Imputazione soggettiva dell’evento dannoso: devono ricorrere la prevedibilità e l’evitabilità

Con riferimento al reato di cui all’art. 589 c.p., l’addebito soggettivo dell’evento richiede non solo che esso sia prevedibile ma anche che sia evitabile dall’agente attraverso l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 9446/19, depositata il 5 marzo. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze condannava l’imputata quale responsabile di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale e, ritenendo il concorso di colpa della vittima in misura del 50%, dichiarava le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata operando una riduzione della pena. L’imputata ricorre in Cassazione denunciando il mancato raggiungimento della prova circa la sua responsabilità e l’imprevedibilità dell’evento. La prevedibilità ed evitabilità del danno. Sul punto, la Suprema Corte, intervenuta sulla questione di diritto, considera la motivazione della pronuncia di secondo grado e rimarca il fatto che, in tema di reati colposi, in particolare del reato di cui all’art. 589 c.p., l’addebito soggettivo dell’evento richiede non solo che l’evento dannoso sia prevedibile ma anche che lo stesso sia evitabile dall’agente attraverso l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine questo perché non può essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con antecedente valutazione, non avrebbe potuto comunque essere evitato. Ora, nel caso in esame, i giudici d’appello, pur evidenziando la corresponsabilità del ciclista, hanno erroneamente affermato che l’imputata automobilista avrebbe dovuto prevedere la sua condotta. Da ciò deriva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 gennaio – 5 marzo 2019, n. 9446 Presidente Izzo – Relatore Menichetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 21 ottobre 2016 la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Lucca, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato F.M.D. quale responsabile del reato di omicidio colposo di L.L.A. , aggravato dalla violazione della normativa sulla circolazione stradale, riteneva il concorso di colpa della vittima in misura del 50%, dichiarava le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante ed operava una riduzione della pena inflitta in prime cure, confermando le statuizioni civili. 2. Ha rilevato la Corte territoriale che intorno alle ore 19.50 del omissis la F. percorreva in omissis una rotatoria seguendo il normale senso antiorario e nella circostanza veniva a collisione con una bicicletta condotta dall’anziano L. , che secondo la prima ricostruzione procedeva in una posizione più avanzata e spostata sulla sinistra rispetto all’autovettura. Ha ravvisato nella condotta di guida dell’imputata la violazione della norma a carattere generale di cui all’art. 140 C.d.S., nonché delle norme di comportamento art. 149 C.d.S. che impongono all’automobilista di mantenere un’adeguata distanza dai veicoli che lo precedono ed anche una distanza laterale di sicurezza nella fase di sorpasso dei velocipedi, soprattutto quando si procede su una rotatoria. Ha considerato, in base ai danni riportati dai mezzi, che il contatto era avvenuto tra lo spigolo anteriore sinistro del paraurti dell’autovettura e la ruota posteriore della bicicletta, che era stata vistosamente deformata dalla collisione che i due veicoli procedevano all’interno della medesima corsia di marcia quella di sinistra della rotatoria e che pacificamente l’auto della F. si trovava dietro la bicicletta dunque all’imputata si imponeva una condotta di guida particolarmente attenta ed il rispetto di un’adeguata distanza di sicurezza. Ha ritenuto tuttavia anche a carico del L. una condotta violativa del codice della strada, in particolare dell’art. 143, che impone ai veicoli sprovvisti di motore di rimanere il più possibile vicino al margine destro della carreggiata, in quanto gli elementi acquisiti consentivano di ipotizzare una traiettoria obliqua del velocipede, che si stava spostando gradualmente verso l’esterno della rotatoria, avvicinandosi alla strada di uscita, ipotesi questa accreditata come probabile dalla Polizia Municipale, intervenuta sul posto, valutando soprattutto la deformazione della ruota posteriore della bicicletta. Tale condotta non escludeva, secondo i giudici di appello, la responsabilità della F. , che doveva avvistare per tempo il ciclista e regolare in modo congruo la propria velocità, in modo tale da consentire, in caso di necessità, un rapido arresto della marcia dell’auto. 3. Ha proposto ricorso l’imputata, tramite il difensore di fiducia, per i seguenti tre motivi. Primo contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione di norme risultanti dal testo del provvedimento impugnato con riferimento agli artt. 140 e 149 C.d.S È risultato accertato che la bicicletta si trovava all’interno della corsia interna della rotatoria, vicino al marciapiede, e non al suo esterno, e che stava procedendo intorno alla rotonda per obliquo, con manovra pericolosa, vietata ed imprevedibile e tagliando la strada all’auto all’improvviso. Non si era trattato dunque di un tamponamento ed inconferente era il richiamo al rispetto delle norme sulla distanza di sicurezza. Secondo mancato raggiungimento della prova circa la responsabilità della F. . L’incertezza nella ricostruzione della dinamica del sinistro - tanto che il Tribunale aveva parlato di tamponamento e la Corte d’Appello ha invece ravvisato il procedere obliquo del ciclista - non consentiva un’affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio . Terzo mancanza e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato con riferimento alla pena accessoria della sospensione della patente. La patente era stata sospesa per tre mesi dal Tribunale e la Corte, ritenuto il concorso di colpa, avrebbe dovuto ridurre tale periodo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato sotto il profilo della carenza motivazionale in ordine alla ricostruzione della esatta dinamica del sinistro ed alla responsabilità della F. , circa la concreta evitabilità dell’investimento del ciclista. 2. Lo sviluppo argomentativo della sentenza di primo grado è il seguente all’arrivo della Polizia Municipale la bicicletta era già stata rimossa mentre l’autovettura veniva rinvenuta nella posizione di quiete assunta dopo l’incidente sulla sede stradale non erano rilevate né frenate, né altre tracce riconducibili al sinistro l’auto della F. non presentava danni o segni palesi riconducibili allo scontro, mentre la bicicletta presentava una deformazione da destra verso sinistra della sella l’indagata aveva dichiarato che il ciclista le aveva tagliato la strada, spostandosi da sinistra verso destra, poco prima dell’imbocco per la via omissis , circostanza che aveva indotto i verbalizzanti a supporre che il L. si stesse spostando verso l’esterno della rotatoria, attraversando la carreggiata dalle dichiarazioni di alcuni testi era emerso invece che la bicicletta era in posizione più avanzata rispetto all’auto e prossima all’aiuola centrale della rotatoria, tanto che era stata vista a terra proprio vicino al marciapiede che le deformazioni della ruota del velocipede erano compatibili con un tamponamento, mentre un urto obliquo avrebbe molto verosimilmente prodotto danni alla parte laterale della bicicletta in ogni caso la F. aveva l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze e trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di superarle in modo da non arrecare danni ai terzi, ed anzi la presenza del ciclista, ben visibile in prossimità del marciapiede, avrebbe dovuto indurla ad una maggiore prudenza. 3. La Corte di Firenze - pur confermando il giudizio di colpevolezza per la violazione degli artt. 140 e 149 C.d.S. - ha invece ritenuto ipotizzabile una traiettoria obliqua del velocipede , che era possibile si stesse spostando gradualmente verso l’esterno della rotatoria per avvicinarsi alla strada di uscita, ipotesi che era stata accreditata come probabile dalla Polizia Municipale in considerazione della deformazione della ruota posteriore della bicicletta, ed ha pertanto attribuito al ciclista un pari concorso di colpa nella causazione dell’evento, per aver favorito l’urto trai due mezzi, se non altro per la posizione non consentita, sulla sinistra della carreggiata . Sulla base di tali modalità del fatto, diverse rispetto alla ricostruzione operata dal G.U.P., la Corte territoriale ha affermato che la F. doveva avvistare per tempo il ciclista e regolare in modo congruo la propria velocità, in modo tale da consentire, in caso di necessità, un rapido arresto della marcia dell’auto , con ciò quindi ritenendo che una condotta più prudenziale e rispettosa delle regole della circolazione stradale avrebbe in concreto reso l’evento evitabile. La motivazione sul punto appare carente. È stato più volte rimarcato da questa Corte Suprema che in tema di reati colposi, ed in particolare del reato di cui all’art. 589 c.p., l’addebito soggettivo dell’evento richiede non soltanto che l’evento dannoso sia prevedibile, ma altresì che lo stesso sia evitabile dall’agente con l’adozione delle regole cautelari idonee a tal fine, non potendo essere soggettivamente ascritto per colpa un evento che, con valutazione ex ante, non avrebbe potuto comunque essere evitato, e che in tema di colpa specifica è necessario che tale imputazione soggettiva dell’evento avvenga attraverso un apprezzamento in concreto della prevedibilità ed evitabilità dell’esito antigiuridico da parte dell’agente modello Sez.4, n. 34375 del 30/5/2017, Rv. 270823 Sez. 4, n. 7783 del 11/2/2016, Rv. 266356 Sez.4, n. 26239 del 19/3/2013, Rv. 255695 . Orbene, i giudici di appello, pur evidenziando la corresponsabilità del ciclista che marciava prossimo al margine sinistro della rotatoria e si spostava obliquamente verso l’esterno della carreggiata per avvicinarsi alla strada di uscita - ricostruzione in fatto che esula dal sindacato di legittimità - hanno affermato che l’automobilista avrebbe dovuto prevedere tale condotta e comunque, in maniera del tutto apodittica, hanno ritenuto che avesse in concreto la possibilità di evitare l’urto, e ciò senza nulla dimostrare sia in tema di velocità dell’auto investitrice sia sulla posizione della medesima auto al momento in cui il L. aveva iniziato a spostarsi verso la sua destra. Appare perciò necessario che l’argomento della imputazione soggettiva dell’evento venga ulteriormente approfondito. Ne deriva l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio. Restano assorbiti gli altri motivi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze per nuovo giudizio.