Disoccupato con figlio piccolo: comunque punibile l’occupazione della casa popolare

Respinte le obiezioni difensive proposte dagli imputati. Confermata la loro condanna, con pena fissata in un mese di reclusione e 100 euro di multa a testa. Irrilevante, secondo i Giudici, la situazione di difficoltà economica da loro lamentata.

Disoccupati e privi di risorse economiche questa evidente situazione di disagio non può però giustificare la scelta di occupare abusivamente una casa popolare. Inevitabile perciò la condanna nei confronti di due uomini e una donna. Irrilevante anche il richiamo alla necessità di garantire un tetto ai figli minori Cassazione, sentenza n. 8881/19, sez. II Penale, depositata il 1° marzo . Disagio. Linea di pensiero comune per i giudici del Tribunale e della Corte d’Appello le tre persone – una donna e due uomini – sotto processo per avere occupato un alloggio popolare di proprietà dell’‘Aterp’ vengono ritenute colpevoli e sanzionate con un mese di reclusione e 100 euro di multa a testa. La linea difensiva da loro adottata, e centrata sul disagio economico connesso allo stato di disoccupazione e sulla necessità di tutelare la salute dei figli minori, viene respinta anche in Cassazione. Impossibile, in sostanza, accettare la tesi che l’occupazione della casa popolare sia stata una scelta obbligata. Inutili, a questo proposito, il richiamo alla condizione di disoccupato in cerca di lavoro ma privo di risorse e di entrate economiche e la sottolineatura relativa alla necessità di dare alla figlia la possibilità di condurre una vita dignitosa . A fronte di questo quadro, i magistrati spiegano che la situazione di difficoltà lamentata dai soggetti sotto processo non poteva valere ad elidere la antigiuridicità della condotta da loro tenuta, difettando il requisito della attualità del pericolo, alla luce della durata e della stabilità della occupazione dell’immobile protrattasi nel tempo .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 novembre 2018 – 1 marzo 2019, n. 8881 Presidente Cervadoro – Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27.6.2017 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato quella con cui il Tribunale di Cosenza aveva riconosciuto Em. Di Ca., La. Pe. e Lu. Ma. responsabili del delitto di cui agli artt. 110, 633 e 639bis cod. pen. per avere occupato un alloggio popolare di proprietà dell'Aterp, sito in omissis e, riconosciute e tutti le circostanze attenuanti generiche, li aveva condannati alla pena di mesi 1 di reclusione ed Euro 100 di multa, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali con il beneficio della sospensione condizionale della pena 2. ricorrono per Cassazione Em. Di Ca., La. Pe. e Lu. Ma. lamentando 2.1 con ricorso sottoscritto dall'Avv. Angelo Nicotera, nell'interesse di Em. Sa. Di Ca. 2.1.1 violazione di legge con riferimento all'art. 54 cod. pen. osserva che, nel caso di specie, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, ricorreva lo stato di necessità anche in relazione ai requisiti della attualità e della gravità del danno alla persona con riferimento non soltanto al pregiudizio al diritto alla abitazione ma, anche, al diritto alla salute, entrambi di rango costituzionale egli era stato infatti identificato all'interno dell'alloggio unitamente alla propria convivente ed alla figlia di pochi anni cui aveva garantito in tal modo la possibilità di condurre una vita dignitosa non avendo alternative praticabili stante la sua condizione di disoccupato in cerca di lavoro e privo di risorse ed entrate economiche osserva che la Corte di Appello si è limitata a recepire la impostazione del giudice di primo grado quanto alla natura permanente e non meramente transitoria e limitata al tempo strettamente necessario a superare lo stato di necessità della occupazione dell'immobile che, per altro verso, non era stato oggetto di alcun provvedimento di assegnazione da parte della P.A. 2.1.2 errata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 cod. pen. rileva che, in ogni caso, la condotta di occupazione avrebbe dovuto essere valutata come motivata dall'intento di tutelare la salute propria e della propria figlia di pochi anni e, dunque, da un movente che risulta meritevole di particolare approvazione dalla coscienza sociale 2.2 con ricorsi, dal contenuto analogo, sottoscritti dall'Avvocato Ce. Ba. nell'interesse di Lu. Ma. e di La. Pe. 2.2.2 violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 125 cod. proc. pen., 157 e 54 cod. pen. rilevano che il fatto era stato accertato nell'agosto-settembre del 2008 e come tale era stato contestato con una formula chiusa che avrebbe dovuto portare a ritenere il reato prescritto già nel febbraio-marzo del 2016 osservano che sarebbe stato onere dell'Ufficio del PM dimostrare la interruzione della occupazione e, dunque, la permanenza della condotta quanto alla esimente di cui all'art. 54 cod. pen. segnala come la Corte di Appello si sia limitata a richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza senza calarsi nella valutazione della fattispecie concreta considerando che essi erano stati trovato nell'alloggio popolare unitamente alla moglie ed alla figlia di pochi anni, cui avevano dovuto reperire una abitazione non avendo alcuna risorsa economica essendo entrambi disoccupati aggiungono che non è stato considerato il carattere transitorio della occupazione. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono tutti inammissibili perché articolati su censure manifestamente infondate. 2. Preliminare, rispetto agli altri motivi, è il secondo motivo articolato nei ricorsi identici proposti nell'interesse di Lu. Ma. e di La. Pe., e con il quale, sul presupposto di una contestazione chiusa al mese di agosto settembre 2008, si deduce la intervenuta prescrizione del reato. È sufficiente, infatti, richiamare il tenore dei capi di imputazione elevati nei confronti degli odierni ricorrenti per rilevare come il fatto di occupazione di entrambi gli immobili Aterp era stato contestato in Mangone, accertato nell'agosto-settembre 2008 . Risalente ed assolutamente consolidato è l'orientamento di questa Corte secondo cui il delitto di cui all'art. 633 cod. pen., ove non si esaurisca nella pura e semplice momentanea invasione, ma si risolva in una occupazione che si sia protratta nel tempo come avvenuto nel caso in esame è di natura permanente cfr., tra le tante, Cass. Pen., 2, 27.11.2003 n. 49169, Cass. Pen., 3, 26.11.2003 n. 2.026 Cass. Pen., 2, 17.1.1999 n. 8.799 Cass. Pen., 2, 12.1.1990 n. 3.708 . Altrettanto pacifico è che nel reato di invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 cod. pen. la nozione di invasione non evoca necessariamente l'aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma il comportamento di colui che vi si introduce arbitrariamente , ovvero contra ius, in quanto privo del diritto d'accesso sicché la conseguente occupazione deve ritenersi pertanto l'estrinsecazione materiale della condotta vietata e, nel contempo, la finalità per la quale viene posta in essere l'abusiva occupazione cfr., Cass. Pen., 2, 11.11.2016 n. 53.005, Crocilla Cass. Pen., 2, 30.5.2000 n. 8.107, Pompei Cass. Pen., 2, 9.4.2009 n. 30.130, Albanesi che, come si è accennato, laddove si protragga nel tempo fa si che il delitto assume natura permanente, e cessa soltanto con l'allontanamento del soggetto dall'edificio o con la sentenza di condanna cfr., Cass. Pen., 2, 27.11.2003 n. 49169, Minichini Cass. Pen., 2, 11.4.2018 n. 20.132, che ha ribadito tale principio in tema di decorrenza del termine per proporre querela dando conto, ed esponendo le ragioni del dissenso, dell'orientamento, affermato in una decisione cfr., Cass. Pen., 2, 20.1.2017 n. 7.911, Pm in proc. Tripodi che concerneva il diverso problema del ne bis in idem nel caso di condotte reiterate, che aveva configurato il reato in esame come istantaneo ad effetti permanenti . Nel caso di specie, peraltro, si è in presenza di una contestazione aperta essendo perciò assodato che il termine di prescrizione, nel caso di reato permanente la cui condotta costitutiva non risulti e, invero, non sia stato nemmeno dedotto sia cessata in precedenza, decorre dalla data della sentenza di condanna in primo grado cfr., Cass. Pen., 6, 26.11.2003 n. 2.843, Mattei Cass. Pen., 6, 22.7.2015 n. 33.220, M. Cass. Pen., 6, 4.12.2013 n. 51.499, PG in proc. T. . Ed infatti, nella ipotesi di un reato permanente contestato nella forma cosiddetta chiusa , ovvero con precisa indicazione della data di cessazione della condotta illecita ad es. con la formula accertato fino al , il giudice può tener conto dell'eventuale protrarsi della consumazione soltanto se ciò sia oggetto di un'ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen. qualora invece il reato permanente sia stato contestato in forma cd. aperta essendosi il PM limitato ad indicare solo la data di inizio della consumazione, ovvero quella dell'accertamento il giudice può valutare, senza necessità di contestazioni suppletive, anche la condotta criminosa eventualmente posta in essere fino alla data della sentenza di primo grado cfr., Cass. Pen., 2, 20.4.2016 n. 20.798, PG in proc. Zagaria . Nel caso di specie, come accennato, nemmeno con il ricorso risulta essere stato dedotto che la occupazione dell'immobile era ad un certo punto cessata e venuta meno. 3. Manifestamente infondati sono, poi, i motivi di ricorsi, articolati nell'interesse di tutti gli imputati, in merito alla esclusione della scriminante di cui all'art. 54 cod. pen La Corte di Appello, nel vagliare la censura difensiva proposta in tutti gli atti di impugnazione, ha richiamato i presupposti dello stato di necessità per poi ritenere che la situazione di difficoltà, pur dedotta dagli imputati, non poteva valere ad elidere la antigiuridicità della condotta difettando il requisito della attualità del pericolo alla luce della durata e della stabilità della occupazione protrattasi nel tempo. In tal modo, quindi, i giudici di merito, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivata, hanno operato un apprezzamento fondato sui dati di fatto acquisiti e che, in diritto, risulta assolutamente corretta avendo più volte questa Corte chiarito che l'illecita occupazione di un bene immobile é scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione, sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo cfr., Cass. Pen., 2, 16.4.2013 n. 19.147, Papa, che ha affermato questo principio in un caso nel quale gli imputati avevano stabilmente occupato un immobile trasformandolo nella propria residenza abituale, la Corte ha affermato che lo stato di necessità, nella specifica e limitata ipotesi dell'occupazione di beni altrui, può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa cfr., anche, Cass. Pen., 2, 16.1.2015 n. 9.655, Cannalire secondo cui, in tema di occupazione abusiva di alloggi di edilizia economica e popolare, lo stato di necessità può essere invocato solo per un pericolo attuale e transitorio e non per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere in via definitiva la propria esigenza abitativa, tanto più che l'edilizia popolare è destinata a risolvere le esigenze abitative dei non abbienti, attraverso procedure pubbliche e regolamentate ed in cui la Corte ha escluso la sussistenza della scriminante, invocata dal ricorrente in ragione dello stato di gravidanza del coniuge e ha, altresì, ritenuto irrilevante la circostanza che il precedente assegnatario dell'immobile lo avesse liberato in favore dell'imputato, spettando tale funzione all'ente pubblico preposto conf., ancora, Cass. Pen., 2, 17.1.2008 n. 7.183, Adami Cass. Pen., 2, 11.2.2011 n. 8.724, Essaki Cass. Pen., 2, 26.3.2015 n. 28.067, PG in proc. Antonuccio . Con gli atti di appello non erano state dedotte censure in merito alla affermata stabilità della occupazione che, in realtà, non aveva formato oggetto di dibattito processuale. D'altra parte, va pur detto che incombe sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell' esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un' esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell' esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo cfr., Cass. Pen., 6, 12.2.2004 n. 15.484, PG in proc. Raia . 4. E' infine preclusa la censura articolata nel ricorso proposto nell'interesse del Di Ca. in merito alla attenuante di cui all'art. 61 n. 1 cod. pen. che non aveva formato oggetto di doglianza in appello e che, dunque, intenzionalmente sottratta alla cognizione del giudizio di secondo grado, non può pertanto essere proposta e comunque esaminata in questa sede cfr., art. 616, comma 3, cod. proc. pen. . 6. L'inammissibilità dei ricorsi comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., della somma di Euro 2.000 ciascuno alla Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero. P.Q.M . dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.