Condannata per i 33 gatti tenuti in casa

Respinte definitivamente le obiezioni proposte dall’imputata che ospitava in casa gli animali. Evidenti le sofferenze sopportate dai felini, alla luce del sovraffollamento dell’appartamento e delle pessime condizioni igieniche.

Troppi gatti per un solo appartamento. Inevitabile parlare di sofferenze” per i trentatré mici tenuti in casa a Milano da una donna, che si ritrova ora condannata. Confermata in via definitiva anche la confisca degli animali Cassazione, sentenza n. 1510/19, sez. III Penale, depositata oggi . Condizioni. Nessun dubbio per i Giudici del Tribunale di Milano alla luce degli elementi probatori raccolti, difatti, ritengono evidente che l’imputata ha detenuto presso la propria abitazione trentatré gatti con modalità incompatibili con la loro natura e tali da arrecare loro gravi sofferenze . Decisivo il richiamo alle condizioni di sovraffollamento e alle pessime condizioni igieniche della casa. La condanna per maltrattamenti ai danni dei felini è resa definitiva ora dalla Cassazione. Inutili le obiezioni proposte dal legale dell’imputata. Per i Giudici è corretta la lettura della vicenda data in Tribunale, laddove sono state accertate le precarie condizioni di vita degli animali. Inutile, infine, anche la richiesta della donna di mettere in discussione l’originaria confisca dei gatti da lei tenuti in casa. A questo proposito, ella ha evidenziato la modifica della originaria situazione di fatto dell’appartamento, oggetto di intervento di risanamento , ma tale dato non ha minimamente colpito i Giudici della Cassazione, i quali hanno ricordato che la confisca è inevitabile laddove si accerta che la detenzione di animali avviene in condizioni incompatibili con la loro natura .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 ottobre 2018 – 14 gennaio 2019, numero 1510 Presidente Lapalorcia – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/11/2017, il Tribunale di Milano dichiarava Be. El. responsabile del reato di cui all'art. 727 cod.pen, perché deteneva presso il proprio appartamento di abitazione numero 33 gatti con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili, con la loro natura, in ragione delle condizioni di sovraffollamento degli animali e di pessime condizioni di igiene dei luoghi. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Be. El., a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 727 cod.penumero Deduce che il Tribunale aveva tratto dalle condizioni ambientali in cui erano tenuti gli animali, attraverso una sorta di automatismo argomentativo, la sussistenza di sofferenze a carico degli animali, senza accertare la sussistenza di un effettivo nocumento sofferto dagli stessi, anche nella forma del semplice patimento, né la gravità delle sofferenze. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione e travisamento della prova, in relazione all'affermazione di responsabilità, lamentando l'erronea e parziale valutazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, di quelle offerte dalla difesa planimetria dell'appartamento della ricorrente, allegazioni fotografiche ritraenti gli animali in epoca precedente l'accertamento, fatture di acquisto del cibo differenziato anche per età degli animali che comprovavano cura ed attenzione della Be. nei confronti degli animali in merito alle condizioni di salute degli animali, poi, era stata semplicemente richiamata ma non valutata la consulenza tecnica a firma della dott.ssa Ci. Co., prodotta dalla difesa all'udienza del 7.11.2017, le cui risultanze consentivano di affermare che le patologie potevano essersi successivamente manifestate per ragioni diverse da negligenza nella cura o sovraffollamento del pari non erano state valutate le significative dichiarazioni rese dai testi Ma. e Po., le dichiarazioni dell'imputata e la documentazione sanitaria degli animali, dimostrative della cura per gli animali. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e travisamento della prova in punto della disposta confisca, lamentando che non era stata valutata l'intervenuta modifica della originaria situazione di fatto dell'appartamento, che, successivamente ai fatti, era stato oggetto di intervento di risanamento. Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili. Nei motivi in esame, si espongono, in sostanza, censure puramente contestative le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione cfr. Sez. 1, 16.11.2006, numero 42369, De Vita, Rv. 235507 sez. 6, 3.10.2006, numero 36546, Bruzzese, Rv. 235510 Sez. 3, 27.9.2006, numero 37006, Piras, Rv. 235508 . E', inoltre affermazione costante che, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, come avvenuto nella specie procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte Sez. 1, numero 23308 del 18/11/2014 dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601 Sez.4, numero 46979 del 10/11/2015, Rv.265053 . 2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. E', stato infatti, condivisibilmente affermato Sez.4, numero 18167 del 2017, non mass. che la detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all'art. 727 cod.pen, costituendo reato sia pure contravvenzionale , rientra nell'ipotesi di cui all'art. 240 comma 2 numero 2 del codice penale in base al quale, come è noto, deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato . 3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.