Ruba nel ristorante durante l’orario di chiusura. Escluso il furto in privata dimora

Rientrano nella nozione di privata dimora ex all’art. 624 -bis , comma 1, c.p. solo i luoghi ove, non essendo aperti al pubblico né accessibili liberamente da terzi, si svolgono abitualmente atti della vita privata. Al contrario, un ristorante, essendo un’attività commerciale, è per sua natura un luogo usualmente accessibile da una pluralità di soggetti senza una preventiva autorizzazione .

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7653/19, depositata il 20 febbraio. Il furto. Un ristorante ha bisogno di alcuni lavori di manutenzione, ma la condotta del soggetto incaricato a svolgere detti compiti non si limita all’attività professionale. Infatti, tramite la chiave consegnatagli per svolgere i lavori a lui affidati, il manutentore introducendosi abusivamente e svariate volte nel risostante durante le ore di chiusura, sottrae generi alimentari e bottiglie di vino per un valore complessivo di 9.2000 €. Per questo, il Tribunale adito, qualificando il ristorante come privata dimora, condanna il manutentore per furto ex artt. 624 -bis , comma 1, 81 e 61, n. 11 c.p. Decisione confermata anche dai Giudici del riesame. L’imputato ricorre in Cassazione lamentando l’errata qualificazione giuridica del fatto, osservando che il locale in cui è stato commesso il fatto non sarebbe qualificabile come privata dimora poiché trattasi di un’attività commerciale, non rientrante fra quelli per i quali il legislatore ha previsto una maggior tutela . L’accesso. La questione giunta all’attenzione della Suprema Corte è la seguente è configurabile l’ipotesi di furto in privata dimora laddove l’azione delittuosa si realizzi durante l’orario di chiusura al pubblico di un esercizio commerciale? In primo luogo la Corte ribadisce ancora una volta come nella sentenza n. 2670/19 che nella nozione di privata dimora rientrano solo i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e non sono aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa e professionale . L’esclusione. Inoltre, la medesima Corte ricorda che non è sufficiente compiere atti della vita privata nei luoghi di lavoro affinché si estenda la qualificazione della privata dimora. È dunque necessario che, affinché consegua l’estensione suddetta, si tratti di un’area riservata ove è usualmente precluso l’accesso a soggetti che non vi operano , valutazione da svolgersi caso per caso. Per una corretta valutazione, secondo la Corte, è d’aiuto far riferimento, per esempio, all’art. 52, comma 2 e 3, c.p. Difesa legittima che, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, si riferisce ai luoghi di cui all’art. 614 c.p. Violazione di domicilio . Di conseguenza, se la nozione di privata dimora comprendesse indistintamente i luoghi in cui un individuo compia atti della vita privata, non vi sarebbe stata necessità di aggiungere il comma 3 all’art. 52 per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale , ossia in quei luoghi ove sussiste in capo al titolare lo ius escludendi . In riferimento al caso di specie, i locali in cui viene esercitata l’attività alberghiera sono accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza una preventiva autorizzazione per tali ragioni, la S.C. accoglie il ricorso, annulla la sentenza limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto e rinvia per la determinazione della pena in ordine al reato di furto ex art. 624, 61, n. 11 , c.p.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 novembre 2018 – 20 febbraio 2019, n. 7653 Presidente Piccialli - Relatore Nardin Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 8 marzo 2017 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere pronunciata con confronti di M.F. con cui il medesimo è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 81 c.p., art. 624 bis c.p., comma 1, e art. 61 c.p., n. 11 , per essersi, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, impossessato, con il fine di trarne profitto, di generi alimentari di bottiglie di vino e liquore e di altra merce varia, introducendosi abusivamente in un locale ristorante, durante le ore di chiusura dell’esercizio commerciale, utilizzando una chiave affidatagli per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione, sottraendo detti beni del valore complessivo di Euro 9.200,00 al legittimo proprietario. 2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, formulando due motivi. 3. Con il primo fa valere il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto. Osserva che il locale ristorante, ove è stato commesso il fatto, non può ritenersi privata dimora” o sua pertinenza ai sensi dell’art. 624 bis c.p., trattandosi di un’attività commerciale, non rientrante fra quelli per i quali il legislatore ha previsto una maggior tutela. 4. Con il secondo motivo si duole del vizio di motivazione in relazione alla quantificazione del danno, determinato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, senza riferimento ad alcuna documentazione e benché la medesima, costituita parte civile fosse portatrice di uno specifico interesse. Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame. Considerato in diritto 1. Il primo motivo va accolto. 2. La Corte territoriale assume a fondamento della propria decisione l’orientamento che per la verità afferma essere pacifico secondo il quale la privata dimora è concetto più ampio dell’abitazione e comprende tutti i luoghi non pubblici nei quali le persone si trattengano per compiere delle attività della vita privata anche in modo transitorio. 3. La questione è stata risolta da una recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte che ha composto il contrasto sorto in ordine alla configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 624 bis c.p., allorquando l’azione venga posta in essere in esercizi commerciali, studi professionali, stabilimenti industriali, in particolar modo in orario di chiusura al pubblico ed in assenza, nelle circostanze di tempo e di luogo, di persone dedite ad attività lavorativa o a diversa mansione. 4. Secondo il Supremo Collegio rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017 - dep. 22/06/2017, D’Amico, Rv. 27007601 . 5. Il compimento di atti della vita privata nei luoghi di lavoro non è considerato elemento sufficiente per estendere la qualificazione della privata dimora, cui il legislatore assicura una tutela rafforzata per garantire la riservatezza e l’intimità necessarie agli atti della vita privata di ciascuno. Al contrario i luoghi ove si esercita attività commerciale, per la loro accessibilità ad una pluralità di soggetti sono luoghi ai quali si accede liberamente senza preventiva autorizzazione. Solo laddove vi sia un’area riservata ove è usualmente precluso l’accesso a soggetti che non vi operano è possibile, secondo le Sezioni Unite, valutare caso per caso. L’interpretazione corretta si ricava dalla lettura sistematica dall’art. 52 c.p., comma 3, a la disposizione di cui al comma 2, si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. Nel richiamato secondo comma si fa riferimento – infatti - ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, ai luoghi previsti dall’art. 614 c.p. vale a dire a quelli di privata dimora . Se, dunque, la nozione di privata dimora comprendesse, indistintamente, tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata, non vi sarebbe stata alcuna necessità di aggiungere l’art. 52, comma 3, per estendere l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale. 6. Sulla base di queste premesse deve ritenersi che nel caso di specie difetti l’elemento materiale qualificante il reato, sicché non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art. 624 bis c.p., la sentenza sul punto va annullata con rinvio per nuovo esame. 7. Il reato, commesso nell’intervallo temporale fra la data del 1 maggio 2010 e quella del 8 maggio 2010, non è comunque ad oggi prescritto, vista la sospensione intervenuta in primo grado pari ad otto mesi e giorni 16 , cui va aggiunta quella intervenuta in secondo grado superiore a trenta giorni. 8. Va, invece, dichiarata inammissibile la seconda doglianza che, da un lato, non è che la mera richiesta di rivalutazione delle prove, non consentita in questa sede e, dall’altro, si concreta nella ripetizione dell’identico motivo di appello, espressamente richiamato ed affrontato dalla Corte territoriale. La censura, infatti, sottopone a questa Corte la stessa identica questione introdotta in sede di gravame, relativa alla prova dell’effettivo danno subito dalla persona offesa, sottolineando che mancherebbe un supporto documentale su cui fondare la decisione, stante l’evidente interesse della parte civile. Ora, deve ricordarsi, quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in una pluralità di occasioni, ovverosia che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. Sez. 3, Sentenza n. 44882 del 18/07/2014 Ud. dep. 28/10/2014 Rv. 260608 Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Ud. dep. 13/03/2014 Rv. 259425 Sez. 6^, sentenza n. 34521 del 27 giugno - 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133 Sez. 5, Sentenza n. 28011 del 15/02/2013 Ud. dep. 26/06/2013 Rv. 255568 Sez. 3, Sentenza n. 29612 del 05/05/2010 Ud. dep. 27/07/2010 Rv. 247741 Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 - dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 24383801 per tutte, Sez. 4^, sentenza n. 15497 del 22 febbraio - 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693 . 9. Ciò premesso la sentenza va annullata limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto, nei sensi di cui supra, con rinvio alla rideterminazione della pena in ordine al reato di cui all’art. 624 c.p., art. 61 c.p., n. 11 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli per rideterminazione della pena in ordine al reato p. e p. dall’art. 624 c.p., art. 61 c.p., n. 11 , così riqualificata l’originaria imputazione. Rigetta nel resto il ricorso.