Due figli piccoli e il terzo in arrivo non giustificano l’occupazione della casa popolare

Confermata la condanna per un uomo e una donna incinta, ritenuti colpevoli di avere illegittimamente preso possesso di un appartamento di proprietà dello IACP. Comportamento non giustificabile, secondo i Giudici, nonostante la situazione di indigenza della coppia e la necessità di mettere un tetto sulla testa della prole.

Due figli piccoli e un terzo in arrivo. Comprensibile la preoccupazione dei due genitori di dare un tetto alla prole, ma questa situazione di difficoltà non può giustificare la scelta di occupare illegittimamente una casa popolare Cassazione, sentenza n. 7834/19, sez. II Penale, depositata oggi . Pericolo. Contesto della vicenda è la Calabria, più precisamente la provincia di Cosenza, dove un uomo e una donna – incinta – vengono beccati a utilizzare come residenza una casa popolare dello IACP a loro mai assegnata. Inevitabile il processo che, grazie anche ai resoconti forniti dalla polizia giudiziaria, si conclude con una condanna della coppia, sia in Tribunale che in Corte d’Appello. Nessun dubbio per i Giudici sul fatto che le due persone sotto accusa sia siano rese colpevoli di invasione arbitraria della casa . Irrilevante, invece, è ritenuto il richiamo da loro fatto alla necessità di dare un tetto ai figli. Questa valutazione è condivisa anche dalla Cassazione, dove viene respinto il ricorso proposto dal legale della coppia. L’avvocato ha presentato la condotta tenuta dai suoi clienti come frutto di un evidente stato di necessità . A questo proposito, è stato posto in evidenza il diritto all’abitazione , e, allo stesso tempo, è stato sottolineato lo stato di grave indigenza della coppia, in presenza di due figli minori e dello stato di gravidanza della donna . Queste obiezioni lasciano indifferenti i Magistrati del Palazzaccio, i quali spiegano a chiare lettere che l’occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dello IACP è comprensibile solo se ricorre il pericolo attuale di un danno grave alla persona , mentre non si può parlare di stato di necessità alla luce della esigenza di reperire un alloggio e risolvere così i propri problemi abitativi . Peraltro, in questa vicenda l’azione compiuta dalla coppia non è stata frutto di una reazione istintiva a una situazione di emergenza, poiché è stata appurata la stabilità dell’occupazione della casa , adibita a vera e propria residenza della famiglia.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 novembre 2018 – 20 febbraio 2019, n. 7834 Presidente Cammino - Relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d'APPELLO di CATANZARO, con sentenza del 22/6/2017, confermava la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE DI COSENZA il 5/11/2014 nei confronti di BE. VA. e FI. MA. FR. per il reato di cui agli artt. 633 e 639bis cod. pen. 1. Avverso la sentenza propongono ricorso gli imputati che, a mezzo del comune difensore, deducono i seguenti motivi. 1.1. Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 comma 1, lett. b ed e c.p.p. in relazione all'art. 54 c.p. per non aver inquadrato la condotta posta in essere dagli imputati nell'ambito della scriminante dello stato di necessità . La difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere che nel caso di specie operasse la scriminante dello stato di necessità. All'esito di una lettura evolutiva del concetto di danno alla persona, infatti, dovrebbe darsi rilievo anche al diritto di abitazione e nel caso di specie, caratterizzato da uno stato di grave indigenza, in presenza di due figli minori e dello stato di gravidanza dell'imputata, vi era un pericolo attuale e non determinato dall'agente. 1.2. Violazione ex art. 606, comma 1, lett. e c.p.p. per manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione rispetto al compendio probatorio acquisito, posto a fondamento della responsabilità penale degli imputati per il reato di cui agli arttt. 633, 639bis c.p. . I ricorrenti evidenziano che all'esito dell'istruttoria dibattimentale, diversamente da quanto indicato nella sentenza impugnata, non sarebbe emerso che l'occupazione era stabile e duratura. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. Le doglianze, circa la violazione dell'art. 54 cod. pen. ed in merito alla logicità ed alla completezza della motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale sul medesimo punto, sono manifestamente infondate. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha infatti fornito corretta e congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano giuridicamente corrette e coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Tanto brevemente premesso. 1. Come evidenziato nel provvedimento impugnato, l'occupazione arbitraria di un appartamento di proprietà dello IACP rientra nella previsione dell'art. 54 cod. pen. solo se ricorra il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la scriminante dello stato di necessità con l'esigenza dell'agente di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi Sez. 2, n. 4292 del 21/12/2011, dep. 2012, Manco ed altro, Rv. 251800 . 2. La motivazione dei giudici di merito circa la stabilità dell'occupazione è adeguata e coerente agli elementi emersi. Gli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria, infatti, come indicato nella sentenza, evidenziano che gli imputati avevano adibito l'appartamento occupato a loro residenza. La circostanza che dopo alcuni mesi dal primo intervento della polizia gli stessi avessero lasciato l'immobile, d'altro canto, è, quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, irrilevante. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.