Diritto di cronaca: il giudizio critico fondato sulla veridicità della notizia esclude l’antigiuridicità del fatto

In tema di diffamazione a mezzo stampa opera la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca quando la ricostruzione critica del giornalista rispetti i limiti di veridicità, attualità e continenza della notizia e sia di interesse pubblico.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 2092/19, depositata il 17 gennaio. Una problematica frequente che stenta a farsi da parte. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a tracciare i labili confini tra diritto di cronaca giudiziaria e lesione della reputazione dei soggetti coinvolti nell’inchiesta giornalistica. A ben vedere, si tratta di un focolaio che fatica a spegnersi del tutto, seppur la giurisprudenza di legittimità si prospetti sul tema – quantomeno in relazione ai principi di diritto – assolutamente univoca e consolidata. Sul punto, infatti, è pacificamente condiviso che l’esercizio del diritto di cronaca non costituisce reato quando vengano rispettati i parametri dell’attualità della notizia, da intendere come attitudine dell’informazione a contribuire alla formazione dell’opinione pubblica, e della veridicità dell’informazione. In ordine a quest’ultima, grava sul giornalista, specialmente nei casi di cronaca giudiziaria, l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendosi reinterpretare i fatti attraverso una autonoma ricostruzione delle vicende oggetto di attività investigativa. Pertanto, quando la cronaca, lungi dal diffondere la notizia contenuta in un provvedimento giudiziario, si spinga oltre, postulando un giudizio critico e di ricostruzione dei fatti, il suo esercizio è legittimo se supportato dalla verità della caso e dall’attualità dell’interesse pubblico. Il bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto alla reputazione. Nel caso in esame, oggetto di censura era la ricostruzione critica delle circostanze in cui era venuto a maturare l’omicidio di un giovane, attinto da 44 coltellate nel corso di una festa, e per il quale era stato tratto in arresto un coetaneo. La Corte territoriale, pur escludendo il difetto di veridicità della notizia, ha ritenuto di ascrivere il fatto agli imputati il direttore responsabile e il giornalista estensore , ravvisando una lesione alla reputazione della persona offesa derivante dalla sostanziale equiparazione della condotta omicida rispetto a quella riferita alla vittima equiparazione, questa, censurabile sotto il profilo etico-sociale ed idonea ad escludere l’operatività della scriminante dell’esercizio di un diritto. L’articolista, difatti, nel far riferimento all’attività di spaccio di stupefacenti cui era dedita la vittima del reato, avrebbe parificato in termini di decadenza sociale e valoriale, le posizioni dei due soggetti protagonisti della vicenda. Le osservazioni garantistiche della Suprema Corte nei confronti del giornalismo d’inchiesta. Premessa una breve digressione sugli uniformi orientamenti in tema di diritto di cronaca e lesione della reputazione personale, gli Ermellini puntano la loro lente sul più delicato tema della cronaca giudiziaria. In tali ipotesi, le critiche giornalistiche tendenti a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti ed autonomamente offensive sono legittime qualora l’articolo pubblicato sia fedele al contenuto del provvedimento giudiziario e, soprattutto, se tale giudizio critico, di contenuto diverso e più ampio, sia di attuale e pubblico interesse. Nel caso di specie, posta la veridicità della notizia, la Corte rinviene come l’articolista non si sia limitato ad un resoconto giudiziario, approfondendo, piuttosto, in chiave critica, l’analisi sociologica del contesto in cui fu consumato l’omicidio, tratteggiando il profilo dei due giovani coinvolti. In altre parole, l’elaborazione di un giudizio critico-comparativo finalizzato a sottolineare la comune matrice generazionale era, nel caso in oggetto, lo specchio di una forma di giornalismo d’inchiesta inteso a stigmatizzare un progressivo deterioramento di valori nei giovani, la ricerca di facili forme di guadagno e di dubbie modalità di divertimento. Non sussisteva, pertanto, alcuna sorta di equiparazione sostanziale idonea a ledere la reputazione della vittima del reato, stante la finalità d’inchiesta appena esposta. Inoltre, l’articolo in oggetto risponderebbe anche ad esigenze di continenza, nel senso di proporzione e misura dei termini utilizzati in relazione alla descrizione del fatto. Seguendo tale ragionamento, la Suprema Corte perviene alla conclusione dell’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca che, nel caso concreto, è stato esercitato nel rispetto dei limiti richiesti dallo stesso, cioè dire la veridicità, l’attualità della notizia e a continenza terminologica. Col presente giudizio, la Corte sembra espandere il raggio di azione a favore della cronaca giornalistica nella piena consapevolezza dell’utilità sociale dell’informazione e del rispetto di una professionale la quale, a ben vedere, ha come scopo primario non già la mera ritrattazione di fatti storici quanto la lucida critica e lo scopo di orientamento dell’opinione pubblica.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 novembre 2018 – 17 gennaio 2019, numero 2092 Presidente Pezzullo – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, emessa il 30 novembre 2016, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale di Cassino che aveva affermato la responsabilità di P.A. e D.M.G. per il reato di diffamazione aggravata, oltre alle statuizioni civili. I fatti riguardano la pubblicazione, sul quotidiano omissis , nell’edizione del omissis , di un articolo, dal titolo omissis , avente ad oggetto la ricostruzione delle circostanze in cui era venuto a maturare l’omicidio di F.I.A. , attinto da 44 coltellate nel corso di una festa, e per il quale era stato tratto in arresto il coetaneo M.G. . Pur all’esito delle censure defensionali, la corte territoriale ha ritenuto correttamente ascrivibile il fatto agli imputati, nelle rispettive qualità di direttore responsabile e di giornalista estensore, e non riconducibile all’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria il contenuto dell’articolo. 2.Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, per mezzo del Difensore, Avv. Dino Lucchetti, articolando - con unico motivo - plurime censure inerenti violazione e falsa applicazione della legge penale in riferimento alla sussistenza della causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica e correlato vizio della motivazione, incentrate anche sulla diversa ricostruzione dei profili di rilevanza penale del fatto apprezzati dalla corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto in primo grado, ed al mancato riconoscimento della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. penumero . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Va, in via generale, premesso come in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprima ormai in termini consolidati in riferimento ai requisiti caratterizzanti il necessario bilanciamento dei valori in conflitto, individuandoli nell’interesse sociale, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato. 2.1 Nella delineata prospettiva, è stato evocato anche il parametro dell’attualità della notizia, nel senso che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicità della condotta lesiva della altrui reputazione deve essere ravvisata nell’interesse generale alla conoscenza del fatto nel momento storico, e dunque nell’attitudine della informazione a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che il cittadino possa liberamente orientare le proprie scelte tra le tante, Sez. 5, numero 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789 , anche nel campo d’indagine dei fenomeni sociologici. 2.2 Con specifico riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, ai fini della configurabilità dell’esimente, il giornalista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio Sez. 5, numero 35702 del 19/05/2015, P.O. in proc. Case, Rv. 265015 e la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale, mentre ove informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario siano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica Sez. 1, numero 7333 del 28/01/2008, Mauro, Rv. 239163 . Di guisa che la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste qualora essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, sicché è sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria Sez. 5, numero 43382 del 16/11/2010, Lillo, Rv. 248950 la Corte ha altresì precisato che il criterio della verità della notizia deve essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non già secondo quanto successivamente accertato in sede giurisdizionale . Il diritto di cronaca, che può comportare qualche sacrificio dell’accuratezza della verifica della verità del fatto narrato e della bontà della fonte per esigenze di velocità, presuppone la immediatezza della notizia e la tempestività dell’informazione, e, pertanto, non ricorre quando si offre il resoconto di fatti distanti nel tempo, in relazione ai quali è legittimo pretendere una attenta verifica di tutte le fonti disponibili, con la conseguenza che, laddove si dà conto di vicende giudiziarie, incombe l’obbligo di accertare e rappresentare compiutamente lo sviluppo degli esiti processuali delle stesse Sez. 1, numero 13941 del 08/01/2015, P.C. in proc. Ciconte, Rv. 263064 . 3.3 Siffatta impostazione ermeneutica si pone in linea con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui la incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’art. 10 CEDU, a meno che non sia prescritta dalla legge , non persegua uno o più degli obiettivi legittimi ex art. 10 par. 2 e non sia necessaria in una società democratica . In riferimento agli enunciati limiti, la Corte EDU ha, in varie pronunce, sviluppato il principio inerente la verità del fatto narrato per ritenere giustificabile la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione ed ha declinato l’argomento in una duplice prospettiva, distinguendo tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva eccessiva, non giustificabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali. Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi vs. Turkey, del 27.2.2013, che costituisce la più avanzata ricognizione della posizione della Corte in materia di art. 10 della Carta nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts oggetto di prova e value judgements non suscettibili di dimostrazione . 4. Applicando gli enunciati principi al caso in esame, si appalesa evidente l’erronea applicazione dell’art. 51 cod. penumero . e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza della scriminante del legittimo esercizio del diritto di critica. 4.1. Va, al riguardo, rilevato come la stessa corte territoriale abbia diversamente dal giudice di primo grado - escluso il difetto di veridicità - o, almeno, di verosimiglianza - delle affermazioni, contenute nell’articolo in disamina, relative al coinvolgimento di F.I.A. , vittima del brutale omicidio per il quale era indagato M.G. , in attività di spaccio di stupefacenti, ravvisando una concreta lesione alla reputazione del predetto F. , non giustificata dall’esercizio del diritto di cronaca, in ragione della sostanziale equiparazione, sotto il medesimo profilo di censurabilità etico-sociale, della condotta omicida rispetto a quella riferita alla vittima. L’apprezzamento di siffatto profilo - esplicitamente evocato nell’imputazione e che non involge, pertanto, alcuna immutazione del fatto contestato, come invece prospettato dalla difesa - non appare, tuttavia, immune da censure. Dalla lettura del testo in contestazione emerge, all’evidenza, come l’articolista non si sia limitato ad un resoconto giudiziario, ma abbia, invece, inteso approfondire, in chiave critica, l’analisi sociologica del contesto in cui l’omicidio del F. fu consumato, tratteggiando il profilo soggettivo dei due giovani coinvolti al fine di evidenziarne comuni tratti generazionali, caratterizzati da forme di edonismo e cinismo, pur nella diversità dei ruoli vittima il F. e indagato di omicidio il M. declinati nel caso di cronaca che aveva ispirato la pubblicazione. Nella delineata prospettiva, l’espressione vittima e omicida si somigliano terribilmente in questa storia incredibile ragazzi apparentemente normali ma spietati evidenzia l’elaborazione di un giudizio critico comparativo finalizzato alla sottolineatura di una comune matrice generazionale, che muove verso una - pretesa - forma di giornalismo d’inchiesta inteso a stigmatizzare un progressivo deterioramento di valori, la ricerca di facili forme di guadagno a fini narcisistici, come emerge dal titolo OMISSIS e di divertimento l’omicidio sarebbe maturato nel corso di una festa in cui era previsto il consumo di stupefacenti , ma non sottende - per la stessa valenza semantica delle espressioni utilizzate ed alla luce della complessiva lettura del testo - alcuna forma di equiparazione, sotto il medesimo profilo di censurabilità etico-sociale, della condotta omicida rispetto a quella riferita alla vittima, come ritenuto dalla corte territoriale. Non può, pertanto, ritenersi che l’imputata abbia posto in essere una gratuita lesione alla reputazione del F. , mentre non può escludersi nel testo - formulato con una sintassi forse ancora immatura rispetto all’analisi che si è inteso svolgere - anche il requisito della continenza, così come declinato nella giurisprudenza di questa corte nell’accezione di proporzione, misura e continenti sono quei termini che non hanno equivalenti e non sono sproporzionati rispetto ai fini del concetto da esprimere e alla controllata forza emotiva suscitata dalla polemica su cui si vuole instaurare un lecito rapporto dialogico e dialettico . 5. Le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello di Roma non sono, dunque, condivisibili, poiché il diritto di cronaca, nella sua declinazione di manifestazione del pensiero critico di più ampia valenza, è stata esercitato nel rispetto dei limiti di veridicità, attualità e continenza che delineano la scriminante dell’esercizio del diritto tutelato dall’art. 21 Cost. e art. 51 cod. penumero . Deve essere, pertanto, affermato il principio di diritto per cui in tema di diffamazione a mezzo stampa, non costituisce reato la formulazione, nell’ambito di un’inchiesta giornalistica, di affermazioni e ricostruzioni che rechino valutazioni offensive della reputazione dei soggetti coinvolti, quando i dati di cronaca assumano una funzione meramente strumentale per supportare un giudizio critico di contenuto diverso e più ampio, di attuale e pubblico interesse l’attualità della notizia deve, infatti, essere riguardata non con riferimento al fatto ma all’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e, quindi, alla attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, di guisa che ognuno possa liberamente orientarsi, con la conseguenza che solo una notizia dotata di utilità sociale può perdere rilevanza penale, ancorché capace di ledere l’altrui reputazione, e tale utilità è necessariamente connotata dall’attualità dell’interesse alla pubblicazione. 6. Poiché la decisione della Corte di appello di Roma, rinviando anche a quella di prima grado, ha ricostruito la vicenda in punto di fatto perché possano ritenersi sussistenti i presupposti della suindicata scriminante, questa Corte può, a norma dell’art. 620 c.p.p., lett. L , procedere ad annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con la formula perché il fatto non costituisce reato formula da adottarsi, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui siano integrati gli elementi oggettivi del reato contestato ma sussista una causa di giustificazione, che elimina l’antigiuridicità penale, ed esclude di conseguenza il reato Sez. U, numero 40049 del 29/05/2008, P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815 Sez. 5, 20 marzo 2007 . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.