L’utilizzabilità della deposizione testimoniale della persona offesa nella fase preliminare al dibattimento

In tema di utilizzo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, è consentita l’assunzione della deposizione testimoniale della stessa, vittima di violenza sessuale, nella fase degli atti preliminari al dibattimento trattandosi di una prova suscettibile di essere assunta ai sensi dell’art. 467 c.p.p., osservando le forme del dibattimento .

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 1515/19, depositata il 14 gennaio. La vicenda. La Corte d’Appello confermava la condanna dell’imputato in ordine ai reati di cui agli artt. 393, 582 e 609- bis c.p. commessi in danno dell’ex convivente. L’imputato, avverso la sentenza di secondo grado, propone ricorso per cassazione deducendo violazione di legge per essere state ritenute utilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di esame testimoniale reso in udienza, esame che si era tenuto prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e quindi prima che le parti avanzassero le richieste di prova. L’utilizzabilità della prova. Occorre innanzitutto sottolineare che la mancata lettura dell’imputazione da parte dell’ausiliario del giudice, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, non dà luogo a nullità dato che essa non riguarda l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato in giudizio. Per le stesse ragioni, rappresenta una mera irregolarità formale la mancata dichiarazione di apertura del dibattimento. Premesso ciò, bisogna sottolineare che, nel caso in esame, dopo la formalizzazione delle richieste di prova e il relativo provvedimento del giudice, la deposizione testimoniale resa dalla persona offesa poco prima nel contraddittorio delle parti, il cui contenuto è acquisito al fascicolo del dibattimento, è considerata assunta formalmente in modo rituale attraverso riconvocazione della teste. Si tratta, infatti in tal caso, della rinnovazione dell’esame. Il mancato rinnovo degli avvisi. Quanto al fatto che alla testimone non sono stati rinnovati gli avvisi di cui all’art. 497, comma 2, c.p.p., è necessario osservare che si tratta di una nullità relativa che deve essere eccepita dalla parte che vi assiste. Nel caso di specie, tale nullità non è stata tempestivamente dedotta. Tra l’altro la normativa consente l’assunzione della deposizione testimoniale della persona offesa, vittima di violenza sessuale, nella fase degli atti preliminari al dibattimento trattandosi di una prova suscettibile di essere assunta ai sensi dell’art. 467 c.p.p., osservandole forme del dibattimento . Per tali motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 novembre 2018 – 14 gennaio 2019, n. 1515 Presidente Rosi – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 febbraio 2018, la Corte d’appello di Milano, respingendo il gravame proposto dall’odierno ricorrente, ha confermato la condanna del medesimo alle pene di legge in relazione ai reati di cui agli artt. 393, 582 e 609 bis cod. pen. contestati come commessi in danno dell’ex convivente. 2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 3. Con un primo motivo, si deducono violazione della legge processuale e vizio di motivazione per essere state ritenute utilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di esame testimoniale reso all’udienza del 27 marzo 2014, benché quell’esame si fosse tenuto prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e prima che le parti avanzassero le rispettive richieste di prova e che il tribunale provvedesse sul punto. Rilevate, dal pubblico ministero, dette omissioni subito dopo la fine dell’esame, il tribunale aveva provveduto all’adempimento di parte dei suddetti incombenti omettendo tuttavia la formale dichiarazione di apertura del dibattimento e la lettura del capo d’imputazione e, a seguito dell’opposizione della difesa a considerare quale prova acquisita la precedente deposizione, il tribunale aveva richiamato la persona offesa e, senza farle prestare il giuramento di rito, le aveva chiesto se confermasse le dichiarazioni precedentemente rese, ottenendo risposta affermativa e quindi l’aveva congedata. Nonostante l’eccezione di inutilizzabilità della prova fosse stata reiterata con i motivi d’appello, la Corte territoriale l’aveva respinta con motivazioni illogiche ed errate. 4. Con il secondo motivo, si deduce vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo a diversi profili. In primo luogo - subordinatamente all’eccezione di inutilizzabilità di cui sopra - per essere stata ritenuta l’attendibilità della persona offesa, con particolare riguardo all’episodio di violenza sessuale, senza dare logiche risposte alle specifiche doglianze al proposito dedotte con il gravame in particolare quanto all’inverosimiglianza della dinamica ed al comportamento tenuto della persona offesa dopo il fatto e, anzi, rendendo argomentazioni contraddittorie specialmente con riguardo alla spiegazione data circa la tardiva denuncia della violenza sessuale . In secondo luogo per aver ritenuto, senza argomentazione, attendibili i testimoni a carico omettendo di considerare le contraddittorie dichiarazioni dai medesimi rese in particolare i figli della persona offesa e il teste D. e valorizzando la deposizione della dott.ssa M. correttamente svalutata, invece, dal giudice di primo grado . Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato, posto che le irregolarità procedurali lamentate in ricorso non configurano ipotesi di inutilizzabilità della prova, né sussistono cause di nullità rilevabili nel giudizio di legittimità. 1.1. Va premesso che la mancata lettura dell’imputazione da parte dell’ausiliario che assiste il giudice, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, non dà luogo ad alcuna nullità, in forza del principio di tassatività delle nullità e tenuto conto che detta violazione non può ricondursi nella categoria delle nullità di ordine generale previste dall’art. 178 c.p.p., lett. c , posto che essa non riguarda l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e che l’esigenza della contestazione è soddisfatta dalla notificazione del decreto che dispone il giudizio, corrispondente all’atto cui la legge processuale demanda la funzione della editio actionis , e non dalla lettura in udienza dell’imputazione Sez. 1, n. 10107 del 14/07/1998, Rossi e aa., Rv. 211400 . Per identiche ragioni, costituisce mera irregolarità la mancata dichiarazione di apertura del dibattimento, quando sia pacifico - come nella specie è, dopo che il pubblico ministero aveva fatto rilevare le omissioni precedentemente compiute - che con la richiesta delle parti di ammissione delle prove, il relativo provvedimento pronunciato dal giudice e l’apertura dell’istruzione dibattimentale si sia passati dalla fase degli atti introduttivi artt. 484 c.p.p. e ss. alla vera e propria fase del dibattimento artt. 493 c.p.p. e ss. . 1.2. Ciò premesso, occorre rilevare che, dopo che si era correttamente proceduto a formalizzare le richieste di prova ed il relativo provvedimento del giudice, la deposizione testimoniale poco prima resa dalla persona offesa nel contraddittorio delle parti, con le regole dell’esame e del controesame, il cui contenuto era acquisito al fascicolo del dibattimento per essersi l’atto compiuto in tale fase, è stata formalmente assunta in modo rituale mediante riconvocazione della teste, la quale ha confermato quanto prima dichiarato, con possibilità per le parti di formulare ulteriori domande, ciò che non è avvenuto la sequenza procedurale degli accadimenti è documentata nel verbale di trascrizione allegato dal ricorrente al ricorso pp. 56 e 57 . Si è trattato, in sostanza, della rinnovazione dell’esame, che - non avendo evidentemente le parti ulteriori temi di prova sui quali sollecitare la deposizione della teste, compiutamente esaminata è controesaminata sino a pochi minuti prima - si è risolto nella formale acquisizione della prova poco prima formatasi nel contraddittorio delle parti ed avanti al giudice che ha poi assunto la decisione senza che sia stato in alcun modo leso il diritto di difesa. Quanto al fatto che alla teste non sono stati rinnovati gli avvisi di cui all’art. 497 c.p.p., comma 2, e che ella non è stata nuovamente invitata a leggere la formula di rito ivi contenuta, basti osservare che, per consolidato orientamento, si tratta di nullità relativa che, ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2, deve essere eccepita dalla parte che vi assiste Sez. 5, n. 44860 del 07/09/2015, Piccinini, Rv. 265686-01 Sez. 6, n. 45696 del 27/11/2008, Verderame, Rv. 241661-01 . Nella specie, la nullità non è stata tempestivamente dedotta, sicché, a norma dell’art. 182 c.p.p., comma 3, la parte è decaduta dalla possibilità di eccepirla. Né rileva che non sia stata data formale lettura del verbale, adempimento non richiesto dal difensore presente e, peraltro, del tutto inutile posto ché l’atto era stato poco prima assunto alla presenza di tutte parti. Va, in ogni caso, richiamato il condivisibile principio secondo cui la violazione dell’obbligo sancito dall’art. 511 c.p.p. di dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento ovvero di indicare quelli utilizzabili ai fini della decisione non è causa di nullità, non essendo specificamente sanzionata in tal senso e non essendo inquadrabile in alcuna delle cause generali di nullità previste dall’art. 178 c.p.p. né può dare luogo a inutilizzabilità, poiché sia l’art. 191 che l’art. 526 c.p.p. sanzionano l’illegittimità dell’acquisizione della prova, e quindi i vizi di un’attività che logicamente e cronologicamente si distingue e precede quella della lettura Sez. 3, n. 45305 del 17/10/2013, Gherardi, Rv. 257630 . Nel respingere l’eccezione di inutilizzabilità dell’esame della persona offesa sollevata dalla difesa dell’imputata con l’atto d’appello, la Corte territoriale ha pertanto fatto buon governo delle norme processuali, che sarebbero invece state certamente violate qualora detta inutilizzabilità fosse stata riconosciuta. Anche di recente, invero, si è affermato che la sanzione dell’inutilizzabilità prevista in via generale dall’art. 191 c.p.p. si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l’osservanza delle formalità prescritte, dovendosi applicare in tal caso la disciplina delle nullità processuali Sez. 2, n. 9494 del 07/02/2018, Schiavo, Rv. 272348 . In particolare, l’art. 191 c.p.p., comma 1, il quale sancisce la inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge , va interpretato nel senso che tale inutilizzabilità può derivare, in difetto di espressa, specifica previsione, soltanto dalla illegittimità in sé della prova stessa, desumibile dalla norma o dal complesso di norme che la disciplinano, e non invece soltanto dal fatto che la prova sia stata acquisita irritualmente. Ne consegue che per prove diverse da quelle legittimamente acquisite debbono intendersi non tutte le prove le cui formalità di acquisizione non siano state osservate, ma solo quelle che non si sarebbero potute acquisire proprio a cagione dell’esistenza di un espresso o implicito divieto Sez. 2, n. 15877 del 27/03/2008, Lo Verde, Rv. 239775 . Va rammentato, d’altra parte, come la legge espressamente consenta l’assunzione della deposizione testimoniale della persona offesa vittima di violenza sessuale nella fase degli atti preliminari al dibattimento, trattandosi di caso previsto dall’art. 392 c.p.p. e di prova suscettibile di essere assunta ai sensi dell’art. 467 c.p.p., osservando le forme del dibattimento , come nella specie incontestabilmente avvenuto. Che non sussistessero le condizioni di urgenza previste da detta norma, tenendo conto delle circostanze in cui l’esame avvenne e, soprattutto, del fatto che nessuna delle parti ebbe alcunché da eccepire, non invalida l’acquisizione della prova. Sulla base dei principi ricavabili dall’art. 403, comma 1, e dall’art. 431 c.p.p., comma 1, lett. e , non v’è dubbio, pertanto, che la prova sia utilizzabile nei confronti dell’imputato, la cui difesa ha partecipato all’assunzione, e che il relativo verbale dovesse essere contenuto nel fascicolo del dibattimento. 2. Il secondo motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile. Va premesso che, trattandosi di una c.d. doppia conforme - la motivazione della sentenza d’appello si salda con quella di primo grado. Il cennato principio dell’integrazione, in tali casi, delle argomentazioni contenute nelle sentenze di merito è in particolare valido quando la motivazione del primo giudice sia autosufficiente rispetto alle censure che le sono mosse con i motivi di gravame, risolvendosi questi ultimi nella mera riproposizione di questioni già esaurientemente valutate e decise, senza che venga richiesto un concreto vaglio critico sulla ratio decidendi della sentenza impugnata. Se - come nel caso di specie - il primo giudice ha preso precisa posizione su alcune deduzioni difensive e le ha logicamente vagliate e superate, la parte che le abbia riproposte, puramente e semplicemente, al giudice di appello senza dolersi delle ragioni con le quali le questioni siano state risolte attraverso l’articolazione del ragionamento probatorio contenuto nella sentenza impugnata o senza prospettare nuovi profili di valutazione, ben può la Corte d’appello limitarsi a richiamare la sentenza di primo grado che integralmente condivida Sez. 3, n. 27416 del 01/04/2014, Rv. 259666 . Laddove, cioè, i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615 . 2.1. Le considerazioni che precedono valgono a spiegare le ragioni per cui i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta tenuta dalla persona offesa successivamente alla violenza sessuale non fosse anomala e non inficiasse l’attendibilità delle sue dichiarazioni. Da un lato, ella aveva paura dell’imputato appena uscito di prigione e pregiudicato per numerosi, anche gravi, reati , d’altro lato v., in particolare, sentenza di primo grado, pag. 8, sul punto espressamente richiamata da quella impugnata , verosimilmente anche per ragioni culturali, ella aveva in quale modo sopportato la violenza sessuale subita, che, per pudore e vergogna, non riferì ai suoi due giovani figli e che decise invece di denunciare dopo aver parlato con un legale a seguito della violenza fisica patita dall’imputato in data 8 febbraio 2010, essendosi resa conto che O. non avrebbe rinunciato alle proprie pretese di carattere economico e che continuava a costituire un serio pericolo per l’incolumità propria e dei suoi familiari sent. impugnata, pagg. 5 e 6 . La concorde valutazione al proposito resa dai giudici di merito non è manifestamente illogica e non può trovare censura in questa sede. D’altronde, la decisione di proporre querela per una violenza sessuale è atto che talvolta - come accade quando l’autore del fatto sia persona che è o è stata legata alla vittima da una precedente relazione sentimentale, qual è il caso di specie - richiede una particolare ponderazione, venendo in considerazione plurimi aspetti che possono in qualche modo condizionare la decisione della persona offesa di richiedere la punizione dell’autore del reato. L’opportunità di concedere un più ampio spatium deliberandi per proporre querela nel caso di violenza sessuale - così come per il reato di atti persecutori, pure questo spesso commesso da soggetti che con la vittima hanno avuto relazioni affettive - è peraltro anche normativamente codificata, essendo previsto un termine doppio rispetto a quello ordinario, sicché non deve stupire se, talvolta, la decisione di richiedere la punizione del colpevole non sia immediata e sia il frutto della presa di coscienza dell’accaduto e di ciò che potrebbe ancora succedere, come i giudici di merito hanno concordemente ritenuto nel caso di specie. Per analoghe ragioni - pure queste logicamente spiegate nella sentenze - la persona offesa ha ritenuto di non riferire nell’immediatezza della violenza ai familiari e di non fare ricorso alle cure sanitarie peraltro inutili, come convincentemente ritenuto , mentre è apodittica l’argomentazione del ricorrente secondo cui sarebbe inspiegabile il fatto che la donna si sia invece confidata con una persona con cui aveva minore confidenza come I.G. , che la sentenza impugnata definisce invece amico. Le altre doglianze contenute in ricorso sono inammissibili perché generiche quella relativa all’uso del coltello tema affrontato esaustivamente a pag. 8 della sentenza di primo grado quella di aver commesso il fatto in un negozio con vetrine che davano sulla strada posto che la sentenza di primo grado attesta che la porta era stata chiusa dall’imputato quella circa le contraddizioni esistenti tra le dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai figli rispetto a quanto accadde al negozio la sera del 26 dicembre e a quanto si verificò la sera della violenza, quando la donna tornò a casa in compagnia dell’imputato, il quale pretese di trascorrere là la notte si tratta di contraddizioni su circostanze del tutto marginali e i giudici di primo e secondo grado hanno invece ben spiegato come proprio dalla condotta tenuta dall’imputato subito dopo la sua dimissione dal carcere e la notte della violenza sessuale e la mattina successiva si traessero elementi a conferma del suo atteggiamento violento e della paura della persona offesa quella relativa all’accenno, peraltro sostanzialmente irrilevante nell’economia della motivazione della sentenza impugnata, alle valutazioni fatte dalla responsabile del centro antiviolenza dott.ssa M. circa la paura che, ad oltre tre anni dai fatti, la persona ancora mostrava nei confronti dell’imputato quella relativa alla mancata valutazione critica della deposizione resa dal teste D.M. doglianza incomprensibile, non essendo stata compiutamente argomentata in ricorso, che sul punto rinvia alle critiche svolte alle pagg. 14 e 15 dell’atto di appello, dovendo qui ribadirsi il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879 . 3. Il ricorso è quindi da ritenersi complessivamente infondato e va rigettato, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile ammessa al patrocinio in favore dello Stato, da liquidarsi come in dispositivo - già applicata la riduzione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 106-bis - e da distrarsi in favore dello Stato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile N.A.T. , che liquida in Euro 2.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge, da distrarsi in favore dello Stato.