Teste regolarmente citato per il dibattimento si rende irreperibile per paura…come si procede?

Per l’operatività del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base delle dichiarazioni rese da chi si è sottratto volontariamente all’esame dell’imputato stesso, non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente la volontarietà dell’assenza del teste che sia determinata da una qualsiasi libera scelta.

Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 7290/19, depositata il 18 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, condannava gli imputati pe il reato di rapina aggravata in concorso. Questi ultimi ricorrono per cassazione segnalando come non fosse attendibile il teste ascoltato nel dibattimento dato che si trovava in evidente stato di alterazione da uso di alcol. Ed inoltre, trattandosi di un cittadino straniero regolarmente soggiornante sul territorio italiano nulla poteva far presagire la sua irreperibilità. La volontà di sottrarsi al contraddittorio. Occorre ribadire che la prevedibilità o meno della successiva irreperibilità del teste in fase dibattimentale deve essere valutata ex ante dal giudice, con riferimento alla conoscenza che la parte processuale interessata alla testimonianza aveva al momento in cui avrebbe potuto chiedere incidente probatorio. Prosegue ancora la Suprema Corte affermando che ai fini dell’operatività del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base delle dichiarazioni rese da chi si è sottratto volontariamente all’esame dell’imputato, non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente – in conformità anche a principi convenzionali e, in particolare, all’art. 6 CEDU – la volontarietà dell’assenza del teste che sia determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione . Ciò significa che, sebbene non rilevi lo specifico intendimento di sottrarsi al contraddittorio, occorre comunque che il soggetto abbia avuto contezza della prevista comparizione, senza di che non potrebbe parlarsi di libera scelta. Il teste impaurito. Nel caso in esame il teste era stato regolarmente nominato per il dibattimento e si era sottratto al contraddittorio per paura, come riferito dal teste, e resosi irreperibile. A tal proposito, in assenza di circostanze che consentano di ritenere che il teste sia stato destinatario di indebite pressioni, non appaiono rilevanti considerazioni e timori di natura soggettiva, che siano fondati solamente sulla condotta di reato sulla quale il teste stesso sia stato chiamato a riferire. Sulla base di ciò, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 novembre 2018 – 18 febbraio 2019, n. 7290 Presidente Prestipino - Relatore Cianfrocca Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16.10.2017 la Corte di Appello di Salerno ha confermato quella con cui il Tribunale, in data 21.2.2011, aveva riconosciuto M.V. e C.L. responsabili del delitto di rapina aggravata in concorso tra loro e con una minore all’epoca dei fatti e per la quale pertanto si è proceduto separatamente e, di conseguenza, con le attenuanti generiche giudicate equivalenti alla contestata aggravante, li aveva condannati alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 516 di multa, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali 2. ricorrono per Cassazione entrambi gli imputati lamentando 2.1 con ricorso sottoscritto personalmente da M.V. 2.1.1 violazione di legge e vizio di motivazione segnalando come la ricostruzione dei fatti e la affermazione di responsabilità fossero state fondate essenzialmente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari ed acquisite al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 512 c.p.p., avendo il Tribunale ritenuto imprevedibile la sopravventa impossibilità della loro ripetizione in sede dibattimentale segnala come la Corte di Appello non abbia tenuto conto del volontario ed immediato allontanamento della persona offesa dal territorio nazionale con conseguente volontaria sottrazione all’esame dibattimentale, con conseguente l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, e dei principi affermati dalla CEDU e recepiti dalla giurisprudenza nazionale ribadito come tali dichiarazioni abbiano rappresentano la pressoché esclusiva fonte di prova, segnala inoltre come non fosse stata saggiata l’attendibilità del teste che, come emerso dalla deposizione del teste Ma. , si trovava in evidente stato di alterazione da uso di alcool 2.2 con ricorso sottoscritto dall’Avv. Antonio Boffa, nell’interesse di C.L. 2.2.1 inosservanza di norme penali sostanziali e processuali con riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 191 e 512 c.p.p., artt. 526 e 530 c.p.p. richiama la decisione impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha giudicato legittima la acquisizione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari trattandosi, a dire dei giudici di merito, di cittadino comunitario regolarmente soggiornante sul territorio dello Stato e stabilmente occupato sicché nulla poteva far presagire la sua sopravvenuta irreperibilità segnala invece la difesa che, al momento dei fatti, lo I. era cittadino extracomunitario che aveva eletto domicilio precario presso una anziana signora sicché, in tali condizioni, sarebbe stato preciso onere del PM procedere alla richiesta di escussione testimoniale nelle forme dell’incidente probatorio 2.2.2 manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado giudicando pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa laddove, invece, uno dei testi che era intervenuto sul posto aveva riferito, in aula, che lo I. era ubriaco sicché in alcun modo la condanna avrebbe potuto comunque essere fondata sulle dichiarazioni del medesimo, non riscontrate. Considerato in diritto I giudici di merito hanno confermato la ipotesi accusatoria formulata nei confronti dei due odierni ricorrenti valorizzando le dichiarazioni della persona offesa e quelle dei testi che erano stati escussi nel contraddittorio delle parti in particolare, il Tribunale ha richiamato quelle rese dall’appuntato dei CC Senatore, il quale aveva riferito di essersi portato presso l’ospedale di ove era stato condotto che un cittadino rumeno il quale, tramite una persona che era con lui, aveva chiesto l’intervento delle forze dell’ordine il teste aveva inoltre riferito che il predetto, dopo esser stato visitato presso il Pronto Soccorso, era stato accompagnato in caserma dove avrebbe eseguito un riconoscimento fotografico dei suoi aggressori. A sua volta il teste E. aveva riferito di avere ricevuto la denuncia sporta dallo I. il quale aveva riconosciuto i suoi aggressori sfogliando l’album fotografico che gli era stato nell’occasione sottoposto. I giudici di primo grado, ritenendo di poterla acquisire ed utilizzare ai fini della decisione ai sensi dell’art. 512 c.p.p., hanno quindi riportato il contenuto della denuncia sporta dallo I. la stessa sera dell’ omissis e con la quale la persona offesa aveva ricostruito la aggressione di cui egli sarebbe stato vittima ad opera di tre ragazzi da lui poi riconosciuti tra le foto contenute nell’album sottopostogli la sera stessa i quali, dopo averlo colpito e scagliato a terra, gli avrebbero strappato dal collo un collier e si sarebbero inoltre impadroniti di due telefoni cellulari. 1. Il ricorso del M. è inammissibile poiché proposto personalmente dall’imputato in data successiva al 3.8.2017, atteso che la L. n. 103 del 2017, è intervenuta anche sull’art. 613 c.p.p., escludendo la facoltà dell’imputato di proporre personalmente ricorso per Cassazione che, a pena di inammissibilità, deve essere in ogni caso sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione cfr., per la portata della novella, Cass. SS.UU., 21.12.2017 n. 8.914, Aiello . 2. Il ricorso proposto nell’interesse del C. è fondato. 2.1 Quanto al primo motivo, il Tribunale aveva motivato sulla questione che era stata posta già in quella sede assumendo la legittimità della acquisizione e della utilizzazione della denunzia sporta dalla persona offesa a fronte della considerazione secondo cui la impossibilità di assumere in dibattimento la sua testimonianza rappresentava un’evenienza all’epoca del tutto imprevedibile visto che si trattava di un cittadino comunitario regolarmente soggiornante sul territorio nazionale e munito di stabile occupazione sicché nulla poteva far presagire un suo allontanamento che, per altro verso, era intervenuto in tempi tali da non consentire nemmeno la materiale possibilità di inoltrare richiesta di incidente probatorio cfr., pagg. 3-4 . Dal canto suo, la Corte di Appello, cui la questione era stata riproposta, ha richiamato le dichiarazioni rese in dibattimento dal teste Ma. già conoscente dello I. e datore di lavoro della madre della persona offesa il quale aveva riferito che costui si era allontanato dall’Italia per paura di ritorsioni da parte dei suoi aggressori. In definitiva, quindi, secondo i giudici di merito, non soltanto si era trattato di una iniziativa non prevedibile da parte dell’organo dell’accusa ma, al contempo, nemmeno frutto di una libera scelta della vittima di sottrarsi al dibattimento ed al contraddittorio. 2.2 È pacifico che la prevedibilità o meno della successiva irreperibilità del teste in fase dibattimentale deve essere valutata dal giudice ex ante e, quindi, con riferimento alle conoscenze che la parte processuale interessata alla testimonianza aveva al momento in cui avrebbe potuto chiedere l’incidente probatorio cfr., Cass. Pen., 6, 5.4.2018 n. 21.312, Singh, in cui la Corte ha ritenuto correttamente acquisite ex art. 512 c.p.p., le dichiarazioni rese da un cittadino extracomunitario regolarmente residente sul territorio nazionale, pur se tossicodipendente e privo di occupazione lavorativa, valorizzando in particolare la circostanza che tra la data in cui le dichiarazioni era state rese ed il decreto di giudizio immediato era intercorso un brevissimo lasso temporale conf., Cass. Pen., 2, 16.9.2014 n. 49.007, lussi . 2.3 Per altro verso, è pur noto ed affermato da questa Corte nel suo massimo consesso il principio secondo cui, ai fini dell’operatività ex art. 526 c.p.p., comma 1 bis del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore, non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente - in conformità anche ai principi convenzionali e, in particolare, all’art. 6 CEDU - la volontarietà dell’assenza del teste che sia determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione cfr., Cass. SS.UU., 25.11.2010 n. 27.918, D.F. . Va chiarito, tuttavia, che la regola di giudizio contenuta nell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, per cui la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, è stata correttamente intesa nel senso che l’utilizzazione delle precedenti dichiarazioni è necessariamente preclusa laddove emerga che la mancata comparizione al dibattimento sia dipesa, per l’appunto, da una scelta libera cfr., Cass. Pen., 1, 23.10.2014 n. 46.010, D’Agostino ovvero, in definitiva, dal fatto che il soggetto, avendone comunque avuto conoscenza, non si è presentato all’esame in dibattimento o in rogatoria, quali che siano i motivi della mancata presentazione, purché ovviamente riconducibili ad una sua libera scelta, e cioè ad una scelta non coartata da elementi esterni cfr., testualmente, le già citate SS.UU., D.F. . In sostanza, sebbene non rilevi lo specifico intendimento di sottrarsi al contraddittorio, occorre pur sempre che il soggetto abbia avuto contezza della prevista comparizione, senza di che non potrebbe parlarsi di libera scelta cfr., Cass. Pen., 6, 15.11.2017 n. 57.243, Afif conf., Cass. Pen., 3, 8.9.2016 n. 3.068, L.R. secondo cui, ai fini della lettura e dell’utilizzabilità di dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, al dato della condizione di irreperibilità del teste, in sé neutro, deve aggiungersi la valutazione degli elementi indicativi del carattere volontario o meno del suo allontanamento, con la precisazione ulteriore che la volontarietà dell’assenza, che comporta l’operatività del divieto di cui all’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, può essere determinata da una qualsiasi libera scelta e non necessariamente dall’intenzione di sottrarsi al contraddittorio, principio affermato in una fattispecie nella quale i presupposti per la deroga al contraddittorio sono stati desunti dalla circostanza che la persona offesa, nel corso del procedimento, non era stata mai raggiunta da una regolare citazione, né aveva potuto rendere testimonianza nelle forme dell’incidente probatorio, perché era già irreperibile dopo le prime dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria . La Corte di Appello, nel richiamare questi principi, ha in primo luogo fatto presente che lo I. era stato regolarmente citato per il dibattimento e che, tuttavia, si era sottratto al contraddittorio per paura, come riferito dal teste Ma. all’epoca datore di lavoro della madre ed a conoscenza dei fatti di causa cfr., pag. 4 della sentenza in verifica ha segnalato, infatti, che lo I. si è allontanato immediatamente dopo la denuncia dal territorio italiano non per sottrarsi al contraddittorio ma per una scelta collegata allo stato di paura connesso al grave episodio di cui era rimasto vittima cfr., pag. 4 della sentenza in verifica . La disposizione di cui all’art. 512 c.p.p., come appena chiarito, ha riguardo e disciplina il caso in cui il teste si sia reso irreperibile rendendo in tal modo impossibile la acquisizione della prova dichiarativa in dibattimento sempre che, come detto, tale evenienza non derivi da una libera scelta che, pur non essendo sorretta dall’intenzione di sottrarsi alla verifica ed all’esame della difesa, suppone comunque la previa conoscenza della necessità di riferire in aula nel contraddittorio delle parti. Nel caso di specie, come affermato dalla sentenza della Corte di Appello, lo I. era stato invece regolarmente citato per il dibattimento essendosi successivamente allontanato e resosi irreperibile perché, a quanto pare, impaurito a seguito all’episodio per cui è processo. Orbene, se questi erano i dati fattuali disponibili, si deve rilevare che la Corte territoriale, pur essendo partita da considerazioni in diritto del tutto corrette, ha ciò non di meno errato nell’attribuire rilievo alle motivazioni che avrebbero indotto lo I. ad allontanarsi ed a rendersi irreperibile vero che, a quanto ritenuto dai giudici di merito, questa scelta sarebbe stata determinata dal timore di ritorsioni e, tuttavia, osserva il collegio che il canone di valutazione della libertà della scelta non può essere diverso da quello evocato dall’art. 500 c.p.p., comma 4, dettato per la ipotesi in cui il teste, regolarmente citato per rendere testimonianza in dibattimento, si sottragga non già per sua libera scelta ma in quanto intimidito ovvero sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro. Ma è proprio alla stregua dei criterio di valutazione offerto dalla norma appena richiamata che è di tutta evidenza che non ricorrevano certamente le condizioni per acquisire e ritenere utilizzabili, ai fini della decisione, le dichiarazioni rese dallo I. nel corso delle indagini preliminari. Questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che ai fini dell’utilizzo, ai sensi dell’art. 500 c.p.p., comma 4, delle dichiarazioni predibattimentali del dichiarante, occorre l’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali può ritenersi che egli sia stato sottoposto a violenza o minaccia affinché non deponga ovvero deponga il falso e che devono consistere, secondo parametri correnti di ragionevolezza e di persuasività, in elementi sintomatici della violenza o dell’intimidazione subita dal teste, purché connotati da precisione, obiettività e significatività cfr., Cass. Pen., 2, 17.2.2017 n. 13.550, Bonna Cass. Pen., 1, 19.10.2016 n. 9.646, Marzano Cass. Pen., 2, 5.5.2016 n. 22.440, PG in proc. Kosteva . Di certo, dunque, non può darsi rilievo al timore autoindotto nel teste che, sia pure legittimamente e comprensibilmente intimidito ma, comunque, per sua libera scelta, si era allontanato rendendosi irreperibile rendendo in tal modo impossibile la ripetizione in dibattimento delle dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini senza che, tuttavia, fossero emersi elementi concreti in merito all’esistenza di una condotta intimidatoria di cui egli fosse stato vittima e che non può evidentemente sovrapporsi ed identificarsi con quella che ha formato oggetto della imputazione. In altri termini, in assenza di circostanze che, anche a livello meramente indiziario, consentano di ritenere che il teste sa stato destinatario di indebite pressioni, non può darsi rilievo a considerazioni e timori di natura soggettiva e che siano fondati esclusivamente sulla stessa condotta di reato sulla quale il teste sia stato chiamato a riferire. 3. Assorbite le altre censure, la sentenza va dunque annullata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio nel quale dovranno essere applicati i principi sopra richiamati. La fondatezza del motivo concernente la in utilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni rese dallo I. , comporta inoltre l’annullamento della sentenza impugnata anche per quanto riguarda la posizione del coimputato ai sensi dell’art. 587 c.p.p., attesa la natura non esclusivamente personale del vizio rilevato. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.L. e, per l’effetto estensivo dell’impugnazione proposta dallo stesso C. , anche nei confronti di M.V. , con rinvio alla Corte di Appello di Napoli per nuovo giudizio.