Gli Ermellini ancora sul reato di furto in abitazione e sulla nozione di privata dimora

Il concetto di privata dimora è delineato dalla giurisprudenza in relazione all’utilizzazione del luogo di manifestazione della vita privata in modo riservato e al riparo da intrusioni esterne, alla durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, alla non accessibilità del luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare.

La vicenda. Con la sentenza n. 6387/19, la Corte di Cassazione annulla la sentenza della Corte d’Appello di Bologna con cui veniva confermata la condanna dell’imputato per due tentativi di furto in abitazione, aggravati dalla violenza sulle cose, previo riconoscimento delle attenuanti generiche. Il difensore, proponendo ricorso per cassazione, deduce contraddittorietà e illogicità della motivazione per essere stata ricondotta la condotta alla fattispecie del furto in abitazione in quanto gli oggetti del tentativo del furto erano due appartamenti adibiti a sede commerciale di due distinte società, peraltro chiusi il giorno dei fatti, e non sarebbero dunque qualificabili come privata dimora. Nozione di privata dimora. La Corte di Cassazione richiama il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624- bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi in cui si svolgono non occasionalmente atti di vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare. Risulta dunque fondata la censura proposta dal ricorrente in quanto i giudici hanno erroneamente ricondotto i luoghi del fatto alla nozione di privata dimora nona vendo approfondito se negli uffici si svolgano atti della vita privata come nel caso in cui vi siano spazi adibiti a spogliatoi. Per questi motivi, la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello bolognese.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 28 novembre 2018 – 11 febbraio 2019, n. 6387 Presidente Fumu – Relatore Cenci Ritenuto in fatto 1 . La Corte di appello di Bologna il 14 giugno 2018 ha integralmente confermato la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato dal Tribunale di Bologna il 28 dicembre 2018, appellata dall’imputato, sentenza con cui G.L. è stato ritenuto responsabile di due tentativi di furto in abitazione, entrambi aggravati dalla violenza sulle cose, fatti contestati come commessi il omissis , e, con le attenuanti generiche, l’aumento per la continuazione e la diminuente per rito, condannato alla pena stimata di giustizia pena base per il primo dei due episodi, un anno e sei mesi di reclusione e 450,00 Euro di multa riduzione per le attenuanti generiche ad un anno di reclusione e 300,00 Euro di multa aumento ex art. 81 c.p., comma 2, di sei mesi di reclusione e 60,00 Euro di multa, sino ad un anno e sei mesi di reclusione e 360,00 Euro di multa riduzione per il rito sino ad un anno di reclusione e 240,00 Euro di multa . 2.Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale. 2.1. Con il primo motivo, in particolare, censura, violazione dell’art. 624-bis c.p. e art. 625 c.p., comma 1, n. 2, e, nel contempo, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, per essere stata la fattispecie erroneamente ricondotta al furto in abitazione di cui all’art. 624-bis c.p. all’esito di un’interpretazione della legge penale in relazione alla qualificazione giuridica del fatto e di una motivazione sul punto che si stimano contraddittorie ed illogiche. Gli oggetti del tentativo di furto, infatti, cioè due appartamenti adibiti a sede commerciale di due distinte società, peraltro chiusi il giorno dei fatti omissis , omissis e senza nessuno all’interno, non sarebbero qualificabili come privata dimora , secondo quanto recentemente precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 31345 del 30 marzo 2017, ric. D’Amico. 2.2. Con l’ulteriore motivo il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sull’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 2 le condizioni di indigenza dell’imputato, il disagio sociale, il movente economico, la confessione e la collaborazione processuale, complessivamente valutate, avrebbero meritato valutazione di prevalenza per adeguare la sanzione alla personalità del soggetto e alla gravità dei fatti. 2.3. Con l’ultimo motivo l’imputato si duole dell’erronea applicazione della legge penale quanto alla determinazione della pena ex art. 133 c.p., pena che sarebbe caratterizzata da un rigore punitivo immotivatamente afflittivo. Considerato in diritto 1.Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti e per le ragioni di cui appresso. 2. Il secondo e il terzo motivo, così come strutturati, sono manifestamente infondati sia perché meramente reiterativi dell’appello sui due punti trattati cfr. pp. 2-3 dell’impugnazione di merito, quasi sovrapponibili alle pp. 2-3 del ricorso sia perché aspecifici, assai vaghi ed impostati come postulazioni dirette al buon cuore del giudice di merito piuttosto che come ragionata critica svolta in termini giuridici. 3. Diverso ragionamento deve farsi, invece, per il primo dei motivi di ricorso. Se, in punto di fatto, l’imputato risulta essere entrato in un condominio, senza averne titolo, per tentare di rubare all’interno di appartamenti adibiti, per quanto si legge nelle sentenze di merito, ad uffici, amministrativi o commerciali, di società, manca la prova della privata dimora , nell’accezione autorevolmente fornita da Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv. 270076, secondo cui Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale. Nella specie la Corte ha escluso l’ipotesi prevista dall’art. 624 bis c.p. in relazione ad un furto commesso all’interno di un ristorante in orario di chiusura . I giudici di merito hanno errato, dunque, allorché hanno ritenuto rientrare nella nozione di privata dimora gli uffici delle società oggetto nella concreta vicenda di tentativo di furto, senza avere previamente approfondito se entro tali immobili si svolgano o meno, e non occasionalmente, atti della vita privata verificando, ad esempio, se all’interno vi siano o meno spazi adibiti a spogliatoi, a stanze da letto etc. e quale uso in concreto se ne faccia . Infatti, è ben noto che in tema di reati contro il patrimonio la maggiore tutela penale accordata all’abitazione è legata alla protezione della vita privata che in essa vi si svolga, vita privata quale importante proiezione della personalità. La S.C. nella qualificata composizione a Sezioni unite nella già richiamata sentenza ha puntualizzato che la nozione di privata dimora va delineata sulla base dei seguenti, indefettibili elementi a utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere , in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità c non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare così al punto n. 2.6. del considerato in diritto di Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, cit. . Di intuitiva evidenza, dunque, che la correttezza della qualificazione giuridica ha nel caso di specie importantissimi riverberi in primis, sulla individuazione della norma incriminatrice di cui fare applicazione art. 624-bis c.p. anziché art. 624 c.p. aggravato poi, sul calcolo delle circostanze, che è stato operato dai giudici di merito facendo applicazione della regola del divieto di bilanciamento di cui all’art. 624-bis c.p., comma 4, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 6, lett. c , recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario , in presenza di aggravanti cosiddette ad efficacia rafforzata, regola alternativa a quella, generale, posta dall’art. 69 c.p. infine, sulla quantificazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p 4. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, che svolgerà gli accertamenti di fatto suindicati e ne trarrà le doverose conseguenze dal punto di vista giuridico. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio.