Per le dichiarazioni accusatorie del minore bisogna tenere conto di tutte le circostanze idonee ad influire sulla loro valutazione

Con la decisione in oggetto la Suprema Corte ha ribadito che la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima minore di età deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamente idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la verifica sull’incidenza di autosuggestioni e di suggestioni esercitate da persone adulte, tenendo conto anche dell’età dei minori dichiaranti e con la loro autonomia intellettuale della loro correlata capacità di relazionarsi in esterno comprendendo il corso degli avvenimenti ed il loro significato, estremo da valutarsi in ragione della natura di quanto narrato e della appartenenza all’ordinario vissuto del minore .

Così la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, n. 1741/19 depositata il giorno 15 gennaio. Il principio, nella sua formulazione, appare corretto e pienamente condivisibile. Se non che si domanda in che modo tale valutazione deve essere effettuata? E’ necessario un effettivo percorso, in senso lato, investigativo oppure è sufficiente che il giudice, nel percorso motivazionale, dia atto di aver effettuato un simile approfondimento? E nel caso in cui vi sia un qualche contrasto o comunque una non piena conferma delle dichiarazione con tutti gli altri elementi rilevanti, può dirsi comunque soddisfatta la verifica in questione? Questi ed altri interrogativi si manifestano ogni volta che il giudice penale deve valutare una dichiarazione proveniente da fonte personale di per sé scarsamente attendibile o comunque non rispondente al canone tipico del testimone perfetto”, id est un soggetto terzo maturo, rispettato dalla comunità, pienamente capace di intendere e volere e senza difetti sensoriali, nonché giuridicamente terzo” rispetto ai fatti ed alle persone di causa e che non abbia alcun interesse, neppure indiretto o di fatto, rispetto all’esito del processo. La dottrina processuale da millenni si interroga sullo standard probatorio delle dichiarazioni testimoniali nell’evo contemporaneo, sussistendo il libero convincimento del giudice e vigendo l’obbligo di motivazione, non si richiede che la testimonianza sia sostenuta da ulteriori elementi esterni”, salvo casi specifici previsti dalla legge. Ma la prassi giudiziaria non può nascondere che, ogni qual volta ci si allontana dalla figura ideale del testimone perfetto”, l’attendibilità intrinseca dello stesso nonché l’accettazione del contenuto dichiarativo della testimonianza devono essere vagliate accuratamente. Se si è nel dibattimento, ciò può essere modulato con la cross-examination oppure con confronti, domande e contestazioni ecc fuori dal dibattimento e del pieno contraddittorio ciò non può che farsi a mezzo dell’analisi delle carte e con ipotesi ricostruttive. Vittime minorenni. Venendo al caso del minore di età, vittima di abusi non necessariamente sessuali, è chiaro che in genere la fonte attraverso cui giunge la denuncia è quella di un adulto, salvo che il tutto non sia di per sé chiaramente documentato per immagini, registrazioni od altro. Vi è, quindi, una mediazione necessaria e quasi ovvia, mediazione che di per sé non inficia l’attendibilità delle dichiarazioni de relato raccolte dall’adulto dal minore. Si dirà ma l’adulto può aver suggerito, capito male o persino alterato ciò che il minore ha detto. Ciò può essere, ma con tale obiezione, senza accorgersi, si modifica il termine del problema e precisamente si indaga sull’attendibilità della fonte mediata” adulta e non si considera innanzi tutto la dichiarazione immediata” proveniente dal minore ed in qualche modo documentata dall’autorità procedente. Si comprende allora come le critiche difensive spesse volte sbaglino il bersaglio, poiché si incentrano non tanto sulla dichiarazione del minore, ma sugli elementi di contorno che nei fatti servono a confermarne l’attendibilità di tale dichiarazione, in tal modo eludendo il principio espresso dalla Cassazione. In fondo, come nel caso della testimonianza della persona offesa parte civile ed in altri casi analoghi, innanzi tutto va considerata la dichiarazione rilasciata e la stessa va valutata per quella che è, tanto nel suo contenuto accusatorio quanto nell’attendibilità del dichiarante, alla luce di tutte le emergenze processuali. Ma sarebbe un grave errore frammentare il tutto, poiché le singole emergenze processuali di per sé non inficiano, salvo evidenti contrasti, l’attendibilità delle dichiarazioni solo perché vi sarebbero delle incongruenze - marginali – con la dichiarazione principale d’accusa. E’ chiaro che tale valutazione non può essere semplicemente formale e va fatta con estremo scrupolo, ma non si può neppure formalizzare il tutto eludendo il problema fondamentale e precisamente se il fatto per cui si procedere è stato o meno percepito dalla vittima minorenne. E nel far ciò non si può non considerare, come la massima indica, la natura di quanto narrato e la sua appartenenza all’ordinario vissuto del minore. Se a questa domanda si risponde affermativamente, trattandosi di minore specie di tenera età, la difficoltà nella rappresentazione del fatto è difficile che non ci sia, come è oggettivamente difficile accettare che chi sta crescendo e deve essere tutelato possa aver esperienza diretta di orrende cattiverie umane di cui non dovrebbe mai fare conoscenza de visu . Altro, come pure la Cassazione indica nelle sue motivazioni, non si può dire, poiché il tutto non può che apparire come un vuoto circolo vizioso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 novembre 2018 – 15 gennaio 2019, n. 1741 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Potenza con l’ordinanza in epigrafe indicata ha confermato, in sede di riesame cautelare, il provvedimento con cui il G.i.p. del medesimo ufficio giudiziario aveva applicato la misura degli arresti domiciliari a C.G. , indagato per il reato di maltrattamenti aggravati e continuati art. 572, art. 81, comma 2, art. 61 c.p., comma 11-quinquies . Si è ritenuta in tal modo l’esistenza di un quadro di gravi indizi di colpevolezza dell’indagato per avere egli, nella sua qualità di insegnante di sostegno, in servizio presso l’Istituto scolastico omissis , con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, maltrattato, infliggendole con cadenza quotidiana sofferenze fisiche e morali, la minore S.M.G. , affidata alle sue cure perché affetta da invalidità consistente in ritardo psicomotorio e del linguaggio, così da renderle la vita quotidiana dolorosa e mortificante e da indurla a piangere durante le ore in cui egli era presente a scuola. È rimasto confermato altresì, nelle conclusioni dei giudici del riesame, l’ulteriore quadro indiziario per il quale l’indagato, che si trovava a svolgere il ruolo di insegnante dell’intera classe in sostituzione delle maestre di ruolo, aveva assunto atteggiamenti violenti ed intimidatori nei confronti degli altri alunni della classe della minore schiaffeggiandoli, spingendoli sulle pareti, strattonandoli, urlando nei loro confronti e chiamandoli porci e maiali , quando. 2. Ricorre in cassazione avverso l’indicata ordinanza il difensore di fiducia dell’indagato che, con due motivi di annullamento, deduce a l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine a la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza b la violazione dell’art. 292 c.p.p., lett. c-bis e la mancanza di motivazione rispetto alle allegazioni difensive a discarico. Nel provvedimento impugnato sarebbe mancata una valutazione critica ed argomentata di tutte le fonti indiziarie, complessivamente considerate, non avendo i giudici del riesame valutato i tema dell’autosufficienza del contenuto delle dichiarazioni di bambini di età ricompresa tra gli otto ed i nove anni a sostenere, da sole, in termini di affidabilità e con un giudizio di elevata probabilità, la piattaforma di gravità indiziaria. Gli adulti avrebbero infatti riferito circostanze apprese dai minori. 3. Nei segnati complessivi contenuti di denuncia, sono due i profili posti all’attenzione di questa Corte di legittimità per rimarcare dell’ordinanza del riesame la mancanza di uno scrutinio di estremo rigore delle fonti dichiarative indicate a l’originaria contraddittorietà ed inconsistenza delle prove richiamate dall’ufficio procedente e fatte proprie dal provvedimento emesso in sede di riesame e, prima ancora, dall’ordinanza applicativa di misura b gli esiti delle indagini difensive svolte ex art. 391-bis c.p.p. su cui i giudici della cautela avrebbero dovuto valutare l’affidabilità delle dichiarazioni accusatorie. 4. La contraddittorietà avrebbe innanzitutto connotato i contenuti della denuncia sporta dal padre di S.M.G. , il quale riferiva di avere appreso dall’insegnante di sostegno, P.M. , che aiutava la minore a fare i compiti a casa, che la figlia era stata più volte picchiata a lezione dal proprio maestro, C.G. , dichiarando di essere all’oscuro di tutto, insieme alla moglie, per poi riferire che la figlia non aveva riportato segni di violenza fisica e che né lui né a moglie avevano ritenuto opportuno parlarne con la stessa. Il tribunale su detto racconto aveva ritenuto da una parte che non sarebbe stato possibile per il padre constatare, nell’immediatezza, i segni di violenza fisica riportati dalla figlia perché egli, per motivi di lavoro, si trovava in casa, con i familiari, solo il fine settimana salvo, poi, in modo contraddittorio, a riportare, a definizione del quadro di prova, che il genitore aveva notato che la figlia manifestava terrore quando doveva andare a scuola, ed a giustificare la ritenuta, dal denunciante, inopportunità di parlare con la figlia dell’accaduto. I giudici della cautela avrebbero altresì obliterato che la minore aveva riferito nel corso dell’esame condotto dalla psicologa di aver raccontato dei maltrattamenti a madre e nonna, circostanza confermata dalla cugina, Pi.Fr. , che aveva dichiarato che M.G. le aveva riferito di aver detto tutto alla propria madre. I giudici del riesame avrebbero quindi, in modo errato, riferito della conferma della nonna che la minore non voleva andare a scuola perché c’era il maestro G. , circostanza, invece, non vera. 4.1. Vengono quindi scrutinati nell’atto difensivo le dichiarazioni dei minori, compagni di classe e non, di cui si evidenziano le continue contraddizioni nel dare ricostruzione ai fatti quanto alle condotte violente assunte dal maestro ed alle loro modalità di tempo e luogo. Pi.Fr. aveva da una parte dichiarato nel corso del suo esame di aver visto un livido sul braccio di M.G. salvo poi, e subito dopo, a riferire di non aver notato sulla cugina segni e lividi in volto. Pa.Ma. aveva riferito di non aver mai visto la compagna con lividi sul volto o altri segni Ca.Mi.Ca. prima aveva affermato che nell’aula di logopedia, separata da quella in cui si tenevano le lezioni per l’intera classe, il maestro dava a M.G. , secondo il racconto fatto da quest’ultima ai compagni, schiaffi e pizzicotti, scuotendola e tirandole la treccia dei capelli, per poi riferire che loro compagni in classe vedevano il maestro dare alla prima schiaffi dietro la testa e che avrebbe visto che a graffiare sul volto la compagna sarebbe stato il maestro quando immediatamente prima aveva dichiarato che una volta M.G. era tornata dall’aula di logopedia con dei graffi sulla faccia . L’offesa aveva riferito che il maestro si comportava così solo quando la portava nell’aula di logopedia per la lezione individuale e non quando era in classe con la maestra G. , mentre i compagni, riferivano che tali comportamenti avvenivano tranquillamente anche in classe alla presenza di altri maestri. In particolare il tribunale non aveva valutato che mentre Ca.Mi.Ca. e M.R. avevano dichiarato che queste cose accadevano in aula quando erano presenti anche le altre maestre, Cr. e Ca. , Co.Ma. aveva riferito che il maestro si comportava così quando le altre maestre andavano a prendere un caffè o la maestra Cr. veniva chiamata da altre insegnanti lasciando il primo solo in classe. 4.2. Il Tribunale del Riesame avrebbe poi devalutato le dichiarazioni rese in sede di indagini difensive dalle maestre Ca.An. e R.I. , e dalle collaboratrici scolastiche ritenendo che non avrebbero confermato gli episodi di violenza in quanto non dirette testimoni e informate dagli alunni dei fatti li avrebbero ritenuti di pura invenzione là dove, invece, si evidenzia nell’atto difensivo, proprio quelle dichiarazioni avrebbero escluso, nel loro negativo contenuto, ogni, sia pur minimo, riscontro oggettivo a quelle dei minori. Le prime avevano dichiarato di non aver mai visto il maestro urlare o proferire insulti nei confronti degli alunni e di non aver mai visto piangere la piccola M.G. o vederla subire violenze e tanto a fronte del racconto degli alunni che avevano invece riferito della presenza delle prime alle condotte dell’indagato o di averne comunque parlato con le stesse. Le collaboratrici scolastiche, S.M. e D.C.F.A. , uniche ad operare nell’edificio scolastico in cui si trovano quattro classi tra le quali la quarta ‘B’, avevano negato di aver mai soccorso la minore in bagno oltre a precisare di non aver mai visto la bambina piangere o il maestro C. urlarle contro, in tal modo riscontrando la contraddittorietà esistente tra le dichiarazioni di S.A.M. , zia dell’offesa, e la figlia Pi.Fr. , che frequentava la prima media dello stesso plesso scolastico. La prima aveva detto infatti che la figlia le avrebbe riferito che le era capitato di vedere la cugina piangere in bagno consolata dai bidelli e, in una occasione, che era soccorsa e pulita mentre le usciva il sangue dal naso . Le due bidelle non avrebbero potuto infatti perdere il ricorso dei due episodi di contro a quanto ritenuto dal tribunale. 4.3. Le immagini estrapolate dalle riprese effettuate dagli impianti di video-sorveglianza installati dal 12 al 22 dicembre 2017 non fornivano alcuna conferma dei maltrattamenti ed il Tribunale, con motivazione illogica e contraddittoria, aveva ritenuto che dodici giorni di monitoraggio segnati dalla mancanza di episodi di maltrattamento non sarebbero stati sufficienti ad elidere il grave quadro indiziario non apprezzando, in tal modo, però, che sia i bambini che il capo di imputazione facevano riferimento ad una abitualità di maltrattamenti perpetrati quotidianamente. 4.4. Nella memoria depositata all’udienza camerale davanti al tribunale, il difensore aveva allegato anche la testimonianza del fisioterapista, dottor G.E. , che seguiva la minore sin dall’età di tre anni e che dal settembre 2017 l’aveva in trattamento con cadenza bisettimanale, il quale aveva precisato di non avere mai notato che la piccola avesse pianto o subito maltrattamenti. Sul punto il tribunale aveva omesso di motivare, incorrendo in palese vizio di legittimità. Considerato in diritto 1. Per il proposto ricorso si fa questione sulla legittimità del metodo osservato dal Tribunale del riesame al fine di comporre il quadro dei gravi indizi di colpevolezza richiesto per l’applicazione della misura cautelare personale, nella dedotta necessità che il giudizio di cui all’art. 273 cod. proc. pen. debba essere assistito da una ragionevole probabilità di condanna. Sull’indicata censura, ritiene questo Collegio che il Tribunale del riesame di P. abbia dato, in ragione dell’adottata ordinanza, corretta applicazione dei principi dettati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in punto di contenuti e formazione dei gravi indizi di reato, così sottraendo forza alle censure portate in ricorso che si rivelano come tali infondate. 2. Risponde a formato principio di legittimità l’affermazione, contenuta nell’atto difensivo, che i gravi indizi di reato devono avere i requisiti indispensabili ad assicurare una loro tenuta nel giudizio sul merito dell’accusa, lasciando prevedere, per la loro consistenza, che attraverso la successiva acquisizione di futuri elementi essi saranno idonei a dimostrare la penale responsabilità, nel frattempo fondando una qualificata probabilità di colpevolezza. In tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono, di per sé, a provare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino, Rv. 202002-01 Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, Acanfora, Rv. 227511-01 id., n. 28865 del 14/06/2013, Cardella, Rv. 256657-01 . Nella ulteriore precisazione in forza della quale, ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale, i necessari gravi indizi di colpevolezza non corrispondono agli indizi , intesi quali elementi di prova idonei a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 c.p.p., comma 2, che, oltre alla gravità, indica dei primi precisione e concordanza, in quanto non richiamato dall’art. 273 c.p.p., comma 1-bis, Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, Carrubba, Rv. 270172-01 Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, Puggiotto, Rv. 26917901 . Sull’indicata generale premessa di metodo, connessa e consequenziale si mostra, nella specie, l’applicazione dell’ulteriore regola che vuole che i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. ben possono essere integrati dalle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, senza necessità di riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione della loro attendibilità estrinseca, con la precisazione che il giudice della cautela è chiamato a scrutinio contrassegnato da maggiore rigore e prudenza ove la persona offesa sia di minore di età Sez. 5, n. 5609 del 20/12/2013, dep. 2014, Puente Suarez, Rv. 258870 Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 . 3. Per i segnati passaggi, il tema sottoposto scrutinio di questa Corte di legittimità è quindi quello della attendibilità delle dichiarazioni probatorie rese da minore di età e dei contenuti che il giudizio sul punto formulato dal giudice del merito cautelare deve avere al fine di dare conto del buon governo delle indicate emergenze in punto di prova. 4. La giurisprudenza di legittimità ha sviluppato un robusto orientamento, segnatamente in materia di reati sessuali, con cui si afferma, per proposizioni di principio che si lasciano apprezzare come di più generale portata, che, non ponendo l’ordinamento processuale penale una incapacità a testimoniare derivante dall’età minore, il giudice di merito resta onerato di sottoporre le accuse formulate da minori ad attenta verifica onde accertare se le dichiarazioni trovino obiettivo riscontro, al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenza di un processo di auto od etero suggestione oppure di esaltazione o fantasia fin da Sez. 3, n. 2971 del 25/01/1984, C., Rv. 163422-01 e Id., n. 806 del 25/09/1987, dep. 1988, N., Rv. 177458-01 . Resta in tal modo attribuita al giudice, insieme alla valutazione del contenuto della dichiarazione del minore che sia parte offesa, l’esame dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto e della sua situazione psicologica rispetto al contesto delle situazioni, rispetto al primo interne ed esterne, e quindi dell’attitudine del minire a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e della sua credibilità. Il giudice di merito è tenuto quindi ad accertare del minore la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle al lume di una visione complessa, in cui rientrano l’età e le condizioni emozionali che regolano del primo le relazioni con il mondo esterno, la qualità e natura dei rapporti familiari, e ad esaminare il modo in cui il minore ha vissuto e rielaborato la vicenda così da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna Sez. 3, n. 8962 del 03/07/1997, R., Rv. 208447-01 in termini Sez. 3, n. 22935 del 27/03/2003, C., Rv. 22537701 . 5. Per l’indicato percorso valutativo, resta rilevante il tema della spontanea formazione della prova per sottrazione della stessa da ogni processo di suggestione o inquinamento, nella verificata capacità del minore di dare espressione alla realtà senza mistificazioni, auto e etero dirette, anche per incursione dell’adulto nelle primissime fase di formazione della prova. 6. Il profilo della formazione della prova e della credibilità della persona offesa, per una denunciata manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, viene in considerazione nella parte in cui in ricorso si contesta, quale elemento di debolezza del narrato della minore lungo cui procede e si spinge il giudizio di gravità indiziaria, che la denuncia del padre della vittima non avrebbe dato atto, in modo non plausibile, di un confronto tra figlia e genitori, i quali avrebbero, in modo non credibile, mancato di essere i primi destinatari delle confidenze della minore sui temi della denuncia stessa. Il tribunale da un canto argomenta congruamente sul punto, con ragionamento che non si espone a censura in questa sede, ricostruendo la peculiare struttura del nucleo familiare della minore, nella sottolineata delicata posizione della madre, affetta anch’ella da difficoltà nel linguaggio e presa dall’attendere al figlio più piccolo, pure gravato da problemi di identico contenuto e nella riportata lontananza del padre dalla casa familiare, durante la settimana, per ragioni di lavoro. Resta in tal modo, di fondo, come debitamente ritenuto in sede di riesame, non contrastata dal comune svolgimento degli accadimenti la circostanza per la quale, un genitore possa avere notizia dei maltrattamenti subiti dal proprio figlio non direttamente da questi, ma da terzi, nella specie la maestra di sostegno che assisteva la minore a domicilio e la sorella, informata, a sua volta, dalla insegnante di danza di sua figlia, cugina dell’offesa. Che poi il padre riferisca del terrore della figlia quando ella sapeva di dovere andare a scuola, è circostanza che, ancora, non vale a contrassegnare in termini di illogicità la denuncia del primo rispetto alla pure riferita, nell’atto di accusa privata, assenza di tracce di violenza dei maltrattamenti subiti dalla figlia. Il Tribunale di P. evidenzia in modo concludente che i maltrattamenti non erano solo di tipo fisico e, comunque, non a necessario esito permanente. In modo efficace e rilevante, abbandonando il tema della stretta contraddittorietà dei contenuti della denuncia del padre e portando il loro apprezzamento, più squisitamente, sul diverso piano del processo di formazione del narrato dell’offesa, i giudici del riesame valorizzano come dal mancato contatto con la figura dell’adulto nei momenti di prima definizione dei contenuti del racconto, derivi l’assenza di processi di rielaborazione indotti da improprie interferenze nella ricostruzione dell’accaduto. Vengono sul punto richiamate pp. 9 e 10 le modalità di raccolta delle dichiarazioni della minore e di formazione della prova per intervento della psicologa, a tanto preposta su incarico del P.m., valorizzandosi il processo di progressiva e genuina emancipazione dell’offesa ivi sentita da silenzi o ritrosie dettati da paura, per un sereno percorso di ricognizione dell’accaduto che, espressivo di fatti ancorati alla realtà fattuale partecipata dalla minore, viene composto e saggiato nell’impugnata sentenza come non inquinato da suggestioni o comportamenti protettivi o auto protettivi della stessa persona offesa o dei suoi compagni di classe. 7. Le dedotte, in ricorso, contraddizioni intrinseche dei singoli racconti dei compagni di classe dell’offesa, sentiti in corso di indagine, e, ancora, quelle che si denunciano nell’atto difensivo relativamente al rapporto tra i racconti, tra loro, forniti dai compagni di classe o parenti dell’offesa non sono capaci di definire in termini di incoerenza la valutazione del complessivo compendio dichiarativo portata nell’impugnata ordinanza. Nel provvedimento del Tribunale del Riesame i racconti dei minori e degli adulti che dei primi si fanno portatori la maestra di sostegno che fa assistenza a domicilio la zia dell’offesa l’insegnante di danza della cugina la madre di una compagna di scuola si intersecano nei loro contenuti e si riscontrano, vicendevolmente. Le contraddizioni in quelle sede evidenziate dalla difesa rinvengono soluzione per valutazioni non denotate da manifesta illogicità là dove ora segnate da una apprezzata diversità di linguaggio dovuta alla differente età delle dichiaranti - così nei rapporti tra quanto riferito da zia e cuginetta -ora dirette ad evidenziare la spontaneità del contesto in cui i minori si trovavano a fare le loro confidenze alla figura adulta di riferimento - così per l’episodio in cui maturata la conoscenza dell’insegnante di ballo -. Rispetto ad una siffatta valutazione, quella portata in ricorso si traduce in una lettura frazionata del dato di prova, incapace di individuare salti o contraddizioni nell’ordito logico osservato dal tribunale. Là dove, segnatamente, S.M.G. , offesa, ed i minori, compagni di classe della prima, riferiscono dei luoghi in cui il maestro C. adottava comportamenti violenti nei confronti della prima - ora nell’aula comune a tutti i bambini della classe quarta B ed anche alla presenza delle altre insegnanti ora in quella, separata, in cui si tenevano le ore di logopedia, in cui il contatto interveniva tra la sola disabile ed il maestro di sostegno - il tribunale compone ogni discrasia, segnalando della stessa la sostanziale apparenza con il valorizzare che nei due racconti il dato, centrale, è quello della non presenza in classe, allorché intervenivano condotte in danno di M.G. , della maestra Cr.Gi. , nella distrazione delle altre insegnanti o, ancora, nella loro non presenza in classe. La motivazione spesa nell’ordinanza cautelare sulle contrarie dichiarazioni fornite dalle due insegnanti sentite in sede di indagini difensive e dalle due collaboratrici scolastiche e del loro comporsi con il quadro indiziario non si denuncia come manifestamente illogica nelle formulate conclusioni in ordine alla incapacità delle stesse di disarticolare la consistenza del primo, altrimenti formato. Quanto alle riprese video ed ai loro esiti, l’evidenza, portata in ricorso, che quelle registrazioni non rilevarono alcun comportamento dell’indagato, pur attive dal 12 al 22 dicembre 2017, ancora una volta non si dimostra capace di scardinare la struttura dell’ordinanza impugnata e tanto, anche, per il sottolineato rilievo, operato dai giudici del riesame, che il 22 dicembre fu l’ultimo giorno di lavoro di C. che, come riferito dal preside, sentito a s.i.t., preferì allontanarsi da scuola, mettendosi in aspettativa p. 9 , dopo aver appreso che i genitori della minore si erano rivolti ai carabinieri p. 11 . Profilo che, diretto ad evidenziare delle condotte registrate dall’indicato mezzo la non pregnanza probatoria, per una segnalata prossimità temporale tra l’attivazione dello strumento tecnico di raccolta della prova e le ragioni frapposte a sostegno della scelta lavorativa dell’indagato, resta del tutto non contrastato in ricorso, sottraendo forza alla critica sul punto portata. Resta pure non toccato dal proposto ricorso il passaggio sviluppato dal Tribunale del Riesame - in risposta alla critica difensiva in quella fase promossa avverso il provvedimento applicativo della misura e che avrebbe visto ai danni dell’indagato l’esistenza di un complotto di cui autrice sarebbe stata l’insegnante Cr. - in cui il giudicante affronta la questione del compito scritto assegnato dalla maestra Cr. ai bambini della classe di descrivere un loro maestro. Esclusa dell’iniziativa la capacità manipolativa del racconto dei minori, le cui riflessioni scritte convergono nel descrivere la condotta del maestro C. , con siffatto passaggio p. 10 il ricorso proposto dinanzi a questa Corte di legittimità non si confronta come pure con l’espresso giudizio, in sede di riesame, sulla autonomia intellettuale dimostrata da bambine della classe della vittima là dove decidevano di chiedere al preside di attribuire alla loro compagna un altro insegnante di sostegno, in tal modo indebolendosi. 8. Resta fermo quindi a sostenere il formulato giudizio di gravità cautelare un racconto che, reiterato nei suoi contenuti in una pluralità di contesti, anche attraverso le dichiarazioni de relato rese dagli adulti, genitori o parenti della vittima o dei coetanei compagni di classe, in contesti non contrassegnati da manipolazioni o suggestioni emotive, sostiene, nel suo riproporsi, nelle ragionevoli conclusioni dei giudici del riesame, la univoca e convergente gravità al fine di integrare, per questa fase del giudizio, quanto richiesto ovverosia il fumus di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. proc. pen. dell’imputazione provvisoria, oggetto del proposto ricorso, di maltrattamenti ex art. 572 cod. pen. ai danni della minore, S.M.G. . 9. Per gli indicati contenuti ed in applicazione del principio per il quale la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla vittima minore di età deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamene idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la verifica sull’incidenza di autosuggestioni e di suggestioni esercitate da persone adulte, tenendo conto anche dell’età dei minori dichiaranti e con la loro autonomia intellettuale della loro correlata capacità di relazionarsi in esterno comprendendo il corso degli avvenimenti ed il loro significato, estremo da valutarsi in ragione della natura di quanto narrato e della appartenenza all’ordinario vissuto del minore , il ricorso è infondato e va rigettato. Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.