Condizioni igieniche e privacy garantite se tra il bagno e la cella c’è un separè

Non vi è lesione della privacy e della riservatezza del detenuto laddove la detenzione si svolga all’interno di una cella singola in cui vi è un separè amovibile che divida i due spazi.

Così il Supremo Collegio con la sentenza n. 8007/19, depositata il 21 febbraio. La vicenda. Secondo un detenuto la cella in cui risiede, oltre ad essere troppo piccola, presenta un separè amovibile che delimita il bagno condizioni che pregiudicano le condizioni di riservatezza e di igiene . Di conseguenza, il detenuto si rivolge al Magistrato di sorveglianza lamentando una detenzione non conforme all’art. 3 CEDU. Le istanze del detenuto sono parzialmente accolte il Magistrato adito non riconosce la sussistenza della lesione alla riservatezza e all’igiene, ma, rilevando un periodo di detenzione subita dall’istante in termini non conformi e, considerando come elemento compensativo il numero di ore che il detenuto aveva trascorso all’esterno per il passeggio e per socialità , riconosce una riduzione di pena e la somma compensativa. Il detenuto deducendo l’erroneità della liquidazione della somma a lui riconosciuta, si rivolge al Tribunale di sorveglianza sede in cui viene condivisa la decisione reclamata. Il detenuto ricorre in Cassazione e, oltre a lamentare che il separè collocato nella cella non garantirebbe la privacy le condizione di igiene, sostiene che le ore trascorse all’esterno erano minori rispetto a quelli considerate dai Giudici. La cella. È necessario ribadire che l’istante risiede in una cella in cui il bagno è annesso alla stessa stanza e delimitato dal resto del locale tramite un solo separè amovibile . Tuttavia, la S.C. osserva che la detenzione si è svolta occupando una cella singola e senza che fossero stati recati pregiudizi specifici al profilo della privacy del detenuto . Di conseguenza, in ragione della condizione di occupazione singola della cella, la quale presenta un separè , è da esclude che l’area adibita a servizi igienici e una finestra , comporti ipso facto la lesione lamentata. Sulla base di ciò, poiché il provvedimento impugnato affronta svariate questioni di merito relative all’effettivo numero di ore trascorre all’aria aperta, la S.C. rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 26 ottobre 2018 – 21 febbraio 2019, n. 8007 Presidente Boni - Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. Con l’ordinanza in epigrafe in data 23/3/2018, depositata il 3/4/2018, il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo presentato nell’interesse di P.G. , L. 26 luglio 1975, n. 354, ex art. 35 ter, con cui si lamentava una condizione di sovraffollamento carcerario e, comunque, una detenzione non conforme all’art. 3 Cedu. Condividendo il ragionamento del magistrato di sorveglianza - che aveva, in parte, accolto le istanze avanzate dal detenuto, riconoscendogli una riduzione di pena pari a 63 giorni e la somma compensativa di Euro 64 per una detenzione subita in termini non conformi, presso la struttura di Roma Rebibbia, dalla data del 24/8/2006 a quelle di deposito delle richieste del 23/7/2014 e del 9/9/2014 - il Tribunale aveva ritenuto che lo spazio disponibile all’interno delle stanze fosse di dimensioni superiori a tre metri quadri e che le ampie finestre, in uno alla presenza di separé amovibili, rispetto al bagno stesso, escludessero estremi di detenzione non conforme all’art. 3 CEDU. 2. Ricorre per cassazione P.G. , a mezzo del difensore di fiducia e lamenta, con unico motivo di ricorso, la violazione della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35 ter. I giudici del merito non avevano risposto all’obiezione contenuta nel reclamo, relativa specificamente alla frequenza del corso di orticultura e manutenzione del verde. Quella frequenza, nel periodo compreso tra agosto 2006 e maggio 2007, aveva permesso al magistrato di sorveglianza di ritenere un elemento compensativo , rispetto allo spazio effettivamente disponibile e alle condizioni detentive, senza che, tuttavia, fosse stato indicato con chiarezza il numero di ore dedicate e senza che il tribunale di sorveglianza avesse esaminato la relativa questione sottoposta. Ancora, il numero di ore trascorse all’esterno, per il passeggio e per la socialità, era stato calcolato erroneamente. Non si trattava di otto ore come sembrava dedursi dal provvedimento impugnato, ma di un numero pari alla metà. Per il periodo in cui il detenuto era stato ristretto da solo in cella, infine, non si condivideva il ragionamento sviluppato che aveva indotto a ritenere come la presenza di un separé non pregiudicasse le condizioni di riservatezza e di igiene all’interno della stanza di restrizione. Contrariamente, era evidente che il bagno non separato dalla stanza di detenzione non garantisse le condizioni di igiene. 3. Il ricorso è infondato e va respinto. Attraverso il ricorso si rimette alla Corte di legittimità una valutazione, in parte, di merito, preclusa in questa sede e, in altra parte, si censura una motivazione immune dai vizi denunciati. Il provvedimento impugnato affronta le questioni essenziali poste dal ricorrente e spiega che, al di là di quanto aveva già riconosciuto il magistrato di sorveglianza di Roma, la detenzione del P. risultava conforme all’art. 3 Cedu. La restrizione anzidetta si era, infatti, svolta in stanze con annesso e separato bagno, ambienti con superficie mai inferiore ai tre metri quadri o in altri locali occupati singolarmente dal detenuto, di spazio pari a circa 8 metri quadri. Le condizioni di socialità e di passeggio all’esterno permettevano, poi, una riduzione delle ore trascorse all’interno della camera di detenzione, con la conseguente non valutabilità di quel periodo temporale in funzione della potenziale concretizzazione di un fatto lesivo rispetto al diritto di subire una detenzione conforme ai principi di umanità. Del resto, sul punto la doglianza del ricorrente risulta anche generica e, per certi versi, perplessa. Non si indica, contrariamente a quanto affermato nell’impugnato provvedimento, in una prospettiva di sua confutazione, né si allega alcun elemento a supporto sul numero effettivo di ore che era stato trascorso all’esterno, né su quello che si era impiegato per la partecipazione ai corsi di cura del verde e del giardinaggio. Si tratta di critiche, pertanto, che risultano carenti e che sono caratterizzate da un nucleo non marginale di aspecificità, che non permette di individuare in che termini il provvedimento impugnato risulterebbe effettivamente carente in punto di motivazione o violerebbe la disposizione di legge indicata L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 35 ter . Per altro verso, sulla condizione detentiva subita in celle in cui il bagno era annesso al locale e non risultava separato da esso si è, comunque, osservato che la detenzione si svolgeva occupando una cella singola e senza che fossero stati recati pregiudizi specifici al profilo della privacy del detenuto. Il diverso e connesso problema dell’igiene del locale, indubbiamente delicato, è stato anche affrontato dal giudice a quo. Si è ritenuto, infatti, in ragione della condizione di occupazione singola della cella e della sua strutturazione, presentando, comunque, un separé che escludeva l’area adibita a servizi igienici e una finestra che assicurava il ricambio diretto di aria che non si potesse ipso facto e, per ciò solo, alla luce degli anzidetti particolari, ritenere esistente la lesione invocata. Giova qui evidenziare che, a parte, le valutazioni di puro fatto che si rimettono con il tipo di doglianza articolata, in ogni caso, la lesione e la condizione detentiva non conforme per la presenza di un servizio igienico non può essere valutato in astratto, ma va verificata nella specifica situazione concreta. Nel caso in esame non risultano dedotti eventi particolari legati a quel dato o altri episodi lesivi della dignità e del principio di restrizione conforme a parametri di umanità né sono stati allegati o prospettati al magistrato di sorveglianza aspetti specifici o altri pregiudizi derivati al detenuto da quella situazione e dalla affermate condizioni di carenza di igiene. Alla luce di quanto premesso il ricorso deve essere respinto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.