Cede di nascosto la casa popolare: condannata

Sotto i riflettori la condotta tenuta dalla originaria assegnataria di un alloggio di proprietà dello IACP. Per i Giudici non vi sono dubbi ella ha dato un contributo decisivo alla concretizzazione del reato di invasione di edifici”.

Cedere consapevolmente e in maniera occulta, ovviamente, la casa popolare assegnata dallo IACP vale una condanna. Linea dura, quella tracciata dai Giudici confermati in via definitiva i tre mesi di reclusione per una donna che da originaria assegnataria ha pensato bene di consentire che un’altra famiglia vivesse nella sua casa popolare. Questa condotta è catalogabile come occupazione illegittima Cassazione, sentenza n. 5759/19, sez. II Penale, depositata oggi . Presenza. Scenario della vicenda è la provincia di Bari. Lì alcuni controlli in un immobile di proprietà dell’Istituto autonomo case popolari permettono di far emergere la presenza illegittima di una famiglia in una casa popolare, assegnata in realtà a una donna che col nucleo familiare presente sotto quel tetto non ha alcun legame diretto, almeno ufficialmente. Ulteriori indagini, però, portano alla luce una realtà diversa è stata proprio l’assegnataria dell’appartamento a cederlo in maniera occulta, mettendosi quindi d’accordo con la famiglia risultata lì residente, seppur non ufficialmente. Consequenziale è il processo per la donna, che viene ritenuta colpevole di avere invaso l’appartamento di proprietà dello IACP e viene condannata a tre mesi di reclusione . A rendere ancora più delicata la sua posizione, secondo i Giudici, anche il fatto che ella, originaria assegnataria dell’alloggio , aveva omesso volutamente di segnalare ai competenti uffici che, unitamente al coniuge, aveva la proprietà di un altro immobile e quindi non era più in possesso dei requisiti previsti per l’ottenimento di una casa popolare. Cessione. A chiudere il cerchio provvede ora la Cassazione, confermando le concordi valutazioni compiute in Tribunale e in Corte d’Appello, e rendendo così definitiva la condanna della donna. Per i Giudici del Palazzaccio non ci sono dubbi la condotta di chi, pur detenendo l’immobile, lo ceda abusivamente a terze persone costituisce un contributo consapevole e causalmente rilevante alla realizzazione del reato di invasione di edifici . Respinta la tesi difensiva secondo cui le persone rinvenute nella casa dello IACP erano semplici ospiti . A smentire questa visione, ribattono i Giudici, è sufficiente la circostanza che la presenza di quei soggetti, e l’assenza dell’assegnataria dell’alloggio, sia stata accertata nel corso di numerosi accessi, effettuati in giorni ed orari diversi .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 novembre 2018 – 6 febbraio 2019, n. 5759 Presidente Prestipino – Relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d'APPELLO di BARI, con sentenza in data 15/2/2017, confermava la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di BARI il 8/10/2014 nei confronti di MA. RO. in relazione al reato di cui all'artt. 633 e 639bis CP. 1. Ro. Ma. veniva rinviata a giudizio per avere, in concorso con altre persone, invaso un appartamento di proprietà dello IACP. In specifico l'imputata, originaria assegnataria dell'alloggio, avrebbe -anche omettendo di segnalare ai competenti uffici che unitamente al coniuge aveva la proprietà di una altro immobile a Bari e che non era pertanto in possesso dei requisiti consentito a terzi di occupare l'appartamento. All'esito del processo la Ma. veniva condannata alla pena di mesi tre di reclusione. Avverso la sentenza presentava appello la difesa deducendo l'insussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato. La Corte territoriale confermava la sentenza del Tribunale. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputata che, a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi. 2.1. Vizio di motivazione in relazione alla configurabilità del delitto di cui all'art. 633 cod. pen. La difesa rileva che non può configurare l'elemento materiale del reato contestato la condotta di chi, occupando legittimamente l'appartamento o comunque senza averlo invaso, ospiti terze persone senza che queste stabiliscano con l'immobile un rapporto di detenzione effettiva. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile 1. Le doglianze circa la logicità e la completezza della motivazione della sentenza pronunciata dalla Corte Territoriale quanto alla configurabilità del reato di cui all'art. 633 cod. pen., sono manifestamente infondate. La Corte, la cui motivazione si salda ed integra con quella del giudice di primo grado, ha infatti fornito congrua risposta alle critiche contenute nell'atto di appello ed ha esposto gli argomenti per cui queste non erano in alcun modo coerenti con quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Alla Corte di cassazione, d'altro canto, è precluso, e quindi i motivi in tal senso formulati sono inammissibili, sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito. Il controllo che la Corte è chiamata ad operare, e le parti a richiedere ai sensi dell'art. 606 lett. e cod. proc. pen., infatti, è esclusivamente quello di verificare e stabilire se i giudici di merito abbiano o meno esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428 per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217 Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507 . Sotto tale aspetto, a fronte di una motivazione coerente e logica in merito alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, ogni ulteriore critica, che trova peraltro fondamento nella indimostrata qualità di meri ospiti delle persone rinvenute nell'immobile, risulta del tutto inconferente esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell' iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione , in questo senso da ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217 . Nel caso di specie, come correttamente indicato nella sentenza impugnata, la questione non è se configuri o meno il reato di cui all'art. 633 cod. pen. la condotta di chi, entrato legittimamente in possesso del bene, vi permanga quanto, piuttosto, la condotta di chi, pur detenendo l'immobile, lo ceda abusivamente a terzi. Tale diversa condotta, anche se caratterizzata da un apporto che può definirsi atipico, integra il concorso in invasione di edifici. La Corte territoriale ha proceduto sul punto ad una attenta ed articolata analisi di quanto emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale e, fatto corretto riferimento alla normativa di settore, è addivenuta ad una conclusione corretta e coerente. Come in questa evidenziato, infatti, la ricorrente ha consentito a terzi di occupare una abitazione a cui questi non avevano titolo e che lei stessa aveva cessato di avere ed in tal modo, cfr. tra le altre le pagine 4 e 10 della sentenza impugnata, la Ma. ha fornito un contributo consapevole e casualmente rilevante alla realizzazione del reato. La circostanza che la presenza dei medesimi soggetti, e l'assenza della ricorrente, sia stata accertata nel corso di numerosi accessi effettuati in giorni ed orari diversi, d'altro canto, esclude che questi, come sostenuto assertivamente nel ricorso, possano essere qualificati come semplici ospiti. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro duemila a favore della cassa delle ammende.