L’attribuzione fittizia dei beni ad un familiare non è ostativa alla configurazione della fattispecie delittuosa

È orientamento assolutamente consolidato quello secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 12-quinquies della l. n. 356/1992, ora art. 512-bis c.p., è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni od altre utilità, e ciò anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 12680/19, depositata il 21 marzo. Il caso. Il Tribunale di Messina, sezione del Riesame, confermava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’esecuzione di misure cautelari nei confronti di plurimi soggetti indagati in concorso tra loro di trasferimento fraudolento di valori ex art. 512- bis c.p. prima art. 12- quinquies l. n. 356/92 e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11 d.lgs. 74/2000. Avverso l’ordinanza custodiale ricorrevano per Cassazione gli indagati, lamentando violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento sia alla sussistenza della gravità indiziaria per entrambe le fattispecie penali oggetto di contestazione – ex art. 273 c.p.p. – che alle esigenze cautelari ed ai criteri di scelta delle misure – ex artt. 274 e 275 c.p.p. . La struttura della fattispecie di reato elemento oggettivo e soggettivo. È orientamento assolutamente consolidato quello secondo cui ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 12- quinquies della l. n. 356/1992, ora art. 512- bis c.p., è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni od altre utilità, e ciò anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, dovendosi escludere che la presunzione di interposizione fittizia prevista dall’art. 26 d.lgs. n. 159/2011 in materia di prevenzione impedisca di configurare tale fattispecie di reato o renda necessario l’ulteriore accertamento, estraneo alla fattispecie, della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale. In ogni caso, chiarisce la Suprema Corte, ai fini della integrazione del reato non è, sic et simpliciter, sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare, in quanto occorre la prova, sia pure indiziaria ma comunque necessaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione. Fermo restando che, sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato, l’integrazione del delitto di cui all’art. 512- bis c.p., lo scopo elusivo che connota il dolo specifico prescinde dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell’inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l’esito. La figura del concorrente ed il suo contributo alla lesione dell’interesse protetto dalla norma. Il trasferimento fraudolento di valori è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o altro bene o utilità e consiste in una situazione di apparenza formale della titolarità del bene, difforme dalla realtà sostanziale, con la conseguenza che colui che si rende fittiziamente titolare di tali beni con lo scopo di aggirare la norma in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione di reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi ha operato la fittizia attribuzione, in quanto la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma. Nel caso trattasi di intestazione di quote di società in favore di un soggetto del tutto privo di capitali costitutivi nonché di ogni capacità organizzativa e gestionale, anche l’essere socio effettivo della società non osta alla configurazione della ipotesi criminosa de qua. Intercettazioni e linguaggio criptico motivazione immune da vizi se strutturata sulla scorta di massime di esperienza e priva di travisamenti. In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, la quale si sottrae al sindacato di legittimità se la valutazione operata risulti logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 dicembre 2018 – 21 marzo 2019, n. 12680 Presidente Cammino – Relatore Beltrani Ritenuto in fatto Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Messina, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato, quanto ai profili di gravità indiziaria, l’ordinanza coercitiva con la quale, in data 30.7.2018, il GIP del medesimo ufficio aveva ritenuto gli odierni ricorrenti gravemente indiziati dei reati di cui alla L. n. 356 del 1992, artt. 12-quinquies - ora art. 512-bis c.p. capo L e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte capo M , applicando a P.V. , in atti generalizzato, la misura cautelare della custodia in carcere, ed agli altri indagati quella degli AA.DD. Il Tribunale ha modificato quest’ultima statuizione nei confronti di P.S. e PE.SO. , in atti generalizzate, cui ha disposto applicarsi una misura non detentiva. Contro tale provvedimento, gli indagati M.V. da sola, P.V. , P.S. , PE.SO. , C.C. con ricorso congiunto ricorrono deducendo i seguenti motivi, in concreto di analogo tenore pur con riguardo alle rispettive posizioni I - mancanza di autonoma valutazione delle singole posizioni degli indagati, ad eccezione di quella di P.V. II - violazione degli artt. 273 e 309 c.p.p., nonché 512-bis c.p., con plurimi vizi di motivazione, anche per travisamento, quanto ai gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo L tutti contestano la ritenuta natura fittizia dei trasferimenti de quibus, confutando la valenza indiziante degli elementi fattuali valorizzati dal Tribunale, come già dal GIP lamentano che non sarebbero state adeguatamente vagliate le giustificazioni fornite da ciascuno di essi, ed in particolare dal presunto dominus della vicenda, P.V. sostengono la presunta incompatibilità logica della contestazione, in quanto postula che dante causa fosse il C. , a sua volta parte, quale terzo interessato, del procedimento prevenzione de quo lamentano la carenza del necessario elemento psicologico sostengono la non configurabilità del concorso del partecipe necessario - il soggetto c.d. interposto ovvero l’intestatario - del quale asseritamente la norma penale incriminatrice che si assume violata si disinteresserebbe lamentano, infine, difetto di motivazione quanto alla provenienza legittima o meno dei beni in questione III - violazione degli artt. 273 e 309 c.p.p., nonché D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, con plurimi vizi di motivazione, anche per travisamento, quanto ai gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo M tutti negano che le contestate dismissioni abbiano effettivamente svuotato la società in questione, e che le condotte accertate fossero effettivamente finalizzate a frustrare l’azione di recupero del credito tributario da parte dell’erario, nonostante l’avvenuta iscrizione ipotecaria asseritamente dimostrata dal documento in allegato 3 al ricorso, lamentando in proposito vizio di motivazione per travisamento della prova IV - violazione degli artt. 274 e ss. e 309 c.p.p., con plurimi vizi di motivazione, anche per travisamento, quanto alla valutazione in tema di esigenze cautelari e scelta della misura. In data 6.12.2018 è stata depositata nell’interesse degli indagati P.V. , P.S. , PE.SO. , C.C. una memoria difensiva. All’odierna udienza camerale, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, ed il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti. Considerato in diritto I ricorsi sono nel complesso infondati. 1. Deve premettersi che, come già chiarito da questa Corte Sez. 5, sentenza n. 49793 del 05/06/2013, Rv. 257825, S. , in tema di ricorso per cassazione avverso un’ordinanza cautelare del tribunale del riesame devono trovare applicazione le forme previste dall’art. 127 c.p.p., norma speciale rispetto a quella dell’art. 121 c.p.p., in ragione del richiamo espresso contenuto nell’art. 311 c.p.p., comma 5, sicché le eventuali memorie delle parti devono essere presentate in cancelleria fino a cinque giorni prima dell’udienza a pena di inammissibilità. 1.1. Ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 4, soltanto i motivi nuovi possono essere enunciati dal ricorrente davanti alla Corte di cassazione prima dell’inizio della discussione. 2. Deve ancora premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, la quale si sottrae al sindacato di legittimità se - come nel caso di specie - la valutazione operata risulti logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti per tutte, Sez. VI, n. 46301 del 20 ottobre 2013, rv. 258164 Sez. un., n. 22471 del 26 febbraio 2015, rv. 263715 . 3. Ciò premesso, il Tribunale f. 3 ss. dell’ordinanza impugnata , ha motivatamente ritenuto la natura fittizia dei trasferimenti immobiliari oggetto della contestazione provvisoria del reato di cui al capo L , ricostruendo puntualmente le intervenute vicende ed evidenziando che l’ipotesi d’accusa risulta decisivamente corroborata dalle intercettazioni delle conversazioni intervenute nei giorni 10 ed 11 settembre 2016 tra l’indagato P.V. ed il coindagato C.C. , dettagliatamente riportate ed incensurabilmente interpretate, in senso conforme, dai giudici del merito, motivatamente concludendo che i trasferimenti di beni operati, lungi dal costituire il frutto di genuine operazioni commerciali, hanno costituito solo una mera apparenza, uno schermo, cioè, dietro il quale l’indagato P.V. , effettivo dominus delle strutture societarie Per.Edil. s.r.l. e Co.Ste.Son. S.r.l. , ha tentato di porre al riparo il patrimonio sociale dai rischi di una temuta e possibile confisca di prevenzione, potendo a tal fine confidare sulla compiacente collaborazione prestata da diversi soggetti, appartenenti alla sua cerchia familiare o lavorativa, proni ai suoi voleri . Ogni interpretazione alternativa all’opzione accusatoria e liberatoria per gli indagati appare gravata da così patenti profili di astrattezza da costituire percorso radicalmente irricevibile . D’altro canto, la consapevole compartecipazione al predetto disegno criminoso degli altri coindagati incluse le figlie SO. e S. e, in relazione alla Per.Edil. s.r.l. , lo stesso C. , è palesata dal fatto che le operazioni eseguite sono prive, di per sé considerate, di ogni ragionevolezza sotto il profilo economico e recuperano un’intima coerenza solo ove si attribuisca loro il significato di passaggio imprescindibile nella realizzazione del composito programma delinquenziale . 3.1. È stato anche attentamente esaminato, ed incensurabilmente confutato f. 7 dell’ordinanza impugnata l’argomento difensivo secondo il quale le cessioni di beni in contestazione, in quanto effettuate in favore dei familiari del proposto o meglio di una società appartenente ad alcuni congiunti del proposto o, comunque, di soggetti che hanno assunto la veste di terzi interessati nella procedura di prevenzione, sarebbero di per sé inidonee ad integrare il reato in contestazione, correttamente conformandosi all’orientamento di questa Corte Sez. 6, sentenza n. 22568 del 11/04/2017, Rv. 270035, F. , per il quale ai fini della configurabilità del reato previsto dalla L. n. 356 del 1992, art. 12-quinquies - ora art. 512-bis c.p. - è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, dovendosi escludere che la presunzione di interposizione fittizia prevista dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, art. 26, in materia di prevenzione impedisca di configurare tale fattispecie di reato o renda necessario l’ulteriore accertamento, estraneo alla fattispecie, della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale. In motivazione, si è precisato che tra fattispecie penale e misura di prevenzione patrimoniale non sussiste un rapporto di alternatività, trattandosi di due procedimenti autonomi, che possono procedere parallelamente . 3.2. Il Tribunale ha ancora ricostruito l’atteggiamento psicologico che ha sorretto l’agire dei coindagati, osservando quanto segue che uno scopo elusivo ne abbia, infatti, ispirato l’azione è giudizio che già una prudente disamina delle emergenze sopra compendiate, se valutate nella loro successione logico-temporale, impone quale unico e necessitato risultato interpretativo peraltro, la fondatezza dell’assunto talmente evidente da non necessitare alcun ulteriore commento per coloro che hanno assunto la veste di attori, palesi ed occulti, negli atti di cessione di beni da un lato gli alienanti, C.C. e P.S. , dall’altro gli acquirenti, A.M. e P.T. nella veste di soci della Er.Gi. Costruzioni s.r.l. , e M.V. , sopra tutti P.V. , regista celato dell’intera operazione , dei quali la difesa non ha in maniera convincente spiegato la possibile utilità lecita per i soggetti che vi hanno partecipato, trova conferma ineludibile nel tenore delle conversazioni che, in data 10 ed 11 settembre 2016, P.V. e C.C. hanno intrattenuto, con il C. che ricorda con chiarezza all’interlocutore le finalità elusive che avevano ispirato il comune agire. In tal modo, il Tribunale si è ancora una volta correttamente conformato all’orientamento di questa Corte Sez. 2, sentenza n. 2483 del 21/10/2014, dep. 2015, Rv. 261980, L. , per il quale, ai fini dell’integrazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, lo scopo elusivo che connota il dolo specifico prescinde dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell’inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l’esito. 3.3. Il Tribunale ha specificamente esaminato la posizione di PE.SO. non corrisponde quindi al vero che detta posizione non sia stata specificamente ed autonomamente vagliata dal Tribunale osservando che il ruolo assunto dalla donna avere, per un verso, ceduto, nel marzo del 2016, la pressoché totalità delle quote della Per.Edil s.r.l. a C.C. , avere, poi, per altro verso, rivestito la veste di socia della Co.Ste.Son. S.r.l. . e di cessionaria delle relative quote a vantaggio del padre nel momento in cui il cespite romano era stato alienato , se valutato alla luce degli strettissimi rapporti che la legano alla maggior parte dei protagonisti della presente vicenda si consideri che ella è la figlia di P.V. e la moglie di A.V. , destinatario di una mole imponente dei beni immobili in precedenza appartenuti alla prima delle strutture societarie sopra menzionate , non appare comprensibile se non ascrivendole la veste di soggetto attivatosi, con piena consapevolezza e volontà, nell’alveo delle direttive impartitele dal padre, in funzione della realizzazione del programma criminale che l’attività d’indagine posta in essere nell’ambito del presente procedimento ha permesso di fare emergere . 3.4. Sono infondate le ulteriori questioni giuridiche poste dai ricorrenti. 3.4.1. Questa Corte è ormai ferma nel ritenere che il delitto di trasferimento fraudolento di valori non è un reato plurisoggettivo improprio, ma è una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o altro bene o utilità e consiste in una situazione di apparenza formale della titolarità del bene, difforme dalla realtà sostanziale, con la conseguenza che colui che si rende fittiziamente titolare di tali beni con lo scopo di aggirare le norma in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione dei reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi ha operato la fittizia attribuzione in quanto con la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma Sez. 1, sentenza n. 14626 del 10/02/2005, Rv. 231379, P. . Il principio è stato più recentemente ribadito da Sez. 2, sentenza n. 2243 del 11/12/2013, dep. 2014, Rv. 259822, R. per la quale il delitto di trasferimento fraudolento di valori si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o altro bene o utilità, talché colui che si renda fittiziamente titolare di tali beni risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi ha operato la fittizia attribuzione. Nella specie, relativa all’intestazione di quote di società in favore di soggetto del tutto privo di capitali costitutivi nonché di ogni capacità organizzativa e gestionale, si è affermato che anche l’essere socio effettivo di una società non osta alla configurazione della ipotesi criminosa e da Sez. 1, sentenza n. 39567 del 13/06/2014, Rv. 260904, T. per la quale, in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori, colui che si rende fittiziamente titolare di denaro, beni o altre utilità, al fine di eludere le norme in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione di reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, risponde, a titolo di concorso, del medesimo reato ascritto a colui che ha operato la fittizia attribuzione, in quanto, con la sua condotta cosciente e volontaria, contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice . 3.4.2. Si è, infine, chiarito Sez. 6, sentenza n. 26931 del 29/05/2018, Rv. 273419, C. che, ai fini dell’integrazione del reato di intestazione fittizia di beni, di cui alla D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-quinquies, comma 1, non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare, in quanto occorre la prova, sia pur indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione di misure di prevenzione. 3.5. Il Tribunale ha, inoltre, motivatamente ritenuto integrato il reato tributario di cui al capo M , in particolare valorizzando f. 10 ss. dell’ordinanza impugnata gli accertati imponenti interventi dismissivi dei patrimoni immobiliari della Per.Edil. s.r.l. e della Co.Ste.Son. S.r.l. , in dettaglio riepilogati. 3.5.1. La documentazione invocata dalla difesa per contestare l’affermazione che la prima delle predette società fosse divenuto un guscio vuoto, poiché esisterebbe non una mera comunicazione preventiva di ipoteca - di per sé insignificante - ma la successiva iscrizione ipotecaria - in ipotesi idonea a corroborare la tesi difensiva - è priva di sottoscrizione, il che impone allo stato di ritenerne l’inesistenza giuridica. 3.6. Il Tribunale ha, infine, ritenuto per tutti la sussistenza di un pericolo di recidiva particolarmente elevato, attuale e concreto, documentato dalla particolare intensità del dolo e dalla capacità criminale palesata attraverso i reiterati e sofisticati interventi elusivi posti in essere, e conseguentemente la necessità delle indicate misure cautelari, motivatamente diversificando le posizioni dei singoli indagati f. 12 ss. dell’ordinanza impugnata . 3.7. Nell’ambito delle disamine riguardanti la configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ipotizzati, la sussistenza di esigenze cautelari, e la conseguente scelta delle misure per ciascun indagato adeguate, sono state puntualmente ed autonomamente esaminate le posizioni di tutti gli indagati. 3.7.1. D’altro canto la relativa doglianza degli indagati è del tutto priva della necessaria specificità, in difetto della compiuta indicazione degli elementi dai quali asseritamente desumere l’assenza della prescritta autonoma valutazione. 3.8. In definitiva, i ricorrenti, in concreto, si limitano a riproporre la propria diversa lettura delle risultanze acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, e sollecitandone la rilettura, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti delle conversazioni e degli ulteriori elementi valorizzati. 4. Il rigetto dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 4.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter nei confronti di P.V. . P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter, nei confronti di P.V. .