Alle Sezioni Unite la questione della modifica dell’imputazione

Viene rimessa alle Sezioni Unite penali della Suprema Corte di Cassazione la questione se, nel corso del giudizio abbreviato condizionato all’integrazione probatoria, a norma dell’art. 438, comma 5, c.p.p., o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice ai sensi dell’art. 441, comma 5 dello stesso codice, sia possibile la modifica dell’imputazione, allorché il fatto risulti diverso o emerga una circostanza aggravante o un reato connesso, anche nel caso in cui i fatti oggetto di contestazione suppletiva già si desumessero dagli atti delle indagini preliminari, e non siano collegati ai predetti esiti istruttori.

Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2883/2019, depositata il 22 gennaio. Il rito abbreviato. Si tratta, come è noto, di un giudizio allo stato degli atti, salvo quanto disposto dal comma 5 art. 438 e dal comma 5 art. 441 c.p.p Per tale rito è previsto uno sconto di un terzo della pena temporanea. La manifestazione di volontà è espressa dall’imputato o dal suo difensore munito di procura speciale. Il rito abbreviato può essere richiesto nell’ambito dell’udienza preliminare ex art. 438 comma 2 c.p.p. nel giudizio immediato ex art. 458 c.p.p. nel giudizio direttissimo ex art. 452 comma 2 c.p.p. nel procedimento per decreto ex art. 464 c.p.p La scelta di tale procedimento alternativo costituisce espressione di un diritto potestativo dell’imputato l’ammissione al rito speciale non è infatti sindacabile da parte del P.M. o del G.U.P., salvo quanto stabilito dal comma 5 dell’art. 438 c.p.p Il rito si svolge mediante l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 422 e 423 c.p.p. L’imputato ha convenienza a richiedere il giudizio abbreviato in caso di a prova certa della responsabilità dell’imputato ed impossibilità di accedere al patteggiamento” b prove a carico già acquisite in incidente probatorio o nel corso dell’udienza preliminare prima del termine di cui all’art. 438, comma 2, c.p.p., e qualora tali risultanze probatorie non appaiano suscettibili di significative modificazioni nel dibattimento c prova carente dell’accusa non facilmente rimediabile da parte del G.U.P ex art. 441 comma 5 c.p.p. d notevoli probabilità che al dibattimento la posizione dell’imputato possa peggiorare. L’art. 438, ai commi 5 e 6, c.p.p., prevede il cosiddetto giudizio abbreviato condizionato” ad una integrazione probatoria. Tale integrazione, ai sensi dell’art. 441, comma 5 c.p.p., può anche essere acquisita ex officio . Le investigazioni difensive hanno ovviamente molteplici incidenze sull’acquisizione della prova nell’attività propedeutica al giudizio abbreviato. La rinnovazione probatoria nel rito abbreviato in fase di appello In passato, con riguardo al giudizio abbreviato in fase di appello, si è stabilito che il giudice di appello, celebratosi il primo grado con il rito abbreviato, in tanto può disporre acquisizioni probatorie ulteriori rispetto a quelle già esistenti al momento dell’accoglimento della richiesta del rito speciale, in quanto ciò avvenga a fronte di un’assoluta necessità rilevata di ufficio, in conformità al disposto dell’art. 603, comma 3, c.p.p Ciò in quanto, nel giudizio abbreviato, l’integrazione probatoria in appello non è esclusa in modo assoluto, ma va adeguatamente contemperata con le particolari esigenze di celerità e speditezza del rito prescelto dall’imputato, il quale – beneficiando di uno sconto secco” di pena, pari ad un terzo di quella applicabile – acconsente esplicitamente alla deroga del principio del contraddittorio nella formazione della prova art. 111, comma 5, Costituzione . La rinnovazione probatoria è dunque disposta, in tali casi, soltanto per acquisire documentazione indispensabile ai fini della decisione, purché attinente alla capacità sostanziale e/o processuale dell’imputato, e fermo restando – in ogni caso – il divieto di procedere all’assunzione di elementi probatori in malam partem . Rito abbreviato e modifica dell’imputazione. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, nel corso di un giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, non è applicabile la disposizione di cui all'art. 423 c.p.p. in tema di modifica dell'imputazione, sicché il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva determina la nullità della sentenza pronunciata all'esito di tale giudizio. Inoltre, è stato ribadito che la disposizione di cui all'art. 423 c.p.p. in tema di modifica dell'imputazione nel corso dell'udienza non si applica nel giudizio abbreviato per l'esplicito divieto di cui al comma 1 dell'art. 441, sicché la contestazione suppletiva in tale giudizio di una circostanza aggravante determina la nullità della sentenza. La questione è tuttavia ancora controversa, di talché la stessa è stata rinviata alle Sezioni Unite penali per una definitiva decisione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 dicembre 2018 – 22 gennaio 2019, n. 2883 Presidente Iasillo – Relatore Centofanti Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Perugia confermava la penale responsabilità di H.A. in ordine al delitto di omicidio in danno di B.S. capo A , aggravato dai motivi abietti e futili, esclusa viceversa l’aggravante della premeditazione già ritenuta in primo grado nonché in ordine ai delitti, uniti in continuazione, di danneggiamento del veicolo di proprietà della vittima, seguito dal pericolo d’incendio capo B, come giudizialmente riqualificato e di occultamento del suo cadavere capo C . La medesima Corte confermava, altresì, la pena principale di trent’anni di reclusione, già diminuita ai sensi dell’art. 442 c.p.p., comma 2, essendosi il giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato. 2. La vicenda di cui in rubrica aveva avuto il suo epilogo in omissis , frazione del Comune di . Qui, all’interno di una zona boschiva, i Carabinieri, intorno alle 13.00 del omissis , rinvennero l’automobile di B. quasi completamente avvolta dalle fiamme, presto domate dai Vigili del Fuoco. Nessuno era al suo interno. Il proprietario quel giorno non era andato al lavoro, e l’ultimo contatto con la sorella risaliva alla sera precedente. Gli investigatori appresero subito dell’esistenza di una relazione sentimentale tra l’uomo e una cittadina ucraina del luogo, S.T. , la quale, sentita a sommarie informazioni testimoniali, riferiva che di tale relazione era venuto a conoscenza il marito, H.A. , uomo possessivo e violento, dal quale era separata, pur vivendo essi ancora nella medesima casa. La sera del omissis vi era stata, tra i due, un’ulteriore discussione, ma lei aveva rifiutato la riappacificazione. La mattina seguente l’odierno imputato era uscito alle 8.00, per andare a lavorare ed era tornato la sera indossando abiti diversi. Si appurerà, in prosieguo, che l’imputato giunse in cantiere solo dopo mezzogiorno, avendo già effettuato il cambio di abiti. Il pomeriggio del omissis S. trovò, all’interno di un contenitore della spazzatura posto all’interno della sua abitazione, alcuni indumenti, appartenenti al marito, che presentavano evidenti tracce di sangue. Su tali indumenti sarà repertato DNA riconducibile al profilo genetico di B. . Dopo essere stato arrestato, l’odierno imputato rendeva, alla presenza del difensore, spontanee dichiarazioni. Egli consentiva, anzitutto, il recupero del corpo di B. , che avveniva, il omissis , nel fiume . Egli affermava, quindi, di aver ingaggiato due rumeni, di cui non era in grado di dare le generalità, per impartire una lezione a B. , promettendo e consegnando loro la somma di 1.500 Euro. Tali emissari, recatisi presso l’abitazione di B. , erano saliti sulla sua automobile lui si era fermato a distanza, senza percepire cosa stesse ivi accadendo. Raggiunto a sua volta il veicolo, dopo che i rumeni si erano allontanati, aveva constatato che l’uomo, con la testa tutta insanguinata, era morto si era quindi messo alla guida per disfarsi del cadavere, dando alla fine fuoco alla stessa automobile. 3. Il pubblico ministero otteneva, in relazione alle imputazioni di omicidio capo A e incendio così originariamente qualificato il capo B , il giudizio immediato. L’imputato chiedeva, nei termini, il rito abbreviato, condizionato ad un accertamento peritale sul proprio telefono cellulare, e vi era ammesso dal giudice, che contestualmente disponeva ulteriori integrazioni istruttorie. Espletate queste ultime, e anteriormente al conferimento dell’incarico peritale, il pubblico ministero contestava in via suppletiva, in relazione all’omicidio, talune aggravanti, tra cui quella, unica superstite all’esito del doppio grado di merito, dei motivi abietti e futili e contestava, sub capo C , il reato di occultamento di cadavere. 4. La Corte territoriale si confrontava anzitutto con l’eccezione difensiva, avanzata nell’immediatezza dinanzi al G.i.p., e riproposta nei motivi di appello, di inammissibilità di siffatte contestazioni, in quanto non correlate alle disposte acquisizioni probatorie e ai loro esiti. L’eccezione era respinta, sulla base della dominante giurisprudenza di legittimità, orientata a consentire, nell’ipotesi corrispondente, l’integrazione dell’accusa. Quanto al merito, la Corte, condividendo quanto già osservato dal primo giudice, riteneva inattendibile la tesi dell’incarico assegnato ai due rumeni e dell’avvenuto travalicamento del medesimo, non suffragata da alcun elemento di riscontro, e viceversa smentita da plurime circostanze, tra cui l’assenza di tracce e impronte di persone diverse dall’imputato e dalla vittima sull’automobile di quest’ultima l’inutilità dell’intervento di terze persone al solo scopo di minacciare e l’eccessività della somma che sarebbe stata all’uopo concordata e pagata, non si sa peraltro come procurata l’incapacità dell’imputato di fornire le generalità identificative dei pretesi correi la successiva reazione di lui, incongrua se l’intenzione iniziale fosse stata solo quella di intimorire. La Corte riteneva che l’imputato, il quale aveva in precedenza sì assunto nei confronti della vittima atteggiamenti ostili e intimidatori, si fosse determinato ad agire mosso da intenti punitivi nei confronti dell’uomo e non da mera gelosia , integranti il contestato motivo abietto e futile. La Corte negava, infine, le attenuanti generiche. 5. Ricorre l’imputato per cassazione, tramite il difensore di fiducia, sulla base di quattro motivi. 5.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce - ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c , - la violazione della legge processuale, e segnatamente degli artt. 438, 441 e 441-bis c.p.p La modifica dell’imputazione, in punto di aggravanti dell’omicidio, e della nuova contestazione di reato sub C , avvenuta in sede di rito abbreviato condizionato, non correlata alle risultanze dell’integrazione probatoria ivi disposta, sarebbe nulla. A sostegno è citata la pronuncia della Corte costituzionale n. 140 del 2010, che rappresenterebbe la più idonea confutazione del contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità. 5.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce - ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , - il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per omicidio. Sarebbe stata violata la regola dell’ oltre ogni ragionevole dubbio , quanto alla qualificazione dolosa, anziché preterintenzionale, della condotta. A sostegno dell’intervento dei rumeni sarebbero stati possibili riscontri ulteriori, da effettuare sul telefono cellulare dell’imputato, e la Corte territoriale lo avrebbe inaccettabilmente negato, addossandone la colpa sull’imputato medesimo. Anche a prescindere dal coinvolgimento di terzi, non vi sarebbe alcuna spiegazione del ripudio della tesi della preterintenzionalità, e la lacuna motivazionale sarebbe in contraddizione rispetto alla effettiva collaborazione prestata dall’imputato. 5.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce - ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b ed e , - la violazione dell’art. 62 c.p., n. 1 , e il vizio di motivazione in relazione all’aggravante dei motivi abietti e futili. L’intento punitivo, anziché di gelosia, sarebbe stato assertivamente proclamato, ovvero desunto dalla sola circostanza che S. si sarebbe la sera prima rifiutata di riprendere la relazione sentimentale con l’imputato mentre, secondo la comune esperienza criminologica, sarebbe questo un indice preciso della causale di gelosia, che non darebbe luogo a ribrezzo, biasimo o repulsione nell’uomo medio e non integrerebbe motivo abietto. Né ricorrerebbe, in presenza di detta causale, un’eventuale futilità per sproporzione, considerati anche il contesto sociale di riferimento e i fattori ambientali. 5.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce - ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , - il vizio di motivazione riguardo al diniego delle attenuanti generiche. Pur non costituendo esse un diritto assoluto, la giovane età, la pregressa incensuratezza e le condizioni sociali del reo costituivano indici oggettivi favorevoli, che sarebbero stati irragionevolmente trascurati. Le argomentazioni a sostegno della mancata concessione sarebbero, per contro, laconiche e di stile. 6. È stato presentato, nei termini, un motivo aggiunto, che di fatto riprende e sviluppa il terzo motivo di ricorso. La sentenza impugnata sarebbe manifestamente illogica, laddove avrebbe individuato, nel momento di definitiva chiusura della relazione sentimentale tra l’imputato e la moglie, la linea di confine tra gelosia e intento punitivo confine in realtà inesistente, potendo la gelosia perdurare, anche a lungo qui erano peraltro passate poche ore , dopo la fine della relazione medesima. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso, che pone la questione della ritualità delle contestazioni suppletive elevate dal pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato di primo grado, rivestendo carattere pregiudiziale deve essere prioritariamente esaminato. La questione medesima, nei termini di seguito precisati, appare suscettibile di dar luogo a contrasto in seno alla giurisprudenza di questa Corte, e merita così, a norma dell’art. 618 c.p.p., comma 1, di essere rimessa alle Sezioni Unite. 2. Appare preliminarmente esatta la premessa, da cui il motivo trae origine, secondo cui le contestazioni in parola concernessero fatti - il tradimento all’origine del movente di gelosia e vendetta, qualificato dalla pubblica accusa come motivo abietto e futile, e l’avvenuto occultamento del cadavere - già risultanti dagli atti di indagine espletati al momento dell’esercizio dell’azione penale, a seguito del quale l’imputato si era determinato a richiedere il rito abbreviato, e comunque risultanti dal compendio investigativo formatosi antecedentemente all’ordinanza ammissiva del rito stesso. Dal tenore della sentenza impugnata si evince che l’accesso all’abbreviato era stato dall’imputato subordinato, ai sensi dell’art. 438 c.p.p., comma 5, all’espletamento di una perizia fonica, e si evince altresì che il giudice, nel disporre in senso conforme, aveva stabilito di acquisire elementi ulteriori, a norma dell’art. 441 c.p.p., comma 5. Le contestate modificazioni dell’originaria imputazione sono intervenute prima ancora che si desse corso alla perizia, e dopo l’effettuazione dell’istruttoria officiosa, quest’ultima consistita nell’esame del consulente medico-legale di accusa, di un testimone ulteriore e nella traduzione mera di una lettera scritta dall’imputato e già in atti. Benché il pubblico ministero, nell’operare le modificazioni, abbia anche richiamato tali esiti istruttori, dallo sviluppo dell’intero procedimento giudiziario come ricostruito dal giudice di merito, e riscontrabile dagli atti, cui il Collegio può direttamente accedere, alla luce della natura processuale del vizio denunciato Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092-01 Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273525-01 Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304-01 - appare evidente che la natura passionale del crimine, come pure il fatto che l’imputato si fosse sbarazzato del corpo della vittima celandone l’esistenza e rendendone difficoltoso il ritrovamento , emergessero già agevolmente dalle dichiarazioni confessorie da lui rese pochi giorni dopo l’omicidio e il primo elemento emergesse, altresì, dal contributivo dichiarativo del coniuge, S.T. . La stessa informativa conclusiva dei Carabinieri, che dava conto delle complessive indagini effettuate, era stata versata in atti, dalla parte pubblica, il 13 ottobre 2016, anteriormente all’adozione che risale al 17 ottobre 2016 dell’ordinanza giudiziale che disponeva procedersi nelle forme del rito speciale. Non è, per contro, ravvisabile alcun nesso tra il contenuto dell’accusa suppletiva e le risultanze istruttorie del giudizio. 3. Occorre allora scrutinare la ritualità di contestazioni suppletive che, nell’ambito del rito abbreviato a prova integrata , non possano tuttavia dirsi correlate agli esiti di quest’ultima. L’uniforme indirizzo giurisprudenziale di questa Corte non nutre, in proposito, dubbi o riserve. L’affermazione - secondo cui, nel rito abbreviato aperto ad integrazione istruttoria, siano ben possibili contestazioni, ex art. 423 c.p.p., che non derivino da nuove emergenze, ma riguardino fatti o circostanze già in atti - è incidentalmente contenuta nelle pronunce rese da Sez. 2, n. 23466 del 09/06/2005, Scozzari, Rv. 231993-01, e di seguito da Sez. 5, n. 7047 del 27/11/2008, dep. 2009, Reinhard, Rv. 242962-01. In entrambe le vicende il giudice di legittimità era chiamato a stabilire, in via principale, se in tale ipotesi, data pacificamente e invero senza specifica motivazione per ammessa, l’imputato potesse esercitare lo ius poenitendi concesso dall’art. 441-bis cod. proc. pen., ossia recedere dalla celebrazione del rito speciale quesito cui è, peraltro, offerta risposta negativa, sul presupposto che, nei casi corrispondenti, i fatti oggetto della contestazione siano già noti all’imputato richiedente l’abbreviato, e non vi sia ragione di tutelarlo da iniziative processuali a suo danno che egli sarebbe stato in grado di prevedere. L’arresto è ribadito, da ultimo e negli esatti termini, da Sez. 6, n. 5200 del 15/11/2017, dep. 2018, Rv. 272214-01, sul punto meramente assertiva e di richiamo dei precedenti tra cui è citata Sez. 6, n. 24014 del 01/03/2011, Fisanotti, non massimata . È dato censire altresì, in argomento, Sez. 4, n. 48280 del 26/09/2017, Squillante, cui si deve la consacrazione formale del principio per cui, in sede di giudizio abbreviato, ove sia stata disposta l’integrazione istruttoria ai sensi dell’art. 441 c.p.p., comma 5, è legittima la modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero mediante contestazione suppletiva, anche quando i fatti oggetto della nuova contestazione siano già emersi nel corso delle indagini preliminari e non dissimile conclusione, in tale logica di ragionamento, dovrebbe senza meno essere attinta, a cospetto d’integrazione istruttoria riconducibile al paradigma del comma 5 dell’art. 438 c.p.p. . A giustificazione dell’assunto, la pronuncia in esame richiama la giurisprudenza di legittimità formatasi a proposito dell’art. 423, comma 1, c.p.p., nella quale Sez. 1, n. 13349 del 17/05/2012, dep. 2013, D., Rv. 255049-01 Sez. 3, n. 1506 del 04/12/1997, dep. 1998, Pasqualetti, Rv. 20979101 Sez. 1, n. 11993 del 14/11/1995, Di Mauro, Rv. 203051-01 Sez. 6, n. 9443 del 04/06/1993, Carnazza, Rv. 196008-01 si osserva come la disposizione costituisca attuazione della direttiva contenuta nell’art. 2, punto 52, della L. Delega 16 febbraio 1987, n. 81, che espressamente facoltizza il legislatore delegato ad assegnare al pubblico ministero, nell’udienza preliminare , il potere di modificare l’imputazione e procedere a nuove contestazioni. Nel giudizio abbreviato - secondo Sez. 4, n. 48280 del 2017, citata - sarebbero dunque dovuti valere gli stessi criteri, non solo in relazione al principio di tassatività delle nullità, ma anche in rapporto ai principi generali che ispirano il tema delle contestazioni suppletive, attenti a garantire all’imputato la conoscenza di queste ultime e l’esercizio dei diritti della difesa. 4. Il Collegio dissente, tuttavia, da tale orientamento ermeneutico, rilevando come esso non si giustifichi sul piano dell’interpretazione letterale e, ancor meno, in una visione logico-sistematica dell’istituto processuale del giudizio abbreviato. 5. La predicata assimilazione, ai fini della modifica dell’imputazione, tra abbreviato e udienza preliminare è anzitutto in contrasto con la disciplina positiva del rito speciale. L’art. 441 c.p.p., comma 1, nel testo vigente sin dall’introduzione del codice, stabilisce che nel giudizio abbreviato si osservino, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l’udienza preliminare medesima, fatta eccezione proprio tra l’altro di quella di cui al precedente art. 423. Nel giudizio abbreviato, quale concepito dai compilatori - corrispondente, per quanto d’interesse in questa sede, all’odierno abbreviato secco , ovvero disposto e celebrato in difetto d’integrazioni probatorie, officiose o difensivamente indotte - è dunque preclusa, diversamente che in udienza preliminare, qualsiasi variante dell’originaria imputazione. La tendenziale cristallizzazione dell’accusa, rispetto a cui l’imputato sia chiamato a difendersi, che da ciò deriva da ultimo, Sez. 5, n. 33870 del 07/04/2017, Crescenza, Rv. 270475-01 , costituisce anzi una delle prospettive vantaggiose sottese alla scelta del rito, idonee ad indurre l’imputato stesso ad esercitare tale opzione, che l’ordinamento incoraggia vieppiù nell’assetto post L. n. 479 del 1999, in cui essa è rimessa all’iniziativa esclusiva dell’interessato nello spirito deflattivo del complessivo carico processuale. Tale effetto non è peraltro assoluto, in quanto non impedisce la restituzione degli atti al pubblico ministero, allorché il giudice accerti, in corso di abbreviato, che il fatto è diverso da quello descritto nell’atto di imputazione Sez. 2, n. 859 del 18/12/2012, dep. 2013, Chiapolino, Rv. 254186-01 Sez. 4, n. 36936 del 12/06/2007, Gamba, Rv. 237238-01 Sez. 4, n. 21548 del 23/03/2007, Manca, Rv. 236728-01 Sez. 6, n. 36310 del 07/07/2005, Notari, Rv. 232407-01 , mentre in ordine al fatto nuovo, concorrente o meno, l’azione penale potrà essere sempre separatamente esercitata. La giurisprudenza di questa Corte è, del resto, ferma nel ritenere che, nell’ambito del giudizio abbreviato non assoggettato ad integrazione probatoria, non sia consentito al pubblico ministero di procedere a modificazioni dell’imputazione, o a contestazioni suppletive, in quanto l’art. 441 del codice, nel richiamare le disposizioni previste per l’udienza preliminare, esclude espressamente l’applicazione del precedente art. 423, con la conseguenza che la violazione della predetta norma determina un’ipotesi di nullità a regime intermedio della sentenza pronunciata all’esito di tale giudizio Sez. 4, n. 3758 del 03/06/2014, dep. 2015, Costa, Rv. 263196-01 Sez. 6, n. 13117 del 19/01/2010, Sghiri Yassine, Rv. 246680-01 Sez. 4, n. 12259 del 14/02/2007, Biasotto, Rv. 236199-01 nullità come tale sanabile, ex art. 182, comma 2, dello stesso codice, non potendo infatti essere dedotta dalla parte che vi ha assistito senza eccepirla Sez. 2, n. 11953 del 29/01/2014, D’Alba, Rv. 258067-01 . Il giudizio abbreviato puro deve infatti svolgersi secondo la sua struttura tipica, e cioè allo stato degli atti e con la conseguente immutabilità dell’originaria imputazione, sì che è nulla in parte qua la sentenza che si formi sui fatti o sulle circostanze ulteriori che siano stati irritualmente contestati Sez. 3, Sentenza n. 35624 del 11/07/2007, Terlizzi, Rv. 237293-01 , mentre resta sempre possibile la mera riqualificazione in iure dell’imputazione suddetta Sez. 2, n. 35350 del 17/09/2010, Percuoco, Rv. 248544-01 . 6. Tale essendo al riguardo la disciplina originaria del rito speciale, tuttora vigente, e pacificamente applicabile, per l’abbreviato chiuso ad integrazioni istruttorie che al modello originario, sotto questo aspetto, attualmente corrisponde , si spiega la ragione per cui il legislatore - allorché, con l’approvazione della L. n. 479 del 1999, decise di ampliare significativamente l’ambito di operatività del giudizio a prova contratta , introducendo in esso limitate possibilità di nova istruttori - dovette intervenire in punto di regime delle contestazioni suppletive. Da un lato, il comma 5 del novellato art. 438 c.p.p. introdusse la facoltà dell’imputato di chiedere di essere ammesso a svolgere attività istruttorie predeterminate in sede di abbreviato, restando a ciò condizionata la celebrazione del giudizio in tale forma e, parallelamente, la disposizione dettò i criteri sulla cui base la richiesta potesse essere accolta la necessità degli incombenti ai fini della decisione e la loro compatibilità con le finalità di economia processuale , facendo salva la prova contraria da parte del pubblico ministero. D’altro lato - essendo stati contestualmente eliminati i requisiti di accesso al rito, rappresentati dal necessario consenso del pubblico ministero e dalla decidibilità allo stato degli atti - si pose il problema di regolare l’eventualità che il giudice si fosse trovato di fronte a lacune conoscitive, che impedissero una decisione cognita causa a tanto rimediò la previsione comma 5 dell’art. 441 , per cui, nella corrispondente ipotesi, il giudice potesse disporre d’ufficio l’assunzione delle prove necessarie. L’apertura di nuovi scenari istruttori rendeva anche possibile, tuttavia, che fossero acquisiti al processo elementi tali da incidere sulla ricostruzione dei fatti sub iudice, facendo insorgere la necessità - non postulabile nel precedente assetto chiuso - di adeguare l’imputazione alle sopravvenienze storiche. In tale contesto si spiega l’introduzione, quale ultima proposizione di ciascuno dei commi sopra indicati il comma 5 dell’art. 438 e il comma 5 dell’art. 441 c.p.p. , di una disposizione di chiusura , volta a reintegrare il pubblico ministero nelle facoltà in materia ordinariamente concesse, ossia nel potere, regolato quanto all’udienza preliminare che costituisce il modello di riferimento per lo svolgimento del giudizio abbreviato dall’art. 423 c.p.p., di immutare l’imputazione, mediante la modificazione del fatto o la contestazione di circostanze aggravanti o di reati concorrenti. La deroga così introdotta, a proposito del giudizio abbreviato caratterizzato da integrazioni probatorie, e consistente nella restituita possibilità di fare applicazione dell’art. 423 c.p.p., è strettamente connessa alla ratio che la giustifica, trovando l’unica ragion d’essere nel presupposto che, mediante l’attività istruttoria espletata e sulla base dei suoi esiti, siano emersi in giudizio elementi di novità, cui la modifica dell’imputazione strettamente si correli. La previsione di salvezza in favore dell’applicazione dell’art. 423 c.p.p., contenuta nel comma 5 dell’art. 438 e nel comma 5 dell’art. 441, deve essere pertanto letta e interpretata, già sul piano testuale, in diretta dipendenza funzionale dalle proposizioni che immediatamente la precedono. Lo spazio applicativo naturale della previsione medesima è costituito dal pregresso espletamento di attività probatorie integrative, che non si rivelino neutre rispetto all’esatta formulazione dell’accusa ma risultino - in tal senso, e non solo rispetto al giudizio sulla fondatezza di essa - decisive. 7. Tale conclusione esegetica è irrobustita da rilievi ulteriori di coerenza sistematica. Posto che il sistema appunto, per universale e mai discusso riconoscimento, non ammette la possibilità di operare le contestazioni suppletive nel corso del giudizio abbreviato secco , sarebbe del tutto irrazionale - in quanto darebbe luogo ad un assetto ingiustificatamente differenziato - consentire le contestazioni in parola, nell’ambito del medesimo tipo di giudizio invece contrassegnato da integrazioni probatorie disposte dal giudice, o poste come condizione dall’imputato in assenza, purtuttavia, del necessario nesso di derivazione eziologica tra i risultati di esse e lo ius variandi riconsegnato alla pubblica accusa. La riapertura dell’istruttoria, cui l’esercizio di quest’ultimo non si correli, da momento di necessario approfondimento conoscitivo e valutativo si trasformerebbe, al di là di ogni intenzione, in un obiettivo escamotage, a disposizione della pubblica accusa, per ovviare a preclusioni rispetto ad essa ormai maturate, realizzando un effetto, indebito, di rimessione in termine. 8. Si è inoltre sopra ricordato che la tesi dell’indiscriminata applicazione, all’abbreviato integrato da attività istruttorie, dell’art. 423 c.p.p. si sposa con il corollario - recepito dalle medesime pronunce di legittimità inizialmente menzionate - per cui, nel caso di contestazione suppletiva fondata su elementi già in atti , e dunque noti all’imputato, costui non potrebbe neppure avvalersi della facoltà di chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, a norma dell’art. 441-bis c.p.p. norma che il D.L. n. 82 del 2000, art. 2-octies, conv. dalla L. n. 144 del 2000, ebbe ad inserire nel codice in stretto parallelismo con le innovazioni apportate, in parte qua, dalla quasi coeva L. n. 479 del 1999 e in chiave di riequilibrio delle posizioni di accusa e difesa. Tale ulteriore arresto giurisprudenziale aggrava, a giudizio del Collegio, l’asimmetria sistematica testè rilevata, recuperando, in danno dell’imputato, la distinzione tra modificazioni dell’imputazione connesse all’esito della nuova prova, e modificazioni che ne prescindono in premessa del ragionamento inspiegabilmente negata, e facendo gravare su di lui una situazione di obiettiva patologia processuale, quale quella derivante da errori, inerzie ed omissioni istituzionalmente rimproverabili al pubblico ministero. 9. L’interpretazione qui propugnata appare preferibile, anche in quanto costituzionalmente orientata. Occorre infatti osservare che la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi in proposito con la sentenza n. 140 del 2010, in ricorso richiamata e con cui l’indirizzo giurisprudenziale qui avversato omette di confrontarsi, la quale sentenza - nel dichiarare infondata la questione di legittimità della disciplina codicistica del rito abbreviato, nella parte in cui le relative disposizioni non consentono al pubblico ministero di effettuare contestazioni suppletive anche in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di atti e circostanze già in atti e noti all’imputato - ha giudicato errata la tesi ermeneutica che, nell’abbreviato con integrazione probatoria, la contestazione suppletiva possa prescindere dagli esiti di quest’ultima ed effettuarsi sulla base di circostanze già risultanti dagli atti. Osserva il giudice delle leggi che - introdotta con la L. n. 479 del 1999 la possibilità di arricchimenti della piattaforma probatoria tanto per iniziativa dell’imputato, che del giudice - è emersa l’esigenza di prevedere meccanismi di adeguamento dell’imputazione alle nuove acquisizioni. In via di eccezione rispetto alla regola enunciata dall’art. 441 c.p.p., comma 1, - rimasta immutata - si è quindi consentito al pubblico ministero di procedere a nuove contestazioni. Ma ciò unicamente nei casi di modificazione della base cognitiva a seguito dell’attivazione dei meccanismi di integrazione probatoria e riconoscendo, in pari tempo, all’imputato la facoltà di chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, o, in alternativa, l’ammissione di nuove prove, ex art. 441-bis c.p.p., sopra citato . Da tale quadro si deve inferire - prosegue la Corte costituzionale, con la cui opinione le argomentazioni già spese dal Collegio risultano pienamente sintoniche - che le eccezioni così introdotte restano strettamente legate alle fattispecie che le giustificano ciò significando che il pubblico ministero possa effettuare le nuove contestazioni solo quando affiori la necessità di adattare l’imputazione a nuove risultanze processuali, scaturenti da iniziative probatorie assunte nell’ambito del rito alternativo, e rimanendo invece escluso che dette iniziative, tanto più se rimaste prive di seguito , possano rappresentare una patente di legittimazione per rivalutare, a scopo di ampliamento dell’accusa, elementi già acquisiti in precedenza e, fino a quel momento, non posti a base dell’azione penale. La medesima Corte ha anche ritenuto che la tesi qui ripudiata fosse da disattendere, anche perché, con il veduto corollario, legato alla restrittiva interpretazione dell’art. 441-bis c.p.p., conducente ad esiti contrari alla Costituzione. Le valutazioni dell’imputato, in ordine alla convenienza dei riti alternativi al dibattimento, dipendono in larga misura dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero, con la conseguenza che - allorché l’imputazione subisca una variazione sostanziale per evenienze patologiche , da intempestiva contestazione degli esatti e completi elementi di fatto - l’imputato debba essere rimesso in termini per compiere le suddette valutazioni in un senso o nell’altro , pena la violazione tanto del diritto di difesa che del principio di eguaglianza, stante la discriminazione che verrebbe altrimenti a determinarsi a seconda della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero nell’esercitare l’azione penale . L’ulteriore sviluppo della giurisprudenza costituzionale evidenzia peraltro sentenze nn. 237 del 2012, 273 del 2014, 139 del 2015, 206 del 2017 come la necessità di restituire l’imputato nella pienezza della possibilità di scelta del rito processuale sussista, allo stesso modo, in caso di contestazione suppletiva sia fisiologica che patologica . Ciò sulla base del rilievo di fondo, per cui l’imputato che subisce la nuova contestazione viene a trovarsi in posizione diversa e deteriore - quanto alla eventuale facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena - rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall’inizio infatti, condizione primaria per l’esercizio del diritto di difesa è che l’imputato abbia ben chiari i termini dell’accusa mossa nei suoi confronti e ciò particolarmente in rapporto alla scelta di valersi del giudizio abbreviato , la quale è certamente una delle più delicate, fra quelle tramite le quali si esplicano le facoltà defensionali Corte cost., n. 273 del 2014, citata . Tali principi, pur affermati con riferimento alle nuove contestazioni dibattimentali e alla possibilità di passaggio dal rito ordinario a riti alternativi giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta , non potrebbero evidentemente non operare anche nella direzione inversa come espressamente notato da Corte Cost., n. 140 del 2010, citata . 10. Poiché i principi affermati dalla dominante giurisprudenza di legittimità specificata nel precedente paragrafo 3, parte in diritto sono incompatibili con l’interpretazione sostenuta da questo Collegio, dalla quale viceversa discenderebbe l’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo d’impugnazione, si configura un potenziale contrasto interpretativo sul punto di diritto da esso implicato, che rende opportuna la rimessione alle Sezioni Unite di cui in premessa. La questione rimessa può essere sinteticamente enunciata nei seguenti termini Se, nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, a norma dell’art. 438 c.p.p., comma 5, o nel quale l’integrazione sia stata disposta dal giudice, a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice, sia possibile la modifica dell’imputazione, allorché il fatto risulti diverso o emerga una circostanza aggravante o un reato connesso, anche nel caso in cui i fatti oggetto della contestazione suppletiva già si desumessero dagli atti delle indagini preliminari e non siano collegati ai predetti esiti istruttori . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.