Grazie alle chiavi di scorta entra nella casa concessa in uso: è furto in privata dimora

Il detentore di una casa, dopo averla concessa in uso ad un’altra persona, entra di soppiatto utilizzando le chiavi di scorta e ruba la valigia dell’inquilina. Secondo gli Ermellini, è responsabile per furto in privata dimora in forza nell’accordo tra concedente e usuaria, la possibilità materiale d’accesso di lui non equivale alla sua liceità giuridica.

Così la Cassazione con la sentenza n. 8540/19, depositata il 27 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado che aveva condannato l’imputato per il reato di furto in abitazione ex art. 624 -bis c.p. poiché, avendo la disponibilità dell’immobile che aveva concesso in uso per tre giorni a una signora, si introdusse nell’alloggio per impossessarsi della valigia della donna. L’imputato ricorre in Cassazione sostenendo che la sua condotta non poteva configurarsi come furto in abitazione dal momento che egli, avendo una copia delle chiavi dell’immobile, aveva ancora la detenzione dell’immobile. Il godimento esclusivo dell’immobile. Gli Ermellini ritengono rilevante ribadire che nella nozione di privata dimora rilevante ai sensi dell’art. 624 -bis c.p., rientrano i luoghi in cui siano svolti, non occasionalmente, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare . Tramite la concessione in uso di un immobile, il concedente cede la sfera di godimento esclusivo di detto bene all’usuario. Di conseguenza, precisa in secondo luogo la S.C., che in forza dell’accordo intercorso tra il concedente e l’usuario, tale concessione anche se accordata per un breve lasso temporale, non esime il proprietario, il possessore o il detentore dall’obbligo di astenersi da ogni attività che costituisca ingerenza nella sfera di godimento dell’usuario , anche nel caso in cui il concedente abbia conservato una copia delle chiavi del bene immobile e dunque abbia materialmente la possibilità di accedervi. Alla luce di ciò, la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 novembre 2018 – 27 febbraio 2019, n. 8540 Presidente De Gregorio - Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone, che aveva condannato F.S.J.M. per furto in abitazione. Secondo la ricostruzione operata in sentenza l’imputato - che aveva concesso in uso, per tre giorni, a P.R.R. un appartamento di cui aveva la disponibilità in Pordenone - si introdusse nell’immobile, di cui aveva le chiavi, per impossessarsi della valigia della donna. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato per violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto a è stato erroneamente applicato l’art. 624/bis c.p., dal momento che egli aveva conservato le chiavi e la detenzione dell’immobile. Pertanto, P.R.R. non ne aveva la disponibilità in via esclusiva b sono state immotivatamente denegate le attenuanti di cui all’art. 62 c.p., n. 2, e quelle generiche. Non è stato considerato, infatti, che la donna aveva abusato dell’ospitalità concessale, in quanto aveva condiviso l’appartamento col fidanzato, senza autorizzazione dell’imputato. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. 1. Privata dimora, rilevante ai sensi dell’art. 624/bis c.p., è ogni luogo in cui vengono svolti, in maniera non occasionale, atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare Cass., SU., n. 31345 del 23-3-2017, rv 270076 . La concessione in uso di un appartamento, anche se per un periodo limitato di tempo, non esime il proprietario, il possessore o il detentore dall’obbligo di astenersi da ogni attività che costituisca ingerenza nella sfera di godimento dell’usuario, resa esclusiva per quest’ultimo - dall’accordo intercorso. Tanto, anche laddove il concedente abbia conservato, come d’uso, una copia delle chiavi dell’immobile, posto che la possibilità materiale di ingerenza non equivale alla sua liceità giuridica. 2. Il secondo motivo è inammissibile perché costituisce pedissequa riproposizione di quello proposto dinanzi al giudice d’appello e da questi motivatamente disatteso, laddove è stato osservato che l’abuso della disponibilità dell’appartamento, imputato alla donna, è solo assertivo. Quanto alle attenuanti generiche, la loro concessione o meno rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere le ragioni della decisione. Tanto è in concreto avvenuto, attraverso il richiamo dei precedenti penali dell’imputato e dell’assenza di ogni ipotesi di ravvedimento o di iniziative risarcitorie il che rende la decisione incensurabile sul punto. 3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa nella proposizione del ricorso, al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo determinare in Euro 3.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende.