In tre provano a rubare una bici: esclusa la “non punibilità”

In Cassazione azzerata la decisione del Tribunale. Necessario un nuovo processo per tre uomini sotto accusa per tentato furto. Decisivo il calcolo della pena edittale massima.

Colpo non riuscito e i ladri debbono dire addio al loro obiettivo una bici. Impossibile, però, parlare di fatto non punibile”. Decisiva la constatazione che abbiano operato tre persone e con violenza sulle cose” Cassazione, sentenza n. 10046/19, sez. III Penale, depositata il 7 marzo . Aggravante. Sotto processo tre uomini, beccati mentre provavano a rubare una bici. Per i Giudici del Tribunale, però, l’episodio non vale una condanna. Così scatta l’assoluzione per la non punibilità” per particolare tenuità del fatto”. Valutazione, questa, prontamente contestata dalla Procura, che sceglie di proporre ricorso in Cassazione. In sostanza, viene sottolineato che ci si trova di fronte a un reato pluriaggravato che, pur derubricato nella forma tentata, resta punito con pena ampiamente superiore a quella della reclusione di cinque anni, limite oltre il quale la previsione edittale risulta ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto . Tale obiezione convince i giudici del ‘Palazzaccio’, i quali ritengono erronea la decisione presa dal Tribunale. Dirimente per escludere la non punibilità , come prevista dall’articolo 131- bis del Codice Penale, è la circostanza che la pena edittale per il reato ascritto ai tre imputati – pur derubricato nell’ipotesi tentata – si colloca ben al di sopra della soglia massima dei cinque anni di reclusione , spiegano i magistrati della Cassazione. Decisivi due dettagli primo, l’aggravante della violenza sulle cose secondo, la commissione del fatto ad opera di tre persone . Così, tirando le somme, la pena edittale massima è di sei anni e otto mesi, a seguito della derubricazione nell’ipotesi di furto tentato , concludono i Giudici. E ciò fa venire meno l’ipotesi della non punibilità”. Di conseguenza, i tre uomini sotto accusa dovranno affrontare un nuovo processo in Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 febbraio – 7 marzo 2019, n. 10047 Presidente Izzo - Relatore Pavich Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona ricorre avverso la sentenza con la quale, in data 3 aprile 2018, il Tribunale di Ascoli Piceno ha assolto D.Z.R. , A.M. e S.S. dal reato loro ascritto in rubrica artt. 110 e 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 5, e art. 61 c.p., n. 5 furto di una bicicletta, aggravato dal numero di tre persone, dalla violenza sulle cose e dall’aver commesso il fatto in circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa previa riqualificazione del detto reato nell’ipotesi tentata, è stata riconosciuta in favore degli imputati la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Nell’unico motivo di lagnanza, il P.G. ricorrente denuncia violazione di legge in riferimento all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., in relazione a reato pluriaggravato che, pur derubricato nella forma tentata, resta punito con pena ampiamente superiore a quella della reclusione di cinque anni, limite oltre il quale la previsione edittale risulta ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. 2. Il ricorso è fondato. È infatti dirimente, per escludere l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., la circostanza che la pena edittale per il reato ascritto agli imputati e ritenuto in sentenza - pur derubricato nell’ipotesi tentata - si colloca ben al di sopra della soglia massima dei cinque anni di reclusione di cui al citato art. 131 bis, comma 1 . In proposito è, in primo luogo, appena il caso di osservare che, ai fini della determinazione del limite massimo edittale oltre il quale non può parlarsi di particolare tenuità del fatto art. 131 bis c.p., comma 4 , rilevano le circostanze per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria del reato e di quelle a effetto speciale. Nella specie, tra queste ultime, oltre all’aggravante della violenza sulle cose cui fa espresso riferimento la sentenza impugnata , vi è anche quella della commissione del fatto ad opera di tre persone art. 625 c.p., comma 1, n. 5 aggravante espressamente contestata in rubrica, non esclusa dal Tribunale ed oggettivamente desumibile dalla stessa ricostruzione dei fatti accolta nella sentenza impugnata, avuto riguardo al numero di concorrenti nel reato. Perciò, le riconosciute aggravanti a effetto speciale portano la pena edittale massima a dieci anni di reclusione per l’ipotesi consumata art. 625 c.p., u.c. , e a sei anni e otto mesi a seguito della derubricazione nell’ipotesi tentata dovendosi prendere a riferimento, per stabilire la pena massima edittale, la diminuente minima di un terzo di cui all’art. 56 c.p., comma 2 . 3. Pertanto la sentenza impugnata va annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ascoli Piceno in diversa composizione monocratica. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ascoli Piceno.