Sottrae per gelosia il cellulare della ex compagna ma non glielo restituisce: condannato per furto

Fatale all’imputato la scelta di non ridare il telefonino all’ex compagna. Evidente, secondo i Giudici, la sua intenzione di trarre un profitto. Esclusa l’ipotesi della non punibilità decisive le modalità del delitto, verificatosi nell’appartamento di lei.

Prima ha sottratto per gelosia una borsa contenente il telefonino della sua ex compagna, col chiaro obiettivo di visionare l’elenco delle chiamate e i messaggi. Poi però ha pensato bene di restituire alla donna solo la borsa, tenendo per sé il cellulare. E quest’ultimo comportamento è sufficiente, secondo i Giudici, per ritenere l’uomo colpevole del reato di furto Cassazione, sentenza n. 5467/19, sez. V Penale, depositata oggi . Profitto. I fatti, risalenti all’aprile del 2014, si sono verificati nell’abitazione della donna, dove l’ex compagno, una volta entrato, ha agito con violenza, buttando all’aria alcune suppellettili, minacciandola di morte e ferendola a un braccio con delle forbici . In quel contesto, poi, l’uomo ha anche sottratto una borsa contenente il telefonino della sua vecchia partner. Obiettivo, ha spiegato il suo legale, era solo quello di prendere il cellulare e visionare i messaggi e le conversazioni della donna . Nessun dubbio, quindi, in ottica difensiva sul fatto che la sottrazione della borsa fosse basata sulla gelosia e non sull’idea di trarne un profitto. Questa visione viene però respinta dai giudici, che, prima in appello e ora in Cassazione, valutano il comportamento dell’uomo come un furto in piena regola. Innanzitutto, viene chiarito che il fine del profitto non deve individuarsi esclusivamente nella volontà di trarre una utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta . E in questa vicenda, viene aggiunto, l’uomo ha sì agito per gelosia nei confronti della donna e ha preso la sua borsa per visionare i messaggi e le conversazioni , ma egli in seguito ha restituito la borsa ma non il cellulare , così dimostrando di voler trarre profitto anche in senso economico-patrimoniale dall’uso del telefono . Esclusa, infine, l’ipotesi della non punibilità decisivo per i Giudici il richiamo alle gravi modalità esecutive del delitto , verificatosi, come detto, nella casa della donna, e con l’uomo a tenere una condotta aggressiva e violenta.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 ottobre 2018 – 4 febbraio 2019, n. 5467 Presidente Palla – Relatore De Gregorio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado che aveva condannato l'imputato a pena di giustizia, qualificando l'originaria imputazione di cui all'art 624 bis cp in quella di furto semplice e riducendo la pena fatto di Aprile 2014. 1. Avverso la decisione ha proposto ricorso la difesa dell'imputato, lamentando col primo motivo la violazione degli artt. 624 cp, 192, 521 e 530/2 cpp per violazione delle regole sulla valutazione della prova, del principio dell'oltre il ragionevole dubbio e della correlazione tra accusa e sentenza, in quanto la Corte aveva ritenuto incerto il luogo e le modalità di impossessamento della borsa, escludendo, altresì, che fosse ravvisabile il furto in appartamento ed il fatto ritenuto in sentenza sarebbe, pertanto, diverso da quello oggetto dell'imputazione. 1.1 Sotto un diverso profilo la motivazione aveva dato atto dell'esistenza di un precedente legame sentimentale tra l'imputato e la persona offesa, e che il primo aveva agito per gelosia, sottraendo la borsa allo scopo di prendere il telefono e visionare i messaggi e le conversazioni della donna, ma non aveva escluso il fine di profitto e, quindi, il dolo specifico mentre da nessun elemento risultava quale fosse lo scopo del ricorrente, dovendo, pertanto, escludersi la prova del dolo specifico. 2. Nel secondo motivo è stata prospettata la violazione delle norme sostanziali e processuali in tema di querela, in quanto la sentenza aveva ritenuto che l'espressa volontà di punizione fosse riferibile anche al diverso delitto ravvisato dai Giudici di Appello. 3. Tramite il terzo motivo è stata richiesta l'applicazione della causa di non punibilità ex art 131 bis cp, entrata in vigore dopo la sentenza di secondo grado. 4. Col quarto motivo è stata dedotta la mancanza di motivazione circa il trattamento sanzionatorio. All'odierna udienza il PG, dr Salzano ha concluso come in epigrafe. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Il primo motivo di ricorso non si è confrontato con la chiara motivazione resa dai Giudici territoriali, che hanno qualificato il fatto oggetto dell'imputazione come furto semplice e non come furto con strappo, come originariamente contestato, ed hanno correttamente osservato che l'imputato aveva avuto modo di spiegare le proprie difese, tanto che la riqualificazione giuridica era corrispondente ad uno dei motivi di doglianza avanzati in appello. 1.1 Per quanto riguarda il profilo del primo motivo incentrato sulla ritenuta esistenza del dolo specifico, deve osservarsi che più volte le pronunzie di questa Corte hanno opinato che il concetto di profitto debba essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi non solo il vantaggio di natura puramente economica, ma anche quello di natura non patrimoniale, realizzabile con l'impossessamento della cosa mobile altrui Sez. 2, Sentenza n. 40631 del 09/10/2012 Ud. dep. 17/10/2012 Rv. 253593. Il fine di profitto, in cui si concretizza il dolo specifico, non deve individuarsi esclusivamente nella volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta. Sez. 5, Sentenza n. 19882 del 16/02/2012 Ud. dep. 24/05/2012 Rv. 252679. In base ai suddetti principi è stata ritenuta l'ipotesi del furto in un caso - analogo al presente - nel quale l'agente aveva sottratto un'agendina telefonica dalle mani della vittima, al solo scopo di impedire a quest'ultima di fare una telefonata, oppure nella sottrazione di un bene al solo scopo di fare una cosa sgradita al detentore. 2. In senso diverso qualche pronunzia ha osservato che il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioè come possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell'utilità intesa in senso economico/patrimoniale. Sez. 5, Sentenza n. 30073 del 23/01/2018 Ud. dep. 04/07/2018 Rv. 273561. Conforme Sez. 4, Sentenza n. 47997 del 18/09/2009 Ud. dep. 16/12/2009 Rv. 245742. E' stato, così, precisato che l'accoglimento di una nozione dilatata del concetto di profitto - che sarebbe ravvisabile anche nel soddisfacimento di un bisogno psichico o, in genere, nell'acquisizione di un vantaggio o un'utilità non patrimoniale - si presta alla considerazione critica di trascurare il dato letterale e sistematico dell'inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che costituisce il bene/interesse tutelato dalla norma, apparendone problematica la coerente collocazione nell'ambito dei criteri ermeneutici dell'interpretazione letterale della legge e della volontà del legislatore. 2.1 Nello stesso solco critico è stato, per altro verso, osservato dalla dottrina che un'eccessiva espansione delle nozione di profitto, estesa fino a raggiungere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, arrivando ad identificare lo scopo di lucro previsto nella fattispecie astratta con la generica volontà di tenere per sé la cosa, può comportare, in definitiva, l'annullamento della previsione normativa, che implica la necessità del dolo specifico. Ed in tal senso è stato chiarito che proprio il fine di profitto assolve ad una funzione di limite dei fatti punibili a titolo di furto e, nel contempo, individua una linea di confine tra il furto ed altre figure di reato, non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte dell'agente. 2.2. Nel caso in esame la ricostruzione del fatto operata dai Giudici del merito emergente dalla motivazione ha chiaramente dato atto che l'imputato, pur avendo agito per gelosia nei confronti della donna e preso la borsa per visionare i messaggi e le conversazioni, in seguito ha restituito la borsa ma non il cellulare, dimostrando, in tal modo di volere trarre profitto anche in senso economico-patrimoniale dall'uso del telefono, restando, pertanto, integrato anche l'elemento del dolo specifico richiesto per l'integrazione del delitto. 3. Il secondo motivo è strettamente collegato alla deduzione, già valutata manifestamente infondata, circa la presunta diversità del fatto ed è, pertanto, inammissibile. 4. La richiesta della causa di non punibilità ex art 131 bis, avanzata per la prima volta in questa fase, appare legittima, in quanto la sentenza impugnata è stata emessa prima dell'entrata in vigore della disposizione codicistica che la prevede, e questa Corte può ritenerla o escluderla senza necessità di rinvio del processo nella sede di merito, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, se del caso annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell'art. 620, comma primo lett I , cod. proc. pen. Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016 Ud. dep. 06/04/2016 Rv. 266594. In coerenza col principio affermato dalle Sezioni Unite è stato, altresì, chiarito che quando la sentenza impugnata è anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, l'applicazione dell'istituto nel giudizio di legittimità presuppone che le condizioni di applicabilità dello stesso non siano state escluse dal giudice di merito, in termini espliciti o impliciti, nella ricostruzione della fattispecie e nelle valutazioni espresse in sentenza. Sez. 6, Sentenza n. 51615 del 09/11/2016 Ud. dep. 02/12/2016 Rv. 268557. 4.1 Applicando tale sistema di principi al caso in esame occorre osservare in primis che la fattispecie di furto semplice nella quale è stato derubricato il fatto rientra nei limiti edittali previsti dall'art 131 bis cp. Tuttavia la Corte territoriale ha evidenziato le gravi modalità esecutive del delitto, che appaiono incompatibili con le condizioni per applicabilità dell'istituto in questione, avendo dato atto che il giudicabile era entrato nella casa ove si trovava la persona offesa, aveva buttato all'aria le suppellettili e minacciato di morte la donna, contestualmente impugnando le forbici e ferendola ad un braccio. 4.2. Dalla motivazione della sentenza, deve, pertanto, ritenersi implicitamente esclusa l'applicazione della causa di non punibilità a causa della gravità della condotta delittuosa. 5. Contrariamente a quanto rappresentato nel quarto motivo del ricorso, il trattamento sanzionatorio appare congruamente e correttamente giustificato tramite i riferimenti ai criteri ex art 133 cp delle circostanze del fatto, della condotta di vita e della personalità dell'imputato, elementi tutti presi in considerazione ed esplicitamente valutati nelle argomentazioni rese dalla Corte territoriale. L'obbligo di motivazione, è, pertanto assolto, avendo i Giudici del merito dato conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, ed avendo commisurato la pena inflitta, al netto della riduzione per il rito premiale scelto, in misura appena discostata dal minimo. Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017 Ud. dep. 21/07/2017 Rv. 271243 Alla luce dei principi e delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.