L’appello cautelare avverso il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo

È inammissibile l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge la richiesta di revoca del sequestro preventivo del bene quando non risultano enunciate e argomentate ragioni di fatto o di diritto idonee a sorreggere l’accoglimento del gravame.

Questo è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7395/19, depositata il 19 febbraio. La vicenda. Il Tribunale di Salerno dichiarava inammissibile l’appello cautelare proposto dall’imputato avverso il provvedimento che aveva rigettato la richiesta di dissequestro di alcuni locali di un hotel, sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento in cui erano contestati reati urbanistici. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. L’appello cautelare e la necessaria allegazione. Sulla questione relativa ad ottenere la revoca del sequestro preventivo del bene, la Suprema Corte afferma che l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciate e argomentate ragioni di fatto o di diritto astrattamente idonee a sorreggere l’accoglimento del gravame, ciò che, laddove si contesti la sopravvenuta inutilità della misura, implica necessariamente l’allegazione del venir meno delle originarie esigenze cautelari . Spettava, dunque, al ricorrente evidenziare le concrete e specifiche ragioni per cui le esigenze cautelari dovevano ritenersi superate, nel caso di specie, per ottenere la revoca del sequestro preventivo dei locali. Sulla base di ciò, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 dicembre – 19 febbraio 2019, n. 7395 Presidente Andreazza - Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 3 agosto 2018, il Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile l’appello cautelare proposto dall’odierno ricorrente, ex art. 322 bis c.p.p., avverso il provvedimento che aveva rigettato la richiesta di dissequestro di alcuni locali dell’Hotel omissis , sottoposti a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento nel quale erano stati contestati i reati di cui agli artt. 323 e 479 c.p., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. c , D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, commi 1 e 1 bis, artt. 55 e 1161 c.n 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di M.F. , imputato nel procedimento e legale rappresentante della soc. omissis Srl, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 321 e 323 c.p.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nonché difetto, erroneità ed illogicità della motivazione. Premesso che i reati urbanistici contestati all’imputato erano stati riqualificati, all’esito del giudizio di primo grado, nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a , con contestuale dissequestro dei beni, tuttavia subordinato al passaggio in giudicato della sentenza, il ricorrente deduce di aver appellato il rigetto dell’istanza di immediata restituzione dei beni successivamente avanzata al giudice procedente, lamentando l’illogicità ed il carattere inutilmente punitivo della decisione posto che il reato urbanistico di cui egli era stato riconosciuto colpevole in primo grado non consentiva la demolizione delle opere e, quantomeno per la condotta di realizzazione di alcuni locali, era da ritenersi maturato il termine di prescrizione del reato. Si lamentava, inoltre, la nullità dell’ordinanza di rigetto appellata per difetto di motivazione, essendosi la stessa limitata a richiamare le precedenti ordinanze cautelari senza affrontare i temi proposti con l’istanza di dissequestro alla luce della sentenza che aveva definito il giudizio in primo grado in senso favorevole all’imputato. Tenendo anche conto della mancanza di motivazione del provvedimento appellato, l’appellante non aveva l’onere di contestare specificamente l’assenza dei presupposti per il rigetto del dissequestro e - diversamente da quanto ritenuto dall’ordinanza qui impugnata - aveva comunque contestato il rilievo secondo cui la cessazione della permanenza del reato edilizio con la sentenza di primo grado non costituiva elemento di per sé idoneo a far cessare le misure cautelari, osservando che le sentenze richiamate dal primo giudice non si attagliavano al caso di specie. Illegittima, dunque, era la declaratoria di inammissibilità dell’appello fondata su tale pretesa mancata contestazione. In ogni caso - rileva ancora il ricorrente - il sequestro non potrebbe essere mantenuto soltanto in base ad un preteso periculum allorquando manchi il fumus commissi delicti dei reati che avrebbero comportato la demolizione dei manufatti. Considerato in diritto 1. Mutuandosi principi di diritto affermati con riguardo alle impugnazioni proposte nel giudizio di cognizione piena, va premesso - salva la precisazione di cui più oltre si dirà - che anche nel procedimento cautelare il requisito della specificità dei motivi di appello, richiesto dall’art. 581 c.p.p., come sostituito dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, è soddisfatto se l’atto individua il punto che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con specifico riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato e precisando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame Sez. 5, n. 34504 del 25/05/2018, Cricca, Rv. 273778 . In ogni caso, l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 . 2. L’ordinanza impugnata ha ritenuto l’appello inammissibile sul rilievo che l’appellante si era soffermato esclusivamente su motivi inerenti alla illogicità e inutile afflittività della ordinanza reiettiva, senza esporre ragioni attinenti, più specificamente, alla eventuale insussistenza delle esigenze cautelari, ritenute permanenti e fondanti la misura cautelare. Sotto questo profilo, nessun rilievo può attribuirsi alla riconosciuta impossibilità di demolizione delle opere ovvero di rimessione in pristino dello stato dei luoghi . In particolare - rileva l’ordinanza impugnata - la cessazione della permanenza non fa venir meno di per sé il pericolo che possa essere reiterato l’abuso edilizio, giacché il sequestro cautelare può essere disposto non solo per evitare l’aggravamento del medesimo reato ma anche l’agevolazione di altri reati anche se della stessa specie ed il punto non aveva formato oggetto di impugnazione, donde la ritenuta inammissibilità dell’appello. 3. La ricostruzione del contenuto del gravame cautelare operata nel provvedimento impugnato - osserva il Collegio - è indubbiamente corretta e la decisione è del pari incensurabile sul piano del diritto. 3.1. Ed invero, con l’appello cautelare l’odierno ricorrente aveva contestato la sussistenza dei presupposti per il mantenimento della misura cautelare reale sulla base di due argomentazioni, che il primo giudice non avrebbe correttamente valutato l’impossibilità di procedere alla demolizione delle opere abusive, una volta che le stesse erano state ricondotte alla meno grave violazione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a , con conseguente inutile afflittività nel mantenimento del sequestro il fatto che, almeno in parte, le condotte illecite ritenute in primo grado si erano prescritte già prima della sentenza di condanna emessa dal tribunale. Nessuna ulteriore specifica contestazione veniva mossa circa la sopravvenuta mancanza delle esigenze cautelari a suo tempo poste a fondamento della misura, che il Tribunale di Salerno, nella sentenza di primo grado, aveva ritenuto ancora sussistenti nonostante la derubricazione e che il giudice procedente richiesto dell’immediata restituzione, nell’ordinanza impugnata con l’appello cautelare, aveva in toto richiamato, sì che nessuna omissione di motivazione era ravvisabile. 3.2. Come esattamente osservato nell’ordinanza impugnata, in assenza di specifica contestazione sulla ritenuta permanenza delle esigenze cautelari a suo tempo ravvisate e stante la natura devolutiva dell’appello cautelare, questo tema - essenziale nell’ottica dell’ottenimento di un provvedimento favorevole - era estraneo all’impugnazione proposta, unicamente fondata sulle due argomentazioni più sopra richiamate, correttamente ritenute del tutto generiche ed ininfluenti rispetto alla prospettiva dell’accoglimento del proposto gravame. Quanto al fatto che una parte delle condotte illecite ritenute nella sentenza di primo grado emessa il 4 dicembre 2017 sarebbe stata prescritta già prima della stessa, si tratta all’evidenza di doglianza non proponibile in sede cautelare, dove basta il fumus di sussistenza di un reato non estinto che certo non può essere negato in presenza di una sentenza di merito che lo abbia accertato in tutte le sue componenti tanto da giungere ad una pronuncia di condanna, sia pur riconducendo il fatto ad una meno grave ipotesi di reato urbanistico che tuttavia certamente legittima l’adozione della misura cautelare. Quanto all’inutilità del mantenimento del sequestro una volta esclusa alla luce dell’intervenuta derubricazione - la possibilità di disporre la demolizione dell’opera abusiva, si tratta di argomentazione di per sé irrilevante, soprattutto se non posta in correlazione alle ragioni che nella specie avevano determinato il sequestro preventivo, tenuto anche conto del fatto che la misura cautelare non può essere adottata in funzione dell’esecuzione della demolizione ma soltanto della confisca ex art. 321, comma 2, cod. proc. cfr. Sez. 3, n. 1262 del 25/09/2012, dep. 2013, Righi e aa., Rv. 254145 e che, non essendo tale misura di sicurezza prevista neppure per il reato urbanistico originariamente ipotizzato, il sequestro era stato evidentemente nella specie disposto come anche si ricava dal tenore dell’ordinanza impugnata ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 1, al fine di evitare che la libera disponibilità del manufatto potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati. 3.3. Che esigenze cautelari di siffatta natura non siano più configurabili una volta pronunciata la sentenza di condanna di primo grado è conclusione indubbiamente errata, come correttamente ritenuto nell’ordinanza impugnata con il richiamo al consolidato principio di diritto secondo cui nell’ipotesi di sequestro preventivo del bene oggetto di abuso edilizio per il quale sia stata pronunciata condanna non definitiva che non dispone la confisca, il bene va restituito all’avente diritto solo allorché siano venute meno le esigenze cautelari che hanno giustificato l’imposizione del vincolo, giacché la cessazione della permanenza del reato edilizio con la sentenza di primo grado non costituisce elemento di per sé idoneo a far ritenere cessate anche le esigenze cautelari Sez. 3, n. 6940 del 05/12/2017, dep. 2018, Castiglione, Rv. 272116 Sez. 3, n. 6887 del 24/11/2016, dep. 2017, Calabrese e a., Rv. 269322 Sez. 3, n. 6462 del 14/12/2007, dep. 2008, Oriente, Rv. 239289 . Al fine di ottenere la revoca del sequestro preventivo del bene, con immediata restituzione pur in pendenza del giudizio d’appello radicato avverso la sentenza di condanna resa in primo grado che - espressamente ritenendo la permanenza delle esigenze cautelari - aveva differito il dissequestro al momento del passaggio in giudicato del provvedimento, era dunque onere del ricorrente quello di evidenziare le concrete e specifiche ragioni per cui tali esigenze dovevano nella specie ritenersi superate. Contrariamente a quanto si allega in ricorso, del resto, nel gravame cautelare non era stata specificamente contestata neppure l’applicazione al caso di specie del principio di diritto appena richiamato, leggendosi a pag. 4 il rilievo - assolutamente generico e di fatto incomprensibile - secondo cui il precedente giurisprudenziale citato per un verso, non si attaglia perfettamente alla fattispecie in esame, per l’altro non tiene conto della funzione della misura cautelare reale . 4. Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto secondo cui l’appello cautelare proposto contro il provvedimento che respinge l’istanza di revoca del sequestro preventivo è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciate e argomentate ragioni di fatto o di diritto astrattamente idonee a sorreggere l’accoglimento del gravame, ciò che, laddove si contesti la sopravvenuta inutilità della misura, implica necessariamente l’allegazione del venir meno delle originarie esigenze cautelari. Il ricorso dev’essere conseguentemente rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.