Ai clienti pesce surgelato e decongelato: l’omessa indicazione sul menù vale una condanna

Confermata la sanzione nei confronti dei due titolari di un ristorante giapponese per loro 2 mesi di reclusione e 80 euro di multa a testa. Nessun dubbio per i Giudici sulla frode tentata ai danni degli avventori.

Menù non completamente veritiero. Più precisamente, non sono indicati i prodotti – pesce, soprattutto – surgelati o decongelati. Inevitabile la condanna per i titolari del ristorante – giapponese –, ritenuti colpevoli di tentata frode commerciale ai danno dei clienti Cassazione, sentenza n. 13726/19, sez. III Penale, depositata oggi . Prodotti. Decisiva sul fronte giudiziario è la valutazione compiuta dai Magistrati della Corte d’Appello, i quali dissentono dalla pronunzia assolutoria emessa dai colleghi del Tribunale e ritengono che il non avere comunicato alla clientela, mediante indicazione sul menù, la somministrazione di pesce decongelato e surgelato è catalogabile come azione finalizzata a vendere agli avventori quel cibo come pesce fresco . Conseguenziale, quindi, la condanna per i due proprietari del ristorante giapponese, fermati prima di riuscire a mettere in pratica la frode per loro la pena è di 2 mesi di reclusione e 80 euro di multa a testa. Decisione corretta, confermano ora dalla Cassazione, rendendo definitiva la condanna emessa in Appello. I Magistrati sottolineano che il nucleo essenziale della condotta contestata risiede non nella mancata specificazione nel menù che i prodotti erano freschi, ma piuttosto nella circostanza che in tale menù non era stato chiarito che alcuni alimenti posti in vendita erano congelati, sebbene si trattasse in realtà di prodotti non freschi .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre 2018 – 29 marzo 2019, n. 13726 Presidente Aceto - Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del Tribunale di Terni del 22 giugno 2015, Yo. Zh. e Li. Zh. venivano assolti, perché il fatto non sussiste, dal reato di cui agli art. 110, 56 e 515 cod. pen., a loro contestato per avere compiuto in concorso fra loro, quali legali rappresentati del Ristorante Self Service La Piramide-Ginza S.r.l. , sito in omissis , nell'esercizio della predetta attività commerciale, atti idonei, rappresentati dal non aver comunicato alla clientela, mediante indicazione sul menù, la somministrazione di pesce decongelato/surgelato, diretti in modo non equivoco a vendere al pubblico questo cibo come pesce fresco, non riuscendo nel tentativo per cause indipendenti dalla propria volontà, fatti accertati il 28 gennaio 2012. Con sentenza del 3 marzo 2017, la Corte di appello di Perugia, in riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell'appello proposto dal P.M., condannava entrambi gli imputati alla pena di mesi 2 di reclusione ed Euro 80 di multa ciascuno, disponendo altresì la pubblicazione della sentenza sul sito internet del Ministero della Giustizia per la durata di giorni 15. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello umbra, Yo. Zh. e Li. Zh., in data 11 luglio 2017, hanno proposto, personalmente e in maniera congiunta, ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo, gli imputati lamentano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 515 cod. pen., nella forma tentata, sottolineando innanzitutto che la condotta descritta nel capo d'imputazione non era stata riscontrata, non essendo dimostrato che nel menù fosse specificato che i prodotti erano freschi, essendo stata provata la sola circostanza che nel locale vi fosse anche pesce fresco, la cui presenza varrebbe già a escludere la sussistenza del tentativo di frode in commercio in ogni caso, i ricorrenti hanno richiamato l'orientamento di questa Corte, secondo cui la mancata specificazione sul menù della freschezza dei cibi non integrerebbe gli estremi del tentativo del delitto ex art. 515 cod. pen., non essendo tale condotta un atto idoneo diretto in modo non equivoco a compiere il reato di frode in commercio, mancando il requisito dell'univocità degli atti, ravvisabile soltanto quando vi sia stato almeno un inizio di contrattazione con un determinato cliente, aspetto questo non ravvisabile nel caso di specie. Del resto, hanno aggiunto i ricorrenti, il legislatore, tutte le volte in cui ha voluto sanzionare anche la semplice messa in vendita, lo ha espressamente affermato. Con il secondo motivo, infine, viene censurato il trattamento sanzionatorio, dolendosi in particolare gli imputati, anche sotto il profilo della carenza di motivazione, della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nonostante la contenuta rilevanza del reato contestato. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. 1. Iniziando dal primo motivo, deve ritenersi immune da censure il giudizio della Corte territoriale circa la configurabilità della fattispecie contestata. Ed invero, in punto di ricostruzione fattuale, occorre evidenziare che, a differenza di quanto dedotto dai ricorrenti, l'istruttoria dibattimentale, per come riportata sinteticamente dai giudici di merito, non ha affatto smentito la condotta descritta nell'imputazione, avendo il Tribunale e la Corte territoriale operato solo una diversa qualificazione giuridica del fatto, che tuttavia, almeno nella sua dimensione fenomenica, deve ritenersi pacifica, dovendosi precisare al riguardo che il nucleo essenziale della condotta contestata risiede non nella mancata specificazione nel menù che i prodotti erano freschi, ma piuttosto nella circostanza che in tale menù non era stato chiarito che alcuni alimenti posti in vendita erano congelati, sebbene si trattasse in realtà di prodotti non freschi. Proprio tale circostanza fattuale, peraltro, è stata correttamente valorizzata dalla Corte di appello ai fini della valutazione sulla sussistenza del reato contestato, posto che il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità è, in maniera condividibile, nel senso che la detenzione all'interno di un esercizio commerciale di alimenti congelati o surgelati, senza che nel menù siano indicate queste qualità, integra il reato di tentativo di frode in commercio, poiché tale comportamento dimostra univocamente la volontà dell'esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita, e ciò indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore cfr. in termini Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, Rv. 270836 Sez. 3, n. 30173 del 17/01/2017, Rv. 270146 e Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 259149 . L'affermazione della rilevanza penale del fatto contestato la cui ascrivibilità agli imputati, sotto il profilo soggettivo, non è oggetto di censura risulta quindi coerente con tali premesse ermeneutiche, dovendosi unicamente aggiungere in proposito la scarsa pregnanza del fatto che, nel ristorante gestito dai ricorrenti, fosse presente anche del pesce fresco, non essendo tale circostanza di per sé idonea a smentire il dato che, rispetto ad altri alimenti pure indicati nel menù e quindi parimenti proposti in vendita nel locale, non era specificato che si trattava in realtà di prodotti congelati e non freschi, il che, come si è detto, è sufficiente a integrare il tentativo di frode in commercio in ordine a tali alimenti. Di qui l'infondatezza della doglianza difensiva. 2. Passando al secondo motivo di ricorso, deve altresì rilevarsi che, anche nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Deve rilevarsi al riguardo che in favore di entrambi gli imputati sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche, peraltro applicate nella massima estensione, risultando la pena finale irrogata per la cui determinazione si è tenuto conto della diminuzione per il tentativo , pari a mesi 2 di reclusione ed Euro 80 di multa, molto più vicina al minimo che alla metà del massimo edittale. Quanto al diniego della sospensione condizionale della pena, deve evidenziarsi che non vi fu una formale richiesta di tale beneficio nel giudizio di secondo grado, per cui la doglianza difensiva non appare meritevole di accoglimento, dovendosi sul punto richiamare la recente affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte sentenza del 25 ottobre 2018, la cui motivazione non risulta ancora depositata , secondo cui, fermo il dovere di motivazione da parte del giudice, l'imputato non può dolersi della mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, qualora non l'abbia richiesta nel giudizio di appello. 3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.