La valutazione equitativa del danno morale da reato deve essere adeguatamente motivata

La liquidazione del danno morale è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito che deve comunque dare conto delle circostanze di fatto considerate e del percorso logico posto alla base della decisione.

Il fatto. La Corte d’Appello di Messina confermava la condanna di primo grado inflitta ad un imputato perché, abusando della qualità di ispettore di polizia, era intervenuto in una controversia familiare, sollecitando i protagonisti a chiudere pacificamente la questione minacciando, in caso contrario, un controllo da parte dei colleghi sull’attività imprenditoriale svolta dalla persona offesa. Il difensore dell’imputato chiede la cassazione della pronuncia per violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato, nonché alla determinazione delle somme liquidate in via equitativa a titolo di risarcimento del danno morale. Sussistenza del reato di concussione. Ferma restando la genericità della prima censura, la Corte di legittimità conferma la pronuncia impugnata in relazione alla sussistenza del reato di concussione per la portata intimidatoria e coartante della minaccia perpetrata. Correttamente infatti i Giudici di merito hanno riscontrato un disvalore nella condotta del ricorrente per l’abuso della propria qualità di ispettore di polizia e la strumentalizzazione della posizione di preminenza ricoperta dal pubblico ufficiale nei confronti del privato, condotta che ha creato nella persona offesa una stato di soggezione per la percezione della concretezza ed effettività del male minacciato. Statuizioni civili. La liquidazione del danno morale, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito che deve comunque dare contro della circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto alla base della decisione, senza che sia necessaria un’analisi analitica dei calcoli che hanno portato alla determinazione del quatum del risarcimento. La doglianza sul punto risulta dunque fondata non avendo la sentenza impugnato offerto una congrua motivazione in ordine alla liquidazione del danno morale. In conclusione la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 febbraio – 19 marzo 2019, n. 12219 Presidente Fidelbo – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto 1. Il difensore di D.M.D. ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza in data 27 gennaio 2013 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, che aveva dichiarato l’imputato colpevole del delitto di tentata concussione in danno di B.G. , perché, abusando della qualità di ispettore di polizia, era intervenuto nella controversia esistente tra il B. ed il nipote, creditore del primo, sollecitandolo a chiudere pacificamente la questione, minacciando, altrimenti, di mandare i colleghi a controllare i mezzi o mandarli presso la sua abitazione. Ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati 1.1 violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato contestato, in quanto doveva escludersi la valenza minatoria delle espressioni, asseritamente pronunciate dal ricorrente. La risposta della Corte di appello sul punto è tautologica, poiché non tiene conto che l’essenza della minaccia risiede nella prospettazione di un male o danno ingiusto e deve essere idonea ad incutere timore nella vittima infatti, non spiega come la persona offesa possa aver percepito un atteggiamento prevaricatorio del ricorrente e come possa essersi sentita coartata dalle generiche e scoordinate espressioni del ricorrente, riferite a dati futuri ed incerti 1.2 violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 323-bis c.p., in quanto giustificata con riferimento all’elemento strutturale del reato ovvero l’approfittamento della propria qualifica, senza, invece, considerare le ragioni della condotta ed il contesto in cui è maturata, la legittimità della pretesa e l’occasionalità della condotta 1.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione delle somme liquidate in via equitativa a titolo di risarcimento del danno morale, non risultando considerata nè l’intensità della violazione della libertà morale e fisica della persona offesa nè del turbamento psichico e dell’incidenza del reato sulla personalità della vittima. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato limitatamente alle statuizioni civili, inammissibile nel resto. 2. Il primo motivo è inammissibile per genercità. Il ricorrente contesta la configurabilità del reato per inidoneità delle espressioni pronunciate, riportate nel capo di imputazione, ad incutere timore nella persona offesa, ma si limita a censurare la mancanza di una sufficiente risposta dei giudici di appello. La censura è quindi, aspecifica e generica e non tiene affatto conto della motivazione resa dai giudici di merito, concordi nel ravvisare la valenza intimidatoria e coartante della minaccia, consistita nel prospettare alla persona offesa, titolare di una ditta di trasporti, di inviare i colleghi per sottoporre i mezzi a controlli, anche capziosi, in tal modo prospettandogli danni ingiusti per l’attività di lavoro. Tenuto conto che, anche a seguito della modifica normativa, ai fini della configurabilità del delitto di concussione non rileva, a differenza di quanto prospettato dal ricorrente, la portata più o meno coartante della minaccia, ma l’ingiustizia del male minacciato Sez. 6, n. 37475 del 21/01/2014, Salvatori e altri, Rv. 260793-01 , va evidenziato che l’asserita vaghezza della minaccia, dedotta nel ricorso, si riempie di contenuti in base alle dichiarazioni della persona offesa, riportate nella sentenza di primo grado pag. 5 , ove si specifica che il ricorrente aveva prospettato il sicuro esito positivo dei controlli perché si sa voi trasportatori sempre qualcosa di buono non c’avete sui mezzi, un fanale rotto, qualcosa o una revisione non fatta o gomme lisce , esortando la persona offesa a non costringerlo ad usare le maniere forti ed a risolvere la questione. In tal modo, era lo stesso ricorrente a riconnettere ai controlli prospettati l’uso di maniere forti , evitabile con l’adempimento del debito, vantato dal nipote e pacificamente ammesso dal B. . Pertanto, del tutto coerentemente i giudici di merito hanno ritenuto integrato il delitto contestato, sottolineando che il disvalore della condotta consiste nell’abuso della qualità e nella strumentalizzazione della posizione di preminenza ricoperta dal pubblico ufficiale nei confronti del privato, utilizzata dal pubblico ufficiale per fare pressione sulla persona offesa e costringerla ad adempiere per evitare il male ingiusto prospettatole, come avvenuto nella fattispecie. Tenuto conto della qualità del ricorrente e dei poteri connessi alla qualifica di ispettore di polizia, la prospettata possibilità di rivolgersi ai colleghi per far eseguire controlli mirati sui mezzi di trasporto della ditta della vittima è stata pertanto, ritenuta idonea a determinare nella vittima uno stato di soggezione e la percezione della concretezza ed effettività del male minacciato. Qualora, infatti, l’ipotesi d’accusa sia l’abuso della qualità rivestita dal pubblico ufficiale, come nella fattispecie, non è necessario ai fini della configurabilità del reato che l’atto intimidatorio rifletta la specifica competenza del soggetto attivo, essendo sufficiente che la qualità soggettiva del pubblico ufficiale lo agevoli e lo renda credibile e idoneo a costringere il soggetto passivo all’indebita promessa o dazione di denaro o di altra utilità è quindi, sufficiente che la vittima percepisca come probabile o anche solo come possibile un’estrinsecazione funzionale dei poteri del pubblico ufficiale non favorevole ai propri interessi e, per tal motivo, si senta costretto o indotto a dare o promettere l’utilità richiesta Sez. 6, n. 8512 del 13/01/2017, Di Riso, Rv. 269427 - 01 Sez. 6, n. 10604 del 12/02/2014, Ramello, Rv. 259896 - 01 Sez.6, n. 45034 del 09/07/2010, Pentimalli, Rv. 249030 . 2. Inammissibile è anche il secondo motivo, al quale i giudici hanno fornito congrua risposta, valorizzando la oggettiva gravità della condotta per la strumentalizzazione della propria qualifica soggettiva da parte del ricorrente al fine di risolvere un problema privato nell’interesse di un congiunto. Secondo l’orientamento di questa Corte la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di Marzio, Rv. 259501 . Nel caso di specie i giudici hanno, appunto, attribuito rilievo all’atteggiamento soggettivo del ricorrente ed al contesto specifico nel quale è intervenuto, facendo pesare la propria qualità, con indebita commistione tra interessi privati e prestigio della qualifica pubblica rivestita. 3. È, invece, fondato l’ultimo motivo relativo alle statuizioni civili. I giudici di appello si sono limitati a richiamare la motivazione del giudice di primo grado, senza avvedersi che la liquidazione del danno morale derivante dal reato secondo equità non era stata giustificata in alcun modo, nè hanno risposto alle specifiche censure difensive, che contestavano la statuizione per mancata indicazione degli elementi analizzati e l’eccessiva quantificazione in relazione alla natura tentata del reato. Considerato che secondo l’orientamento di questa Corte, la liquidazione del danno morale è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450-01 , la motivazione sul punto è del tutto assente. Conseguentemente, ai sensi dell’art. 622 c.p.p. la sentenza impugnata va annullata limitatamente al capo relativo alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Visto l’art. 622 c.p.p. annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Agli effetti penali dichiara inammissibile nel resto il ricorso.