Esercizio arbitrario delle proprie ragioni vs violenza privata

In tema di violenza privata, è elemento materiale della condotta la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa che si trova costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà.

Con la sentenza n. 8710/19, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla distinzione tra i reati di violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La vicenda. La Corte d’Appello di Messina rideterminava la pena inflitta a due imputati per aver costretto la persona offesa a firmare una lettera di dimissioni volontarie che lo estrometteva dalla proprietà della quota societaria detenuta, avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo mafioso per il quale uno dei due era già stato condannato in via definitiva. La condotta, inizialmente qualifica come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, era stata ricondotta dal giudice di seconde cure alla fattispecie della violenza privata. Avverso tale pronuncia ricorrono in Cassazione gli imputati. Qualificazione della condotta. Il Collegio coglie l’occasione per tracciare la linea di confine tra le fattispecie della violenza privata art. 610 c.p. e dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni art. 393 c.p. . Partendo dal presupposto che nell’ambito della prima fattispecie, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e azione, la Corte ricorda che, al fine di una netta demarcazione tra le due ipotesi delittuose, sussiste il reato di cui all’art. 610 c.p. allorché il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria. Puntualizza infine la sentenza in commento che, in tema di violenza privata, è elemento materiale della condotta la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa che si trova costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà essendo irrilevante il protrarsi della condotta nel tempo, in quanto reato istantaneo. Sulla base di tali principi, correttamente la Corte territoriale ha qualificato la condotta in termini di violenza privata. Il ricorso viene dunque dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 novembre 2018 – 28 febbraio 2019, n. 8710 Presidente Miccoli – Relatore Mazzitelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza, emessa in data 28/04/2017, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 21/06/2013, rideterminava la pena, inflitta a S.S. e R.P. , in anni uno di reclusione, per il primo, e in mesi nove di reclusione, per il secondo, in relazione al capo A, originariamente qualificato ex art. 81 c.p., art. 629 c.p., comma 2, D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conv. in L. n. 203 del 1991, riqualificato nella fattispecie di cui all’art. 610 c.p., e al capo B, ex art. 612 c.p., limitatamente al R. , reati contestati ai prevenuti per aver costretto con minacce T.A. a firmare una lettera di dimissioni volontarie, che lo estrometteva dalla proprietà della quota, pari al 33%, della Soc. Coop. a r.l. Uno Sguardo Sullo Stretto Comunità alloggio per anziani, della quale la moglie del R. era socia, paventandogli gravi conseguenze ed avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo dello S. , già condannato, con sentenza irrevocabile, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. fatto commesso, in omissis . 2. Gli imputati, tramite difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi. 2.1 Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , in relazione agli art. 393 e 610 c.p Il fatto era scaturito dai contrasti, insorti a seguito del cattivo comportamento del T. all’interno della predetta cooperativa, tale da determinare il deterioramento dei rapporti con gli altri soci e da indurre il legale delle socie C. e P. a predisporre la lettera di dimissioni, da far firmare al T. . In considerazione di ciò la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 393 c.p., consistita nell’esercizio delle proprie ragioni, tramite l’opera di terzi, senza il ricorso alle forme di legge. 2 Violazione di legge e motivazione mancante ed illogica, ex art. 606 c.p.p., comma n 1, lett. b ed e , in relazione all’art. 610 c.p Non ricorrerebbe la violenza privata, di cui all’art. 610 c.p., posto che la firma del T. non era quella dal medesimo utilizzata e la sottoscrizione della lettera di dimissioni non sarebbe stata sufficiente a determinare la sua esclusione dalla compagine societaria, occorrendo una delibera dei soci previa convocazione degli stessi. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono manifestamente infondati. Va chiarito, innanzitutto, che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di cui all’art. 610 c.p., il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017 - dep. 20/10/2017, P.M. in proc. Ciartano e altri, Rv. 271267 . Posta tale premessa, ai fini di una netta demarcazione tra i reati di violenza privata e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, va rammentato che, secondo gli arresti giurisprudenziali più recenti, non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393 c.p., bensì quelli del reato di violenza privata, allorché il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria. Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018 - dep. 06/03/2018 Rossetti, Rv. 272672 , 2. Delineati così in diritto i termini essenziali, in via generale va detto che nell’odierno ricorso non si contestano gli avvenimenti materiali, descritti nella sentenza impugnata sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte lesa, T.A. . I dedotti vizi di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, attengono esclusivamente, il primo, alla configurabilità, nella fattispecie, del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di cui all’art. 393 c.p., e, il secondo, all’idoneità della condotta, asseritamente coercitiva, come tale inquadrata nello schema dell’art. 610 c.p., rispetto al risultato perseguito dagli autori del reato. Quanto al primo motivo del ricorso, va osservato che, la fattispecie penale dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni - ricollegabile, in ipotesi, allo schema dell’art. 392 c.p., contraddistinto dalla ricorrenza di violenza e minaccia nei confronti della persona, vittima del reato - non è richiamabile correttamente nel caso in esame. Basti evidenziare, secondo il criterio distintivo sopra menzionato, la mancata coincidenza tra il diritto astrattamente azionabile in sede civile avanti all’autorità giudiziaria, ovverossia l’esclusione del T. dalla compagine societaria a seguito dei suoi comportamenti scorretti, e il bene della vita, conseguito tramite la condotta, che si assume arbitraria, identificabile, in concreto, con la forzosa sottoscrizione della lettera di dimissioni, precedentemente predisposta dal legale delle due socie. Del resto, a questo proposito, va aggiunto che ulteriore criterio di distinzione e di identificazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, consiste nella verifica, in relazione alla pretesa fatta valere nell’immediatezza, della sussistenza o meno della ricorribilità al giudice. Sez. 2, n. 14160 del 06/03/2018 - dep. 27/03/2018, Parigi, Rv. 272757 . Non v’è chi non veda che nel caso in esame va esclusa a priori la ricorribilità avanti al giudice della pretesa avente ad oggetto la forzosa sottoscrizione della lettera di dimissioni esibita al T. . Il motivo va quindi disatteso. 2. Anche il secondo motivo è parimenti manifestamente infondato. In tema di violenza privata art. 610 c.p. , costituisce elemento della condotta materiale del reato la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo. Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003 - dep. 29/01/2004, Agati, Rv. 228063 . Da tale conclusione, nel caso in esame, deriva il riscontro dell’avvenuto perfezionamento della fattispecie criminosa in questione, essendosi il reato consumato all’atto della sottoscrizione forzosa, da parte del T. , della lettera di dimissioni. È del tutto irrilevante l’ulteriore constatazione di una sottoscrizione, differente rispetto a quella del T. , e dell’insufficienza dell’avvenuta sottoscrizione della lettera di dimissioni, essendo necessaria agli effetti civilistici, un’ulteriore delibera della società cooperativa. 3. I ricorsi devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili, con contestuale condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, che si reputa equa fissare in Euro 2.000,00, in favore della Cassa delle ammende. Non si procede a statuizioni, relative alle spese sostenute nel presente grado, in favore dell’Associazione Antiraket, la cui partecipazione stessa al giudizio non risulta più giustificata, stante l’intervenuta derubricazione del reato sub A , il che, per di più, risulta indirettamente confermato dalla mancata assunzione nel secondo grado di conclusioni, per conto della predetta associazione. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2,000,00 in favore della Cassa delle ammende.