Cappellini, borse e occhiali contraffatti: inevitabile la condanna per ricettazione

Gli Ermellini confermano la condanna di un imputato trovato in possesso di diversi articoli destinati alla vendita, indubbiamente reperiti illecitamente dal mercato del falso”.

Con la sentenza n. 7256/19, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Salerno che confermava la condanna di un imputato per ricettazione art. 648 c.p. , assolvendolo dalle altre imputazioni e rideterminando la pena inflitta in ragione dell’incensuratezza e delle condizioni di vita. Sussistenza del reato. In relazione alla doglianza circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, la Corte ha sottolineato come correttamente i giudici di merito abbiano tratto la convinzione dell’illegittima fonte di approvvigionamento commerciale da diversi elementi obiettivi che concorrono alla sussistenza del reato contestato, come ad esempio l’indubbia contraffazione dei prodotti e la varietà tipologica degli stessi tra cui orologi, cappellini, occhiali, borse ecc. . Condivide dunque la S.C. il convincimento che il ricorrente abbia ricevuto i beni in questione attingendo illecitamente dal mercato del falso” . Viene escluso ogni dubbio anche sulla consapevolezza di ciò, posto che chi si rivolge a certe fonti di approvvigionamento commerciale parallele non ne può ignorare i metodi di produzione. Conversione della pena. Il ricorrente si duole inoltre per il rigetto della richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Tale profilo è soggetto alla valutazione della Corte di legittimità laddove il giudice del gravame, investito della richiesta di conversione della pena, non fornisca adeguata motivazione del rigetto. La Corte salernitana ha però correttamente motivato la decisione in ragione della quantità e qualità tipologica della merce illecitamente detenuta, circostanza che avrebbe reso la sola pena pecuniaria inadeguata rispetto alla gravità del fatto e inefficacia rispetto alla funzione rieducativa della sanzione penale. Per questi motivi, la Corte non può che rigettare il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 novembre 2018 – 18 febbraio 2019, n. 7256 Presidente Rosi – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 20 febbraio 2018, ha confermato, quanto alla affermazione della sua penale responsabilità, la sentenza con la quale il Tribunale di Salerno il precedente 18 dicembre 2014 aveva dichiarato la penale responsabilità di N.A. in ordine al reato di cui all’art. 648 c.p., avendolo invece mandato assolto rispetto alle altre imputazioni a lui contestate, e lo aveva, pertanto, condannato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 200,00 di multa. La Corte territoriale, in parziale accoglimento dell’appello del prevenuto, ha rideterminato la pena inflitta a suo carico, considerata la incensuratezza dell’imputato, le condizioni di vita del medesimo e la modestia della incolpazione, in mesi 3 di reclusione ed Euro 100,00 di multa. Ha, invece, rigettato la richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria sul punto, infatti, la Corte di merito ha ritenuto che, se convertita, la pena inflitta sarebbe divenuta inadeguata rispetto alla gravità del reato commesso. Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, deducendo la violazione di legge commessa dalla Corte di Salerno in relazione alla ritenuta acquisizione da parte dell’imputato presso quello che è stato definito il mercato del falso della merce nella cui detenzione egli è stato sorpreso. In via subordinata il ricorrente si è doluto della mancata conversione delle pena detentiva in pena pecuniaria. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso non è meritevole di essere accolto. Con riferimento al primo motivo di impugnazione, avente ad oggetto la pretesa illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui si ritiene che il ricorrente abbia acquisito la disponibilità delle merci contraffatte, nella cui detenzione evidentemente finalizzata alla loro rivendita egli si trovava, attingendo presso il cosiddetto mercato del falso nonché nella parte in cui è stata ritenuta la sussistenza dell’elemento psicologico proprio del reato contestato in capo al ricorrente, rileva la Corte la evidente infondatezza del motivo di impugnazione. Infatti i giudici del merito hanno tratto la convinzione in ordine alla illegittima fonte di approvvigionamento commerciale dello N. da una serie di elementi obbiettivi che univocamente cooperano ai fini della contestata affermazione. In primo luogo, premessa la indubbia contraffazione dei prodotti detenuti dall’imputato, la varietà tipologica di essi come è stato osservato si trattava, infatti, di orologi, cappellini, occhiali, borselli, tutti recanti famosi marchi commerciali e prodotti informatici e supporti digitali contenenti opere protette da diritto d’autore fa ragionevolmente escludere che il materiale produttore di quanto sopra potesse essere stato direttamente l’attuale ricorrente, stante la pluralità sia di elementi di esperienza professionale che di strumenti tecnici che la diretta produzione di essi avrebbe richiesto, a fronte, peraltro della assenza di qualsivoglia elemento fornito dal ricorrente in ordine alla disponibilità da parte sua sia dei primi che dei secondi. È, perciò giocoforza concludere che egli abbia ricevuto i beni in questione attingendo illecitamente dal mercato del falso . Che ciò egli lo abbia fatto consapevolmente è altrettanto indubbio, considerato che sicuramente non ci si rivolge a tali fonti di approvvigionamento commerciale parallele, ignorando la illiceità di tali metodi di produzione. D’altra parte la assoluta inverosimiglianza, segnalata dai giudici del merito, delle indicazioni fornite dall’imputato in relazione alle modalità di reperimento della merce, acquistata a dire del prevenuto presso soggetto di cui neppure era in grado di fornire le generalità, forniscono inequivocabili elementi logici in relazione alla piena sussistenza in capo al prevenuto della provenienza illecita della merce, posto che gli ordinari canali di distribuzione dei prodotti contrassegnati da marchi celebri non sono certo quelli cui il prevenuto si è riferito. Quanto al secondo motivo di impugnazione, riguardante il rigetto della richiesta di conversione in pena pecuniaria della pena detentiva irrogata a carico dell’imputato, osserva il Collegio che, sebbene sia pienamente condivisa la giurisprudenza di questa Sezione secondo la quale incorre nel vizio di motivazione e nella violazione della L. n. 689 del 1981, art. 53 il giudice del gravame che, investito della richiesta di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, non fornisca adeguata motivazione in ordine al rigetto della richiesta Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 16 settembre 2013, n. 37814 , va tuttavia considerato, quanto al caso di specie, che la Corte salernitana ha rigettato la richiesta di fronte ad essa formulata in ragione del fatto che, tenuto conto della quantità e qualità tipologica della merce illecitamente detenuta, la conversione della sanzione detentiva in sanzione pecuniaria renderebbe inadeguata la sola pena pecuniaria alla gravità del fatto e la stessa, pertanto, risulterebbe inefficace in relazione alla funzione rieducativa caratteristica della sanzione penale. Tale motivazione appare a questo Collegio perfettamente in linea con i principi che in materia possono essere tratti dalla giurisprudenza di questa Corte. In essa, infatti, si legge che la valutazione, ampiamente discrezionale, che il giudice del merito deve operare in ordine alla possibilità di convertire la pena detentiva in pena pecuniaria è legata agli stessi criteri puntualmente elencati, ai fini della dosimetria della sanzione, dall’art. 133 c.p., di tal che, seppure uno solo dei criteri ivi indicati giustifichi il rigetto della richiesta, l’enunciazione di tale elemento esaurisce l’onere motivazionale che sul punto grava sul giudicante Corte di cassazione, Sezione 2 penale, 4 luglio 2013, n. 28707 . Posto che gli elementi di cui alla disposizione sopra citata hanno, nella loro complessità, la funzione di consentire al giudice di individuare quale sia vuoi ai fini della deterrenza vuoi ai fini della rieducazione che è lo scopo cui in definitiva la deterrenza è sottesa - la sanzione più adeguata al condannato attesa la gravità del reato da lui commesso, va affermato che è sicuramente corretto l’esercizio della potestà discrezionale del giudice del merito laddove, stante la gravità del reato commesso, egli abbia escluso che la sola pena pecuniaria rivesta la medesima efficacia afflittiva e rieducativa della sanzione detentiva in tal senso Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 16 marzo 2011, n. 10941 . Al rigetto del ricorso da lui presentato segue, visto l’art. 616 c.p.p., la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.