Non risarcisce il danno alla parte civile: revocata la sospensione condizionale della pena

La verifica della concreta possibilità del condannato di risarcire il danno alla parte civile trova la sua realizzazione in sede esecutiva. Spetta al giudice dell’esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere adempiuto, esso possa essere soddisfatto.

Lo ha ribadito la Corte di legittimità con sentenza n. 5722/19 depositata il 5 febbraio. Il caso. La Corte territoriale di Torino, in qualità di giudice di rinvio, revocava la sospensione condizionale della pena concessa all’imputato che non aveva provveduto, entro il termine stabilito, a risarcire il danno alla parte civile. Avverso tale provvedimento l’imputato ricorre per cassazione. Revoca del beneficio. In tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, i Giudici di legittimità ribadiscono che la verifica della concreta possibilità del condannato di fare fronte a tale onere trova la sua realizzazione indefettibile in sede esecutiva, spettando al giudice dell’esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa essere soddisfatto . Da tale assunto discende che, una volta accertata l’impossibilità di adempiere dell’imputato, il beneficio della sospensione condizionale della pena non può essere revocato. Tuttavia, nella fattispecie, tale impossibilità non risulta essere stata provata. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 gennaio – 5 febbraio 2019, n. 5722 Presidente Palla – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Torino, quale giudice di rinvio, ha disposto la revoca della sospensione condizionale della pena concessa a M.A. , rilevando il mancato adempimento, nel termine previsto, della condizione posta ai sensi dell’art. 165 cod. pen. di risarcire alla parte civile il danno, quantificato in 10.000,00 Euro. 2. Avverso il provvedimento ricorre l’imputato, tramite il difensore, manifestando la volontà di censurare il ragionamento sviluppato dalla corte territoriale che, erroneamente, ha ritenuto insussistente l’oggettiva condizione di impossibilità dell’adempimento rappresentata dal M. . Il giudice di rinvio non avrebbe congruamente motivato la revoca della sospensione condizionale della pena, disattendendo le indicazioni contenute nella sentenza di rinvio, ignorando tutti gli elementi dimostrativi dello stato di indigenza del condannato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. La sentenza rescindente n. 39527 del 16/02/2017 si sviluppa attraverso i passaggi argomentativi di seguito trascritti. In linea generale, in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, risolvendosi il mancato pagamento cui è subordinato il beneficio in una causa di revoca dello stesso come testualmente si ricava dall’art. 168 c.p., comma 1, n. 1, ultimo inciso , la verifica della concreta possibilità del condannato di fare fronte a tale onere trova la sua realizzazione indefettibile in sede esecutiva, spettando appunto al giudice della esecuzione stabilire se, nel momento in cui tale onere deve essere effettivamente adempiuto, esso possa essere soddisfatto al principio consegue il corollario della disponibilità di ampli poteri istruttori nella relativa competenza del giudice dell’esecuzione . Chiarito il principio, va detto che, nella fattispecie, dalla stessa ordinanza impugnata risulta che il ricorrente aveva allegato, fornendo un principio di prova relativo ad una situazione non implausibile, una condizione di difficoltà economica che gli aveva impedito di fare fronte all’adempimento dell’obbligo risarcitorio si legge in motivazione della prodotta documentazione relativa allo stato di disoccupazione e di documenti della Caritas Diocesana . È principio affermato da questa Corte che l’assoluta impossibilità di adempiere impedisce la revoca del beneficio, una volta accertata dal giudice dell’esecuzione Sez. 3, 13.11.2008, n. 3197, Rv 242177 . Ma, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata non ha congruamente motivato né sulle dedotte e comprovate condizioni economiche dell’obbligato né sulla riportabilità dell’inadempimento ad un comportamento incolpevole né sull’attestazione ISEE prodotta dal ricorrente a riprova di una condizione di oggettiva difficoltà in cui egli versava . Il discorso giustificativo del provvedimento impugnato, a fronte di specifiche deduzioni volte a dimostrare l’impossibilità di effettuare il pagamento di quanto previsto in sentenza in favore della parte civile, si limita ad affermare l’assenza di prova dagli elementi prodotti, così non spiegando le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto il giudice a ritenere fondata la richiesta di revoca del beneficio e concretando una mancanza di motivazione che riporta l’omissione ad esclusiva cattiva volontà dell’obbligato, senza confrontarsi con gli argomenti spesi per accreditare un’impossibilità assoluta ad adempiere che andavano adeguatamente soppesati . A tali conclusioni il giudice non poteva spingersi sul solo presupposto che l’inadempimento fu totale, in quanto doveva essere verificato con adeguata istruttoria - di fronte ad una situazione di dubbio - se il prevenuto fosse stato nelle condizioni di avanzare una qualsivoglia offerta adeguata alle sue condizioni economiche . 3. Il principio di diritto è chiaro. L’unico vizio rilevato dalla sentenza rescindente era quello di motivazione, per il mancato vaglio dei documenti prodotti dal condannato a dimostrazione del proprio stato di indigenza. 4. Va anzitutto osservato che il ricorrente eleva una censura, senza tuttavia indicare quale, tra i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., intenda proporre. Il che vizia in radice l’impugnazione. Solo valorizzando il contenuto dell’atto, si può giungere a ritenere che il vizio denunciato sia quello di motivazione. Ma anche in tale ipotesi il ricorso non riesce ad affrancarsi dalla inammissibilità, poiché contiene una mera prospettazione alternativa e meramente soggettiva dei dati fattuali in rilievo, senza alcun confronto con le ragioni del decidere esposte nel provvedimento impugnato. Il giudice di rinvio esclude che il ricorrente fosse disoccupato dal 2002, perché all’epoca dei fatti 2010 , prestava attività lavorativa presso un locale pubblico. Rileva poi che il condannato è titolare di partita Iva, come procacciatore di affari nel campo di articoli per la casa e ferramenta. Nega, motivatamente, valenza probatoria alla attestazione Isee, perché basata esclusivamente sulle dichiarazioni della parte e alla scheda Caritas dell’anno 2014. Dà atto che non vi è prova che il ricorrente sia seguito dai servizi sociali. 3. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.