È sempre punibile la coltivazione di droga?

La punibilità per la coltivazione di sostanze stupefacenti va esclusa solo se il giudice ne accerti la concreta inoffensività, ossia qualora risulti sostanzialmente irrilevante l’aumento della disponibilità della sostanza stessa.

Sul punto torna ad esprimersi la Corte di Cassazione con sentenza n. 12198/19, depositata il 19 marzo. Il caso. La Corte d’Appello fiorentina riconosceva la penale responsabilità dell’imputato per aver coltivato 10 piante di marijuana in 6 secchi dentro uno sgabuzzino nella propria abitazione. Il difensore dell’imputato ricorre in Cassazione per ottenere l’annullamento della sentenza di secondo grado visto che dalla valutazione del perito era ritenuto al limite il quantitativo di principio attivo rinvenuto nell’abitazione. La coltivazione di marijuana. Per la Suprema Corte il ricorso risulta infondato posto che la coltivazione non autorizzata di quelle piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante, anche se realizzata per uso personale della sostanza, quando viene accertata l’effettiva capacità della sostanza di produrre un effetto drogante. Del resto, la punibilità per la coltivazione va esclusa solo se il giudice ne accerti la concreta inoffensività, la quale si ha se risulta sostanzialmente irrilevante l’aumento della disponibilità della droga e non sia prospettabile alcun pericolo di sua ulteriore diffusione. E questo non è individuato nel caso in esame, dato che l’imputato aveva allestito una vera e propria coltivazione di marijuana, non episodica e destinata alla vendita. Da ciò deriva l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 ottobre 2018 – 19 marzo 2019, n. 12198 Presidente Fidelbo – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 4507/2017 la Corte di appello di Firenze, parzialmente riformando la decisione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, ha riconosciuto P.F. responsabile del reato D.P.R. n. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 73, comma 5, capo A - per avere coltivato 10 piante di marjuana in 6 secchi dentro uno sgabuzzino nella sua abitazione , illuminandole con una lampada e detenuto gr. 40 di foglie di marjuana stese per terra a essiccare - e, concedendo le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ha rideterminato la pena, mentre ha dichiarato non doversi procedere per il reato ex art. 697 c.p. capo B , perché estinto per prescrizione. 2. Nel ricorso presentato dal difensore di P. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo a vizio della motivazione e inosservanza e erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere trascurato di valutare se la concreta condotta di coltivazione ha leso il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, considerando, peraltro, che il perito che ha esaminato le piante ha ritenuto praticamente pari al limite il quantitativo di principio attivo rinvenuto nei reperti utilizzati e che, le foglie di marijuana sono state rinvenute in parte su una sedia e in parte a terra, a conferma della loro destinazione a uso personale b vizio della motivazione e violazione dell’art. 99 c.p. per avere fondato il riconoscimento della recidiva solo sui precedenti penali dell’imputato relativi a reati di indole differente rispetto a quelli per i quali si procede c omessa motivazione del rigetto del motivo di appello sulla non applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione d vizio della motivazione e violazione dell’art. 133 c.p., nel determinare una pena superiore al minimo edittale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 1.1. Relativamente al primo motivo, va ribadito che la coltivazione non autorizzata di piante dalle quali siano estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante, anche se realizzata per l’uso personale del prodotto, quando è accertata l’effettiva capacità della sostanza, ricavata o ricavabile, di produrre un effetto drogante con concreto pericolo di aumento di disponibilità dello stupefacente e di sua ulteriore diffusione Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Rv. 239920 Sez. 4, n. 17167 del 27/01/2017, Rv. 269539 Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Rv. 266168 . La punibilità per la coltivazione va esclusa solo se il giudice ne accerta la concreta inoffensività, che si ha se risulta sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di sua ulteriore diffusione Sez. 3, n. 36037 del 22/02/2017 - dep. 21/07/2017, Rv. 27180501 Sez. 4, n. 3787 del 19/01/2016, Rv. 265740 Sez. 6, n. 5254 del 10/11/2015, dep. 2016, Rv. 265641 . Nel caso in esame, come precisato nella sentenza impugnata, l’imputato aveva allestito quanto necessario per sviluppare una coltivazione non episodica di marijuana destinata alla vendita considerando che egli non fa uso di droga né svolge un lavoro al pari delle foglie di marijuana illecitamente detenute. 1.2. Relativamente al secondo motivo di ricorso, va rilevato che la Corte di appello ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva adeguatamente evidenziando la più accentuata pericolosità dell’imputato connessa ai reati per i quali si procede. 1.3. Relativamente al terzo motivo di ricorso, la mancanza di motivazione del rigetto del motivo di appello sulla non applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione è del tutto coerente con il loro riconoscimento come non più che equivalenti alla recidiva reiterata, nel limite di quanto consentito dall’art. 69 c.p., comma 4. 1.4. Relativamente al quarto motivo di ricorso, deve osservarsi che la determinazione della pena-base nella misura di 9 mesi di reclusione per il capo A risulta nell’arco che va dai sei mesi ai quattro anni prossima al minimo edittale - tanto più se si considera la rilevanza della continuazione interna per la detenzione di foglie di marijuana - e, pertanto, adeguatamente motivata con la valutazione che P. aveva avviato una attività di coltivazione non proprio minimale . 2. Dalla inammissibilità del ricorso deriva ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.