Non punibile per estorsione la pubblicazione di un video che svela le falle di un gioco online

La richiesta di denaro interveniva infatti successivamente alla rimozione del video da parte del suo stesso autore, che si era rivolto alla società proprietaria del gioco per chiedere un compenso a titolo di consulenza. Non sono dunque configurabili i requisiti dell’ingiustizia del profitto e del male paventato.

Lo hanno ribadito i Giudici di legittimità con la sentenza n. 3669/19, depositata il 25 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del GIP, assolveva un imputato dal reato di tentata estorsione e diffamazione che, secondo l’accusa, erano stati commessi ai danni di due società attraverso la diffusione di video in cui era ripresa una falla del sistema di sicurezza del gioco di poker online delle società al fine di conseguire un profitto illecito. Avverso la pronuncia di seconde cure, le due società, costituitesi parti civili, propongono ricorso in Cassazione. Estorsione. Secondo gli Ermellini, la motivazione del provvedimento impugnato appare logica, congrua e coerente con la ricostruzione della vicenda per sua natura estranea al giudizio di legittimità. Risulta dunque manifestamente infondato il motivo con cui i ricorrenti invocano un travisamento della prova, risolvendosi la doglianza in una mera non con divisibilità delle conclusioni a cui sono pervenuti i giudici di merito. In merito alla sussistenza dell’estorsione, la Corte, sottolineando che la richiesta di corrispettivo da parte dell’imputato era successiva alla rimozione del video e si instaurava in una fase negoziale dove egli chieda un compenso per una consulenza, richiama il principio secondo cui la richiesta successiva non è idonea a integrare l’ingiustizia del male paventato, elemento richiesto dall’art. 629 c.p Secondo tale norma infatti la minaccia deve avere ad oggetto un male futuro, il quale non deve essere già in corso. Corretta è dunque la motivazione là dove si legge che la pubblicazione online dei video dimostrativi delle anomalie dei sistemi di gioco non presenta gli estremi dell’elemento oggettivo del reato contestato, difettando lo stesso requisito dell’ingiustizia del profitto e del male paventato . Il ricorso viene in conclusione dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 31 ottobre – 25 gennaio 2019, n. 3669 Presidente Rago – relatore Monaco Ritenuto in fatto La CORTE d’APPELLO di MILANO, con sentenza del 7/2/2018, riformava la sentenza pronunciata dal GIUDICE per le INDAGINI PRELIMINARI presso il TRIBUNALE DI MILANO il 30/10/2013, ed assolveva S.L. imputato per i reati di cui agli artt. 56 e 629 cod. pen. e art. 595 cod. pen 1. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano richiedeva il rinvio a giudizio di S.L. per due diverse ipotesi di tentata estorsione e per il reato di diffamazione commessi a danno delle società Bwin Interactive Entertainment AG e Gioco Digitale Italia s.r.l., acquistata dalla prima. In specifico allo S. veniva contestato di avere compiuto più azioni esecutive, costituite dall’avere minacciato di diffondere dei video nei quali era ripresa una falla del sistema di sicurezza del gioco di poker online, al fine di conseguire un profitto illecito, rappresentato dalla richiesta che gli venisse versata la somma di 2.500.000, 00 Euro a titolo corrispettivo per una consulenza di fatto mai effettuata. La diffusione dei video, con l’utilizzo di espressioni denigratorie, d’altro canto, avrebbe offeso la reputazione delle società indicate. All’esito del processo, celebrato con le forme del rito abbreviato e nel quale si sono costituite parte civile entrambe le società, l’imputato veniva condannato. Avverso la sentenza la difesa dello stesso proponeva appello e la corte territoriale, ritenute fondate le doglianze, riformava la pronuncia del tribunale ed assolveva S.L. perché il fatto non sussiste. 2. Avverso la sentenza propongono ricorso le parti civili Bwin Italia s.r.l. e Bwin.Party Digital Entertainment Limited, nuove denominazioni delle costituite parti civili, che, a mezzo del comune difensore, deducono i seguenti motivi. 2.1. Contraddittorietà processuale e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e nella parte in cui la stessa presuppone o travisa l’esistenza di fatti accertati ed elementi probatori acquisiti . La difesa evidenzia che il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, valutando in modo errato ovvero illogico quanto emerso nelle indagini, sarebbe intrinsecamente contraddittorio e perverrebbe a conclusioni incoerenti rispetto a quanto acquisito. 2.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b avuto riguardo al delitto di cui all’art. 595 c.p., commi 1 e 3 . La difesa rileva che la Corte territoriale, escludendo la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione avrebbe errato. Diversamente da quanto considerato, infatti, il video postato su Youtube non rispetterebbe i requisiti richiesti dalla giurisprudenza circa la rilevanza sociale e la continenza. 2.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b avuto riguardo al delitto di cui agli artt. 56 e 629 c.p. . La Corte territoriale perverrebbe a conclusioni errate quanto alla ritenuta carenza della efficacia intimidatoria delle comunicazioni inviate dall’imputato alla società Bwin e quanto alla mancata qualificazione in termini di ingiusto profitto in merito alla richiesta di pagamento da questo avanzata. Le mail e le conversazioni intercorse tra lo S. ed i rappresentanti della società, infatti, sarebbero di contenuto minatorio, anche eventualmente implicito, e la proposta di offrire un servizio sarebbe in effetti da intendersi in termini analoghi ad una offerta di protezione o, meglio, come una modalità attraverso la quale si veicola il pagamento per impedire la diffusione del video diffamatorio. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La motivazione della Corte territoriale, all’esito di una valutazione attenta ed articolata di tutti gli elementi emersi e di una lettura cronologica di quanto accaduto al di là delle imprecisioni rilevate nel ricorso circa l’arco temporale intercorso, quattordici giorni anziché un mese, dal 14 al 28 aprile e due mesi anziché tre, dal 14 aprile al 17 giugno , è logica, congrua e coerente. Le critiche contenute nell’impugnazione, d’altro canto, confrontandosi solo apparentemente con gli argomenti indicati nella sentenza, sollecitano in realtà una diversa ed alternativa lettura degli elementi acquisiti durante le indagini cui non si può pervenire in sede di legittimità. Nel testo del motivo, il cui titolo contiene una indicazione in termini di travisamento, poi, non è indicato lo specifico travisamento di alcuna prova quanto, piuttosto, vi è una mera critica circa la non condivisibilità delle conclusioni cui la Corte territoriale è pervenuta. In relazione ad entrambi i profili appare opportuno ribadire i limiti del sindacato di legittimità in merito al vizio di motivazione ed alla deducibilità del c.d. travisamento della prova. Con riferimento al primo aspetto, in tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , si deve rammentare che, nell’apprezzamento delle fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Rv 203428 per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, da ultimo Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217 Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Rv. 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv 235507 . Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende che esula dai poteri della Cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell’ iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217 Passando al più specifico tema del vizio di manifesta illogicità della motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo sicché nella verifica della fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , il compito della Corte di Cassazione non consiste nell’accertare la plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici di merito a abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione b abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti c nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, magari altrettanto logica, dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito. Il controllo di legittimità operato dalla Corte di Cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia, Rv 229368 . Va da ultimo ancora osservato che la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività , non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M., Rv 271227 Sez. 2, 9242 del 8/2/2013, Reggio, Rv 254988 . Passando al tema del travisamento va osservato che, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma primo, lett. e ad opera dell’art. 8 della L. n. 46 del 2006, mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv 253099 stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentita la deduzione del vizio di travisamento della prova , che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano Sez. 3, n. 39729 del 18/6/2009, Belluccia, Rv 244623 Sez. 2, n. 23419 del 23/5/2007, Vignaroli, 236893 . Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la L. n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali che devono essere specificamente indicati nei motivi di impugnazione, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso medesimo , non ha comunque mutato la natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Sez. Sez. 6, 5146 del 16/1/2014, Del Gaudio, Rv 258774 Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv 257499 Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, 235716 . 2. La doglianza dedotta con il secondo motivo come violazione di legge, che in effetti contiene una critica circa la carenza di motivazione in relazione alla continenza ed alla esistenza di un pubblico interesse alla divulgazione cfr. pag. 9 del ricorso , non sussiste. La Corte territoriale, applicando correttamente i principi ed i criteri così come enucleati dalla giurisprudenza di legittimità in merito alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione ed all’operatività della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., ha evidenziato che la pubblicazione dei video sul web era da ritenersi legittima specificando che - la circostanza evidenziata nei video che vi era una falla nel sistema che poteva falsare i risultati del gioco era pacifica - la notizia, anche facendo riferimento ad una specifica categoria di soggetti interessati i giocatori di poker online, gli unici d’altro canto che avrebbero ricercato e quindi fruito di tale video , aveva una rilevanza sociale - i toni utilizzati ed il tenore dei commenti, seppure caustici, non erano gratuitamente e direttamente diffamatori quanto, piuttosto, avevano scopo divulgativo. In merito alla ritenuta continenza dei toni, peraltro, deve rilevarsi che la valutazione risente del mezzo utilizzato e dalla particolare espressività che il linguaggio ha assunto così che certi termini, anche coloriti come nel caso di specie losco o depredati , specialmente in alcuni contesti, non hanno una valenza direttamente diffamatoria. 3. Il terzo motivo, nel quale è dedotta la violazione di legge quanto agli artt. 56 e 629 cod. pen. anche e soprattutto nei termini di un vizio di motivazione, è manifestamente infondato. La Corte territoriale, invero, ha fatto buon governo dei principi contenuti nelle norme così come enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto. La condotta complessivamente posta in essere dall’imputato, infatti, come evidenziato nella sentenza impugnata, non consente di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi del reato di tentata estorsione - l’imputato non ha creato né aggravato il problema della falla del sistema - l’imputato, che pure ha comunicato di avere fatto dei video per dimostrare l’esistenza della falla, non ha mai formulato una richiesta di denaro quale corrispettivo per evitare la diffusione degli stessi - nessuna richiesta di denaro, in effetti, è stata mai avanzata prima della soluzione del problema ed i video sono stati eliminati non appena la Bwin ha risolto il problema e richiesto all’imputato di procedere in tal senso - la richiesta di corrispettivo è successiva alla rimozione dei video ed è stata formulata avviando una vera e propria fase negoziale in un momento in cui nessuna pressione è stata fatta né questa, in effetti, sarebbe stata più possibile. All’esito di tale lettura, qui indicata in termini sintetici facendo riferimento alle pagine da 8 a 13 della motivazione, il riferimento al principio secondo il quale la richiesta successiva non è idonea ad integrare l’ingiustizia del male paventato di cui all’art. 629 cod. pen. dovendo la minaccia avere ad oggetto la prospettazione di un male futuro, il quale dunque non deve essere già occorso , appare corretto e la conclusione per cui la pubblicazione online dei video dimostrativi delle anomalie dei sistemi di gioco non presenta gli estremi dell’elemento oggettivo del reato contestato, difettando lo stesso requisito dell’ingiustizia del profitto e del male paventato è logica e coerente. Le diverse considerazioni articolate dalla difesa delle parti civili nei ricorsi, d’altro canto, non colgono nel segno. La circostanza che i video fossero stati eliminati dal web in un momento precedente la richiesta di corresponsione della somma, esclude che in tale secondo momento ci fosse una qualsivoglia limitazione all’autodeterminazione della Bwin che, appunto, aveva la possibilità di opporsi nelle competenti sedi ad una richiesta che riteneva ingiustificata. L’affermazione secondo la quale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice dell’appello, la minaccia sarebbe da ritenersi formulata in maniera indiretta ovvero implicita e la giurisprudenza citata nel ricorso, sono del tutto inconferenti. Nei modi, nei toni utilizzati e nel contesto nel quale si sono svolti i fatti non appare configurabile alcuna minaccia, neanche implicita. Tale specifico modo di operare, infatti, presuppone situazioni, in genere caratterizzate dalla presenza della criminalità organizzata o dalla esistenza di particolari circostanze concrete in riferimento alla personalità dell’agente, alle condizioni della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera così la stessa sentenza citata nel ricorso Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, Lavitola, Rv. 254797 che nel caso di specie non possono essere ravvisate. L’ultimo riferimento alla pretesa posizione di forza che avrebbe avuto l’imputato, infine, è suggestivo laddove una corretta lettura del periodo conduce a diverse ed opposte conclusioni. Con la frase dunque S. non approfittava in alcun modo della situazione di forza, derivante dalla possibilità di mantenere online il video pubblicato, per ottenere un vantaggio economico da tale vicenda , infatti, la Corte territoriale evidenzia l’esatto contrario di quanto pretenderebbe il ricorrente. La Corte territoriale rileva l’assenza dei caratteri dell’estorsione proprio nella scelta dell’imputato di eliminare il video dal web, circostanza questa che, piuttosto che dimostrare che lo stesso era in una posizione di forza, come vorrebbero i ricorrenti, indica piuttosto come sia stato lo stesso imputato a scegliere, prima di presentare la richiesta della somma di pagamento, di abbandonarla prima di iniziare la fase negoziale. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186 , al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende.