiuto nell’esercizio di un diritto accertamento che perciò era destinato a far stato nel giudizio civile . 4. L’intervento delle Sezioni Unite non ha impedito il persistere di un panorama giurisprudenziale tutt’altro che omogeneo, anche nelle più recenti pronunce. 4.1. Secondo un primo orientamento, è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato, non avendo tale sentenza efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno così da ultimo Sez. 4, n. 42460 del 09/05/2018, Scolavino, Rv. 274367 . Tale decisione - relativa ad una riforma assolutoria in appello di una sentenza di condanna per lesioni gravissime, con conseguente revoca delle statuizioni civili - ha evidenziato, a sostegno dell’inammissibilità dei motivi proposti, che dal loro accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto favorevole per la parte civile, atteso che dall’annullamento della gravata pronuncia risulta esclusa la reviviscenza delle statuizioni assunte dal giudice di primo grado, e la parte ricorrente non vanta un interesse attuale e concreto ad un nuovo accertamento dei fatti, che non possa essere autonomamente svolto dal giudice civile con domanda proposta dinanzi a detta autorità pag.2 . La sentenza ha anche ampiamente richiamato i principi affermati dalle Sezioni Unite Guerra, quanto alla infondatezza del contrario indirizzo volto ad interpretare analogicamente l’art. 652 c.p.p. in una prospettiva di unitarietà della giurisdizione cfr. supra, § 3.1. . Nello stesso senso, con espliciti richiami alle Sezioni Unite e alla giurisprudenza civile che attribuisce rilievo decisivo non alla formula utilizzata, ma all’effettivo accertamento fondante la decisione assolutoria, cfr. Sez. 4, n. 1229 del 26/10/2017, dep. 2018, Cardinale, Rv. 271936 . Alle medesime conclusioni di inammissibilità, per difetto di interesse, sono pervenute anche altre decisioni, che, oltre a richiamare ampiamente i principi delle Sezioni Unite Guerra, si sono soffermate sulla diversa tipologia di giudizio cui è chiamato il giudice civile, rispetto a quello penale. In particolare, in una fattispecie di riforma in senso assolutorio della decisione di condanna per lesioni stradali, determinata dal dubbio della Corte d’Appello circa la sussistenza di profili di colpa, si è osservato che tale affermazione, che si traduce nella formula assolutoria correttamene adottata il fatto non costituisce reato , se è sufficiente ad assolvere l’imputata sul piano penale, non vincola il giudice civile essendo anche profondamente diversi i metri di giudizio. Il primo giudica sul presupposto dell’innocenza presunta dell’imputato, la prova della cui colpevolezza deve essere fornita esclusivamente dalla pubblica accusa e fondarsi su certezze che escludano ogni ragionevole dubbio sicché anche la minima incertezza sul -punto è sufficiente a sciogliere l’imputato dall’accusa e a sollevare il giudice dall’indagare ulteriormente sul fatto. Il secondo, invece, giudica in base a regole e criteri di giudizio non sempre uniformi si pensi ai diversi oneri probatori a carico dell’attore e del convenuto in caso di responsabilità contrattuale o, al contrario, di responsabilità extra-contrattuale , che comportano, talvolta, il ricorso a presunzioni di responsabilità come nel caso degli incidenti stradali art. 2054 c.c. o si fondano su forme di responsabilità oggettiva, entrambi inaccettabili nel processo penale. Ne consegue che il dubbio sulla colpa dell’imputata, nutrito in sede penale, se svuota l’ipotesi accusatoria della forza necessaria a vincere la presunzione della sua innocenza, in sede civile non solo non fa venir meno, ma rafforza addirittura la presunzione di colpa prevista dall’art. 2054, c.c. cfr., sul punto, Cass. civ., Sez. 3, n. 9197 del 30/08/1995, Rv. 493819 Cass. civ., Sez. 3, n. 10575 del 28/10/1997, Rv. 509290 Sez. 3, n. 41462 del 30/03/2016, Santirocco, Rv. 267976 . Su tali basi, la sentenza ha concluso che poiché dunque la sentenza impugnata non vincola l’accertamento del giudice civile sulla colpa dell’imputata, ne consegue che la parte civile non ha alcun interesse ad impugnarla, non potendo sortire l’annullamento alcun effetto utile e diverso dalla possibilità di agire direttamente in giudizio nei confronti dell’imputata stessa per il risarcimento del danno . In termini del tutto analoghi, cfr. anche Sez. 3, n. 24589 del 15/03/2017, Saporito, Rv. 270053. 4.2. A tale orientamento si contrappongono alcune decisioni che - nel riaffermare l’interesse della parte civile ad impugnare anche le sentenze assolutorie con la formula perché il fatto non costituisce reato - ripropongono la duplicità di percorsi motivazionali, tra loro alternativi, già rilevabile prima dell’intervento delle Sezioni Unite Guerra cfr. supra, § 2.2. e 2.3 . 4.2.1. In particolare, è stato per un verso ribadito l’indirizzo interpretativo secondo cui sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare, ai fini civili, la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato per mancanza dell’elemento psicologico , in quanto, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., l’azione civile per il risarcimento del danno da fatto illecito è preclusa, oltre che nei casi in cui l’imputato sia stato assolto per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, anche quando egli sia stato assolto perché il fatto non costituisce reato, data l’identità di natura e di intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili, con la conseguenza che un’eventuale pronuncia del giudice civile che dovesse affermare la sussistenza di tale elemento, escluso o messo in dubbio dalla sentenza penale irrevocabile, si porrebbe in contrasto con il principio dell’unità della funzione giurisdizionale Sez. 5, n. 9518- del 09/12/2015, dep. 2016, Martinelli, Rv. 267141 . Tale pronuncia ripropone quindi una interpretazione analogica dell’art. 652 c.p.p. imperniata sul principio della unitarietà della giurisdizione, precedentemente affermata dalle sentenze Burgaretta e Casini cfr. supra, § 2.3. , nonostante tale percorso argomentativo - come già più volte accennato - sia stato espressamente disatteso dalle Sezioni Unite cfr. supra, § 3.2 . Si tratta di un indirizzo ancor più di recente ribadito da altre decisioni non massimate cfr. Sez. 5, n. 33867 del 06/04/2017, Borrelli che definisce pacifico l’orientamento della sentenza Martinelli Sez. 5, n. 8366 del 13/01/2017, Porrovecchio in consapevole dissenso dalla sentenza Santirocco su cui cfr. supra, § 4.1 nella medesima prospettiva, tra le decisioni non massimate, v. anche Sez. 3, n. 39851 del 01/04/2014, D.A.L 4.2.2. Del tutto diversa è l’ottica ricostruttiva in cui si pongono altre pronunce, che peraltro pervengono alle medesime conclusioni di ammissibilità dell’impugnazione. Si è infatti affermato che sussiste l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione di assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato , in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’art. 652 c.p.p., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, riconosciuto in termini generali alla parte civile nel processo penale dall’art. 576 c.p.p. perché chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della controparte, si giova di tale accertamento e si trova in una posizione migliore di chi deve cominciare dall’inizio Sez. 2, n. 36930 del 04/07/2018, Addonisio, Rv. 273519 . È opportuno porre in evidenza che anche questo indirizzo - come quello che esclude l’ammissibilità dell’impugnazione cfr. supra, § 4.1 - si richiama ampiamente alla sentenza Guerra delle Sezioni Unite, valorizzandone peraltro profili differenti in particolare, la parte in cui il Supremo Consesso disattende la tesi dell’unitarietà della giurisdizione e della conseguente interpretazione analogica dell’art. 652, e la parte in cui riconosce invece l’interesse della parte civile ad impugnare sentenze assolutorie anche se prive di efficacia preclusiva, come già precedentemente affermato dalle sentenze Lamanuzzi e Nalesso cfr. supra, § 3.1. e 2.2. . A sostegno delle proprie conclusioni, la sentenza Addonisio evidenzia tra l’altro, in motivazione, che diversamente opinando si costringerebbe la parte civile, che intende impugnare la sentenza assolutoria perché il fatto non costituisce reato, a rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto nel processo penale ed a riavviare ab initio l’accertamento in sede civile il che contravviene espressamente alle esigenze di contenimento dei tempi dell’accertamento giurisdizionale. La indipendenza della responsabilità aquiliana dall’accertamento del dolo non può, quindi, in assenza di una espressa limitazione del potere di impugnazione essere interpretata come ostativa all’esercizio dei poteri di impugnazione riconosciuti alla parte civile nel processo penale . Tale prospettiva ermeneutica è stata ribadita, da ultimo, da Sez. 2, n. 41784 del 18/07/2018, Tola concernente tra l’altro una fattispecie, del tutto analoga a quella oggi in esame, di riforma in senso assolutorio di una condanna in primo grado per il delitto di truffa aggravata, fondata sul mancato riconoscimento della sussistenza dell’elemento psicologico nella medesima prospettiva, tra le decisioni non massimate, cfr. anche Sez. 4, n. 23639 del 20/04/2012, Riggillo. 5. In tale controverso panorama interpretativo, ritiene questo Collegio necessario un intervento delle Sezioni Unite per chiarire se sussista l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.