Non si può ricorrere in Cassazione per accertare cause di proscioglimento né per l’omessa statuizione della misura di sicurezza

La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nell’art. 86, d.P.R. n. 309/1990 non può essere impugnata dal PM con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., introdotta dall’art. 1, comma 50, legge n. 103/2017, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l’effettiva adozione di una misura di sicurezza illegale, non potendosi equiparare, ai fini della proponibilità della impugnazione, la illegalità della misura alla violazione dell’obbligo di statuire riguardo ad essa, tale omissione legittimando il pubblico ministero ad adire il magistrato di sorveglianza.

Questo il principio di diritto affermato dalla Sesta Sezione della Corte Suprema che, nel dichiarare inammissibili i ricorsi proposti sia dagli imputati che dalla pubblica accusa, definisce gli esatti confini del perimetro devolutivo del gravame avverso la pronuncia a pena patteggiata. Ristretto il ricorso per cassazione avverso il patteggiamento. Per gli Ermellini tali confini si sono notevolmente ridotti dopo l’ingresso della c.d. riforma Orlando che, per espressa volontà del legislatore tracciata nella relazione di accompagnamento del disegno di legge poi sfociato nella legge n. 103/2017 , ha cercato di tamponare la troppa ampia ricorribilità in Cassazione, cui seguiva un largo esito di inammissibilità dei relativi ricorsi. Per scoraggiare ricorsi meramente defatigatori si è previsto che il PM e l’imputato possono proporre gravame dinanzi alla Corte Suprema contro la sentenza che definisce la richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti l’espressa volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena e della misura di sicurezza. L’imputato non può dolersi delle cause di proscioglimento. Poiché il Giudice, nel pronunciare sentenza di patteggiamento deve preventivamente” accertare l’insussistenza delle ipotesi di proscioglimento descritte dall’art. 129 c.p.p., tale eventuale vizio non è censurabile in sede di legittimità dall’imputato, il quale col consenso al rito alternativo rinuncia all’esame sui fatti oggetto del processo. Viene precluso quindi qualsivoglia scrutinio in tema di colpevolezza dell’imputato, e non è possibile chiedere una rivisitazione della valutazione del giudice che consacra l’accordo delle parti, che rimane così definitivamente cristallizzato. Il PM non può dolersi dell’omessa statuizione delle misure di sicurezza. Alla stessa stregua, nella medesima ottica di restringimento del campo devolutivo del gravame avverso la sentenza patteggiata, la Suprema Corte dichiara inammissibile anche il ricorso del Procuratore Generale sull’omessa applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione da territorio italiano dello straniero, prevista come obbligatoria dall’art. 86 del testo unico in materia di stupefacenti nel caso di condanne a 3 anni e 4 mesi per spaccio e detenzione inflitte agli imputati quindi superiore al limite dei 2 anni, previsto dall’art. 445 c.p.p., entro il quale è esclusa l’applicazione della misura di sicurezza . Ciò in quanto tale ipotesi non rientra tra quelle tassativamente previste dal neo art. 448, comma 2- bis, c.p.p, nelle quali in argomento rientra solo quello relativo all’effettiva adozione della misura di sicurezza. La differente ipotesi della mancata applicazione dell’espulsione dal territorio italiano. Resta estranea pertanto al giudizio di legittimità la diversa ipotesi in cui – come nella specie – si lamenti l’omessa applicazione, specie se si consideri che, dopo la sentenza n. 58 del 1995, non è più automatica l’applicazione della misura di sicurezza, dovendosi accertare positivamente la pericolosità sociale. Sicché, soprattutto nel caso di qualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità, di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, un giudizio negativo sulla pericolosità dell’imputato, anche alla luce del riconoscimento dei fatti contestati, appare essere un esito fisiologico e non illegale. Disciplina derogatoria del gravame sull’avvenuto. In sostanza, la novella del 2017 adotta per la prima volta una disciplina ad hoc del ricorso avversa la sentenza a pena patteggiata che prevale su quella generale, non potendo così recuperarsi motivi che esulano il perimetro dell’accordo sulla pena, quali ad esempio la confisca. Alle parti la scelta di percorrere il binario ordinario del processo quello dibattimentale o quello premiale con la relativa e drastica riduzione dei mezzi di impugnazione, sia con riferimento alla mancata appellabilità, che con riguardo ai limiti di devoluzione, confinati, come detto, all’accordo delle parti sulla pena. Qual è il mezzo per la emenda dell’omessa misura di sicurezza? Per i Giudici di Cassazione, il PM potrà adire il magistrato di sorveglianza funzionalmente competente in materia di misura di sicurezza personali e chiedere l’espulsione dei condannati. L’art. 205 c.p. prevede infatti la possibilità di emetterla per il giudice con provvedimento successivo alla sentenza di condanna mentre l’art. 679 c.p.p. prevede che quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del PM o d’ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 dicembre 2018 – 7 febbraio 2019, numero 6136 Presidente Mogini – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe il G.U.P. del Tribunale di Teramo ha applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a X.N. , X.X. , K.A. e Giulio Candeloro la pena concordata tra le parti in relazione ai plurimi reati di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, art. 73, comma 5, loro rispettivamente ascritti, così come riqualificati rispetto alle originarie imputazioni. 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione X.N. , X.X. e K.A. , che con distinti atti di ricorso di identico contenuto deducono vizio di motivazione in relazione all’art. 129 c.p.p., emergendo in atti la evidente innocenza di ciascuno. 3. Ha, altresì, proposto ricorso per cassazione il P.G. presso la Corte di appello di L’Aquila deducendo con unico motivo violazione dell’art. 235 c.p., in relazione all’omessa applicazione della misura di sicurezza personale della espulsione dal territorio dello Stato Italiano ad K.A. , avendo il Giudice omesso qualsiasi necessaria valutazione a riguardo. Assume il ricorrente che la censura non è proponibile attraverso appello al Tribunale di sorveglianza, a norma dell’art. 579 c.p.p., comma 2, e art. 680 c.p.p., trattandosi di sentenza inappellabile, richiamando quanto già affermato dalla Corte di legittimità con sentenza della Sez. 3 numero 34805 del 1/7/2009, Toma. 4. Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’omessa applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione ad K.A. - obbligatoria ai sensi del D.P.R. numero 309 del 1990, art. 86, e art. 235 c.p.p., trattandosi di condanna di cittadino extracomunitario a pena superiore ai due anni con rinvio al GUP di Teramo per nuovo esame e dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi di K.A. e K.X. in quanto, ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, non è più consentito il ricorso per cassazione per vizio della motivazione in relazione all’omessa valutazione delle condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p Considerato in diritto 1. I ricorsi proposti dagli imputati e dal P.G. sono inammissibili. 2. I ricorsi degli imputati, volti a censurare la motivazione espressa dal Giudice in ordine alla ritenuta insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., sono inammissibili perché proposti per ragioni che esulano da quelle tassativamente previste dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. Questo Collegio intende aderire all’orientamento già espresso dalla Corte di legittimità in ordine alla novella apportata dalla L. numero 103 del 2017, art. 1, comma 50, con l’introduzione dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, secondo il quale il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza , con conseguente non deducibilità dell’omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p Il giudice - come è stato chiarito osservando che la novella non ha inciso sulla struttura dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. - nel pronunciare sentenza di patteggiamento resta sempre tenuto ad accertare l’insussistenza delle cause di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., ma, l’eventuale vizio di motivazione non è più censurabile con il ricorso per cassazione, nel chiaro intento del legislatore della novella di evitare ogni scrutinio della motivazione sulla colpevolezza valorizzando, per converso, il consenso prestato dall’imputato, rispetto al quale si apprezza come superfluo e contraddittorio un motivo di impugnazione sullo svolgimento dei fatti Sez. 2, numero 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014-01 conforme Sez. 4 numero 24514 del 9/5/2018, Murati, numero m. . La novella in parola, rappresenta - quindi - una ulteriore evoluzione della già affermata limitata ricorribilità della sentenza di patteggiamento sviluppatasi in sede di legittimità nel vigore della precedente disciplina che per indirizzo consolidato disconosceva all’imputato il potere di rimettere in discussione i profili oggettivi e soggettivi della fattispecie su cui era caduto l’accordo in quanto coperti dal patteggiamento conformando il ridotto obbligo di motivazione in considerazione del presupposto accordo a base della decisione Sez. U, numero 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto, Rv. 191135-01 Sez. U, numero 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270-01 . 5. Il ricorso del P.G. in relazione all’omessa statuizione in ordine alla misura di sicurezza nei confronti del K. è parimenti inammissibile. 6. Si verte, nel caso di specie, sull’omessa applicazione di una misura di sicurezza prevista come obbligatoria dal D.P.R. numero 309 del 1990, art. 86, come correttamente indicato dalla requisitoria scritta del P.G. di questa Corte, essendo stata applicata la pena di anni tre e mesi quattro di reclusione oltre la multa - e, pertanto, superiore al limite dei due anni previsto dall’art. 445 c.p.p., comma 1, entro il quale è esclusa l’applicazione della misura di sicurezza - non contenendo la sentenza impugnata alcuna valutazione né statuizione a riguardo. 7. Questo Collegio condivide il già affermato orientamento di legittimità secondo il quale la sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nel D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, art. 86, non può essere impugnata dal p.m. con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotta dalla L. 23 giugno 2017, numero 103, art. 1, comma 50, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l’effettiva adozione di una misura di sicurezza Sez. 3 numero 45559 del 07/03/2018, Handa, Rv. 273950 - 01 . 8. Convergenti ragioni d’indole testuale, sistematica e logica escludono l’ammissibilità del ricorso in cassazione avverso la sentenza di patteggiamento per il motivo proposto dal P.G L’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, stabilisce infatti che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’illegalità . della misura di sicurezza . Resta pertanto testualmente estranea al sindacato di legittimità ristretto ai profili di illegalità della misura - la diversa fattispecie della misura di sicurezza di cui si lamenti l’omessa applicazione. Specie se si considera che alcuna automaticità discende dalla affermazione di responsabilità per uno dei reati in relazione ai quali la misura di sicurezza personale è prevista, dovendosi - in ogni caso secondo la nota decisione costituzionale numero 58 del 1995 ed in applicazione del generale canone di cui all’art. 202 c.p., comma 1, secondo il quale le misure di sicurezza personali possono essere applicate soltanto alle persone delle quali sia stata positivamente accertata la pericolosità sociale, verificare in concreto la sussistenza di tale necessario presupposto in capo al condannato. 9. La chiara formulazione della norma in esame trova del resto una coerente collocazione all’interno del sistema delle impugnazioni. Torna utile a tale riguardo richiamare la previgente regolamentazione della impugnabilità in cassazione della sentenza di patteggiamento . Viene in considerazione, sul punto, l’art. 448 c.p.p., che, al comma 2, nel disciplinare puntualmente l’impugnazione della sentenza di patteggiamento , stabilendo, con concisa previsione, che in caso di dissenso, il pubblico ministero può proporre appello e che negli altri casi la sentenza è inappellabile , per effetto del comma 2 dell’art. 606, consentiva per il ricorso in cassazione l’applicazione del generale regime previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1. Quest’ultimo restava dunque declinato nei casi ivi descritti, da leggersi in combinato con le peculiarità proprie della sentenza ex art. 444 c.p.p., e, quindi, con la pregnante incidenza, quanto al novero delle censure denunciabili, dell’atto negoziale intervenuto tra le parti Sez. U, numero 10372 del 27/09/1995, cit. . L’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotto dalla L. numero 103 del 2017, nel dare, per la prima volta, specifica disciplina al ricorso per cassazione della sentenza di patteggiamento, definisce per tale tipo di sentenza un regime ad hoc, nel quale i casi di ricorso sono individuati in modo tassativo e derogatorio rispetto a quelli generali, anche in riferimento a punti della decisione, quale quello relativo all’applicazione di misure di sicurezza, certamente estranei all’accordo delle parti. Ebbene, rispetto al consolidato assetto dell’istituto della sentenza di applicazione della pena su richiesta - che, come già ricordato, non è stato inciso dalla novella in parola - il dato normativo da questa introdotta conferma che la disciplina dei casi di ricorso dettata dall’art. 448.2 bis c.p.p., per la sentenza di patteggiamento descrive un regime specifico di impugnazione per questo tipo di sentenza e proprio a tutte le statuizioni in essa espresse e contenute, rientrino o meno nel perimetro dell’accordo sulla pena. Disciplina, dunque, che, proprio in ragione del suo carattere speciale, giustificato dall’origine concordata del provvedimento impugnato e dalla conseguente preclusione della possibilità di contestare i termini fattuali dell’imputazione e la valutazione di merito sulle prove , prevale su quella generale di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, escludendone l’applicazione. Il Collegio ritiene, pertanto, non condivisibile il principio affermato in un precedente arresto di legittimità in tema di sentenza di patteggiamento, là dove, segnatamente, si è ritenuta, nell’intervenuta novella e quindi all’esito dell’introduzione dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, l’ammissibilità di un ricorso in cassazione con cui si denunci il difetto di idonea motivazione in punto di confisca, riguardando siffatto profilo una statuizione estranea all’accordo sull’applicazione della pena, con conseguente recupero dei motivi di ricorso previsti in via generale dall’art. 606 c.p.p., comma 1, Sez. 3, numero 30064 del 23/05/2018, Lika, Rv. 273830 - 01 conforme Sez. 4 del 17/4/2018 numero 22824, Daouk, numero m. . Valga in proposito l’ulteriore rilievo che l’interpretazione qui avversata si traduce in una interpretatio abrogans della norma con la quale il legislatore ha voluto accomunare l’illegalità della pena a quella della confisca limitando espressamente il ricorso per cassazione soltanto in detta ipotesi, nell’ambito di una tassatività già condivisibilmente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, numero 45559 del 07/03/2018, P., Rv. 273950 - 01 . 10. Alla argomentazione d’indole testuale si coniuga il dato esegetico fondato sui lavori preparatori. La Relazione governativa di accompagno del d.d.l. A.comma 2798 XVII Legislatura indica invero la ratio dell’art. 14 dell’originario d.d.l., poi confluito nella L. numero 103 del 2017, art. 1, comma 50, introduttivo dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, nell’espresso giudizio di non meritevolezza dell’ attuale troppo ampia ricorribilità per cassazione , per il verificato largo esito di inammissibilità dei relativi ricorsi, con il conseguente apprezzamento dell’ inutile dispendio di tempo e di costi organizzativi . L’indicata ragione sostiene pertanto la ragionevolezza di una limitazione del ricorso per cassazione avverso le sentenze di patteggiamento nei soli casi espressamente indicati nella norma in esame, nel dichiarato intento del legislatore di scoraggiare i ricorsi meramente defatigatori e, per altro verso, di accelerare la formazione del giudicato Rel. cit. . Non può, purtuttavia, ritenersi rifluita nel dettato normativo l’intenzione espressa nella stessa relazione secondo la quale il disposto dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, si applica all’ipotesi di illegalità della misura di sicurezza applicata o omessa, non potendosi la illegalità della misura di sicurezza equiparare alla violazione dell’obbligo di valutarne l’emissione, posto che - come già detto - l’obbligatorietà della misura non coincide con la automaticità della sua applicazione a seguito della condanna per il reato per il quale si è proceduto, necessitando - invece - il positivo accertamento della pericolosità sociale del condannato. 11. Infine, il Collegio ritiene che tale complessiva ricostruzione interpretativa dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, sia conforme ai rilevanti parametri costituzionali. Osserva a tale riguardo che la scelta del rito alternativo, che sia immune da vizi per quanto concerne l’espressione della volontà dell’imputato vizi che, significativamente e opportunamente, legittimano pubblico ministero e imputato al ricorso per cassazione ai sensi dello stesso art. 448, comma 2 bis , sostiene ragionevolmente una consapevole accettazione delle parti - compresa, per quanto riguarda il caso di specie, la parte pubblica - del ristretto regime di impugnazione definito dalle nuove norme. E ciò anche per quanto attiene ai punti della sentenza di patteggiamento che, pur non ricompresi nel perimetro dell’accordo sulla pena, rientrano tuttavia in un’area di ragionevole prevedibilità. Il Collegio ribadisce a tale riguardo che l’applicazione della misura di sicurezza personale dell’espulsione dello straniero costituisce solo uno degli esiti consentiti in caso di condanna, sia essa o meno frutto di accordo sulla pena, per la fattispecie di lieve entità di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, art. 73, comma 5. Infatti, pur essendo tale eventualità autorizzata dallo stesso D.P.R. numero 309 del 1990, art. 86, comma 1, - e, ove la relativa condanna superi, come nel caso di specie, i due anni di reclusione, dall’art. 235 c.p. - tuttavia l’applicazione della suddetta misura di sicurezza personale richiede il positivo accertamento della pericolosità sociale del condannato. Sicché, soprattutto nel caso di qualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, un giudizio negativo circa la pericolosità dell’imputato, anche in considerazione della scelta del rito da parte sua e del connesso riconoscimento dei fatti contestati, appare essere un esito del tutto fisiologico e in alcun modo di per sé illegale. La previsione di una specifica disciplina transitoria per il novellato art. 448 c.p.p., comma 2 bis, - che, ai sensi della L. numero 103 del 2017, art. 1, comma 51, si applica solo ai procedimenti nei quali la richiesta di pena ex art. 444 c.p.p., è stata presentata successivamente alla entrata in vigore della legge di modifica - consente del resto alle parti una scelta del rito pienamente consapevole anche in ordine alle conseguenze relative al nuovo regime di impugnazione della sentenza di patteggiamento e rappresenta un’ulteriore conferma della razionalità e ponderatezza della chiara scelta operata dal legislatore. Rientra infatti nel libero esercizio delle facoltà di ciascuna parte il diritto di affrontare il giudizio ordinario, e di avvalersi così dei mezzi di impugnazione ad esso propri, ovvero di accordarsi sulla richiesta di patteggiamento, coi benefici - e i limiti - che la legge ricollega, in questo caso, all’accordo delle parti sulla pena vedi, Corte cost. numero 225 del 2003, sui dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Corte di cassazione sull’art. 448 cod. proc., nel rapporto tra giudizio abbreviato e richiesta di patteggiamento, in caso di dissenso espresso dal P.m. vedi altresì, per il riconoscimento del principio secondo cui al rito del patteggiamento corrisponde ragionevolmente, rispetto a quello ordinario, una diversa conformazione dei mezzi di impugnazione esperibili, Sez. 6, numero 2400 del 1992, Colombini, che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 448 c.p.p., comma 2, per contrasto con l’art. 3 Cost., nonché Corte E.D.U. Natsylishvili e Togonidze c. Georgia del 29 aprile 2014, che ha escluso qualsivoglia violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione EDU o dell’art. 2, del relativo Protocollo numero 7 in caso di legislazione nazionale che preveda la non impugnabilità della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti . 12. All’esito di quanto affermato in ordine alla non ricorribilità della sentenza di patteggiamento con riferimento alla omessa statuizione sulla misura di sicurezza, merita approfondimento il tema riguardante i mezzi per la emenda di tale omissione. 12.1. A tal riguardo, l’orientamento secondo il quale la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di statuire in ordine alla misura di sicurezza dell’espulsione, a norma del D.P.R. numero 309 del 1990, art. 86, comma 1, è rettificabile in sede di legittimità con la procedura prevista dall’art. 619 c.p.p. Sez. 6, numero 21384 del 21/05/2010, Hamed, Rv. 247344 - 01 , è stato superato da successive decisioni secondo le quali in tema di misure di sicurezza, la sentenza di condanna che abbia omesso l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nel D.P.R. numero 309 del 1990, art. 86, qualora impugnata dal P.M. con ricorso per cassazione, non può essere rettificata ex art. 619 c.p.p., ma deve essere annullata con rinvio limitatamente a tale punto, onde consentire al giudice di merito di operare la valutazione in concreto della pericolosità del condannato, trattandosi di accertamento che deve essere condotto innanzitutto in sede di cognizione e solo successivamente in sede di esecuzione Sez. 3, numero 19530 del 04/02/2015, Rahmoune, Rv. 263637-01 conf. Sez. 3, numero 30493 del 24/06/2015, Taulla, Rv. 264804-01 Sez. F, numero 34978 del 13/08/2015, Totili e altro, Rv. 264576- 01 . Da ultimo, Sez. 4, numero 43459 del 29/09/2015, Lupoae Nicusor, Rv. 265219-01, ha escluso il ricorso all’art. 619 c.p.p., nell’affermare che la misura di sicurezza dell’allontanamento dal territorio dello Stato del cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea, condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni, deve essere disposta anche in caso di sentenza di patteggiamento, ma sempre previo accertamento in concreto della pericolosità sociale. Anche il citato precedente Sez. 3, Handa, all’indomani della introduzione dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, si pone in tale alveo, opponendo la intervenuta ostatività della novella al ricorso per cassazione che censuri l’omessa applicazione della misura di sicurezza. Il ricorrente P.G., invece, ha escluso che la omissione possa essere censurata attraverso il mezzo di impugnazione previsto dal combinato disposto dell’art. 579 c.p.p., comma 2, e art. 680 c.p.p., comma 2, in relazione all’orientamento espresso in caso analogo a quello in esame secondo il quale la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di statuire in ordine all’applicazione di una misura di sicurezza, non è appellabile al tribunale di sorveglianza ex art. 680 c.p.p., ma è ricorribile per cassazione Sez. 3, numero 7641 del 03/02/2010, Grigoras, Rv. 246196-01 . È stato condivisibilmente osservato che se non c’è dubbio che il Tribunale di sorveglianza sia competente funzionalmente quando la impugnazione sia limitata al solo capo della sentenza concernente le disposizioni sulle misure di sicurezza . tuttavia tale competenza attribuita proprio in virtù della specializzazione del Tribunale di sorveglianza in materia di misure di sicurezze non può, però, essere di carattere assoluto ed addirittura derogatoria delle regole stabilite dal legislatore in tema di impugnazione. Le sentenze emesse ex art. 444 c.p.p., per il disposto tassativo di cui all’art. 448 c.p.p., comma 2, sono inappellabili a meno che il P.M. non abbia espresso il proprio dissenso . Tale regola di carattere generale non può certamente essere modificata, senza una espressa previsione normativa, in tema di misure di sicurezza. Peraltro, la competenza funzionale del Tribunale di sorveglianza in materia di misure di sicurezze non è priva di limiti , dal momento che, secondo lo stesso art. 579 c.p.p. l’impugnazione che riguardi anche altri capi della sentenza oltre quello concernenti le misure di sicurezza è proposta davanti al giudice della cognizione . 13. Ritiene questo Collegio che la condivisibile esclusione sia del ricorso alla procedura di rettificazione della sentenza che dell’appello al Tribunale di Sorveglianza non individui un vuoto di tutela in conseguenza della limitata ricorribilità della decisione introdotta dall’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, nel caso - quale quello sottoposto a questo Collegio - di omessa statuizione in ordine alla misura di sicurezza personale. Invero, non possono dirsi esauriti i rimedi all’omissione da parte del Giudice del patteggiamento riguardante la statuizione sulla misura di sicurezza personale, potendo il Pubblico Ministero adire il magistrato di sorveglianza - funzionalmente competente in materia di misure di prevenzione personali - ai sensi del combinato disposto dell’art. 205 c.p., comma 2, numero 1, e art. 679 c.p.p., comma 1. La prima previsione riguarda la possibilità di emettere la misura di sicurezza con provvedimento successivo alla sentenza di condanna, mentre la seconda disposizione processuale prevede che quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dai casi previsti dall’art. 312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti . Cosicché, rientra nella previsione di misura che deve essere ordinata successivamente alla sentenza, il caso - quale quello di specie - nel quale il giudice della cognizione ha omesso di statuire in ordine alla prevista misura di sicurezza personale. In tal caso il P.M. potrà adire il magistrato di sorveglianza che, svolto l’accertamento sulla pericolosità del condannato, adotterà i provvedimenti conseguenti. 14. Deve, quindi, essere espresso il seguente principio di diritto La sentenza di applicazione della pena che abbia omesso di disporre l’espulsione dal territorio dello Stato dello straniero per uno dei reati indicati nel D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, art. 86, non può essere impugnata dal p.m. con ricorso per cassazione, ostandovi la previsione dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, introdotta dalla L. 23 giugno 2017, numero 103, art. 1, comma 50, che individua ipotesi tassative per la proponibilità di detta impugnazione, tra le quali l’effettiva adozione di una misura di sicurezza illegale, non potendosi equiparare, ai fini della proponibilità della impugnazione, la illegalità della misura di sicurezza alla violazione dell’obbligo di statuire riguardo ad essa, tale omissione legittimando il pubblico ministero ad adire il magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 679 c.p.p., comma 1, e art. 205 c.p., comma 2, numero 1 . 15. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili ed i ricorrenti imputati condannati al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma che si stima equo determinare in Euro duemila in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti imputati al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.