Messaggi offensivi sul cellulare: le risposte a tono del destinatario escludono il reato

Cadono definitivamente le accuse nei confronti di una donna, ritenuta colpevole invece in Tribunale. Decisiva è la sottolineatura della reciprocità delle offese.

Messaggi offensivi a raffica. Sotto accusa una donna, che ha tempestato il cellulare di un uomo. A salvarla, però, è il ‘botta e risposta’, cioè il fatto che il destinatario le abbia replicato a tono Cassazione, sentenza n. 7067/19, sez. I penale, depositata oggi . Messaggi. Linea dura da parte dei Giudici del Tribunale. La donna sotto processo viene ritenuta colpevole del reato di molestia telefonica . Nessun dubbio, in sostanza, sul fatto che ella abbia recato disagio a un uomo attraverso reiterati messaggi telefonici di contenuto ingiurioso e minaccioso . Consequenziale la sua condanna alla pena di 200 euro di ammenda e a versare 200 euro a titolo di risarcimento alla persona offesa. Scambio. Quadro chiarissimo, quindi, almeno in apparenza. Perché in Cassazione i Giudici evidenziano un dettaglio non secondario della vicenda l’esistenza di uno scambio reciproco di offese fra la donna e l’uomo. Questo elemento cambia completamente le carte in tavola. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, bisogna tenere bene a mente che non è configurabile il reato di molestia o di disturbo alle persone – previsto dall’art. 660 c.p. – allorché vi sia reciprocità delle molestie , proprio come in questa vicenda. Impossibile, di conseguenza, ritenere punibile il comportamento tenuto dalla donna, concludono i Magistrati.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 novembre 2018 – 14 febbraio 2019, n. 7067 Presidente Iasillo – Relatore Cairo Ritenuto in fatto e in diritto 1. Con sentenza in data 23/11/2017, il Tribunale di Cagliari dichiarava Ba. No. An. Ma. colpevole del reato di cui all'art. 660 cod. pen. perché, per petulanza attraverso reiterati messaggi telefonici di contenuto ingiurioso e minaccioso recava molestia a Mi. Ro. e la condannava alla pena di 200 Euro di ammenda e al risarcimento del danno che liquidava in via equitativa nella somma di Euro 200, oltre alle spese di costituzione quantificate in complessivi 1710 Euro. 2. Ricorre per cassazione Ba. No. An. Ma., a mezzo del difensore di fiducia, e deduce quanto segue. 2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in relazione alla correlazione tra pronuncia e materia istruttoria. La condanna era stata emessa nonostante fossero emersi elementi in contrasto con la prospettazione d'accusa, che avrebbero dovuto indurre il P.M. a modificare la contestazione. I messaggi erano stati, invero, inviati anche dalla madre della Ba. e si era trattato, più che di un'azione unilaterale molesta, di una discussione, a mezzo di SMS, fra l'imputata, la madre e la persona offesa. 2.2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 660 cod. pen., in quanto ritiene che la condotta presa in considerazione non sia recuperabile alla fattispecie contestata. Ai sensi dell'art. 660 cod. pen., infatti, è punibile il compimento di attività, commesse per petulanza o altri biasimevoli motivi e idonee a recare a taluno molestia o disturbo tali da compromettere il normale svolgimento di attività quotidiane. Nel caso di specie, contrariamente, non si sarebbe potuta ritenere integrata la contravvenzione contestata, perché la questione aveva tratto scaturigine da ragioni di tipo familiare, non biasimevoli e avendo la parte civile risposto in egual misura alle offese ricevute, dimostrando così di non aver subito turbamento o disturbo. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546, comma 1, lett. e cod. proc. pen. e art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. con riferimento alla attendibilità delle dichiarazioni fornite dalla persona offesa. La scarsa credibilità dell'offeso era supportata dal fatto che in fase istruttoria egli avesse esibito il cellulare, al cui interno erano stati mantenuti i soli messaggi ricevuti ed erano stati cancellati quelli inviati. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di legge per la mancata applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., in relazione alla speciale tenuità del fatto. 3. Infondati sono i rilievi sviluppati nel primo, nel terzo e nel quarto motivo di ricorso. Fondata risulta, contrariamente, la doglianza articolata nel secondo motivo e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Priva di decisività è, infatti, la censura relativa al concorso della madre dell'imputata nel fatto, aspetto che non determinerebbe alcuna modifica dell'imputazione, né nuove contestazioni o violazioni dell'art. 521 cod. proc. pen. non ricorrendone i presupposti e non risultando violato il principio di correlazione tra decisione e contestazione. Egualmente privi di rilevanza risultano i rilievi sull'attendibilità della persona offesa e sulla mancanza di riscontri alla dichiarazione resa, poiché questa Corte ha più volte avuto modo di precisare che la dichiarazione della persona offesa non è soggetta alla regola del riscontro cd. esterno, previsto dall'art. 192 comma 3 e 4 cod. proc. pen., per altre tipologie di dichiaranti che siano concorrenti nello stesso reato o in reato collegato o connesso. Non risolutiva, altresì, è la doglianza inerente il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., versandosi al cospetto di una fattispecie che, nella specifica vicenda, assumerebbe carattere abituale e una struttura, pertanto, incompatibile con la causa di non punibilità. In ogni caso si verserebbe al cospetto di un tema che potrebbe venire in rilievo solo dopo aver accertato in positivo l'esistenza di un fatto tipico, colpevole e antigiuridico che, nella specie, tuttavia, non ricorre. La decisione impugnata cfr. fl. 3 dà conto, invero, della esistenza di uno scambio reciproco di offese tra imputata e persona offesa. Questo aspetto cui ha espressamente fatto riferimento il giudice di merito, ritenendolo certo, impone di ribadire che il reato previsto dall'art. 660 cod. pen. e la molestia che ne contraddistingue il nucleo centrale d'offesa ha come elemento costitutivo il particolare motivo che connota la condotta dell'autore. Esso si obiettivizza nell'azione normativamente descritta, che deve essere compiuta per petulanza o per altro biasimevole motivo , aspetto che entra nella tipicità strutturale della fattispecie e ne integra un requisito costitutivo. Nell'ipotesi di reciprocità e/o di ritorsione delle molestie, pertanto, manca quest'ultima condizione, cui è subordinata l'illiceità penale del fatto Sez.1, sentenza n. 26303 del 06/05/2004 Ud., Pirastru, Rv.228207 . Anche recentemente si è ribadito che non è configurabile il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall'art. 660 cod. pen. allorché vi sia reciprocità o ritorsione delle molestie, in quanto in tal caso non ricorre la condotta tipica descritta dalla norma, e cioè la sua connotazione per petulanza o altro biasimevole motivo , cui è subordinata l'illiceità penale del fatto Sez. 1, n. 23262 del 23/02/2016, Candela, Rv. 267221 . Alla luce di quanto premesso la decisione impugnata, per la reciprocità delle offese di cui si dà atto in sentenza, deve essere annullata senza rinvio per insussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.