Tu non puoi morire, rito inquisitorio. Rassegnati!

Il giudice deve decidere sulla richiesta lui formulata ex art. 507 c.p.p. sulla scorta della sola assoluta necessità dell’esercizio dei poteri di integrazione probatoria ai fini della decisione, a nulla rilevando in relazione all’applicazione del richiesto potere ex officio, l’inerzia delle parti nel non predisporre e richiedere prove ex art. 468 c.p.p

L’art. 507 del codice di rito Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prove. 1-bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3 . Il tenore della norma pare suggerire, a me ma non solo, come il potere del giudice di disporre l’acquisizione di nuovi mezzi di prova sia, inesorabilmente connessa al consumato esercizio del potere di presentare mezzi di prova al giudice stesso da parte delle parti. Con il non trascurabile corollario costituito da quel richiesto indice di indispensabilità che i mezzi di prova disposti d’ufficio debbono possedere ai fini di essere assunti. Quid iuris se una delle due parti non presenta alcuna prova al giudice? Ma ancor più specificamente nel processo penale, cosa accade se il Pubblico Ministero si sia dimenticato di richiedere l’assunzione dei mezzi di prova? La pronuncia del Tribunale di Grosseto. Il giudice toscano, ragionando in modo logico e privo di contraddizione a fronte dell’inerzia del pubblico ministero che aveva omesso il deposito della lista testi richiedendo ex art. 507 al giudicante di disporre ex officio l’assunzione dei testimoni che aveva dimenticato di indicare, ha rigettato la richiesta e pronunciato sentenza di assoluzione nei confronti dell’imputato. L’argomentazione del giudicante si fondava su di un’interpretazione della norma resa dalla Corte di Cassazione sez. V n. 15631/04, piuttosto nota agli operatori del settore. Dunque in assenza di richiesta di prova il giudice non potrebbe in alcun modo agire in surroga” al potere spettante alle parti e, dunque, in assenza d’ogni possibile elemento probatorio, non potrebbe che emettere sentenza assolutoria, ma Le pronunce delle SS.UU Con la pronuncia delle SS.UU. n. 41281/06 le cose cambiano. Gli Ermellini, riuniti nel proprio massimo consesso, ribadiscono esplicitando un orientamento già espresso con la propria pronuncia n. 11227/1992, sempre resa a SS.UU., che la locuzione terminata l'acquisizione delle prove” indica soltanto il momento a seguito del quale il giudice può disporre l'assunzione di nuove prove. L’interpretazione della norma resa dalle SS.UU. trovava e trova ragion d’essere in una precedente pronuncia resa dalla Corte Costituzionale nel lontano marzo del 1993 Corte Cost. 111/93 . La sentenza n. 111 della Corte Costituzionale. Il giudice delle leggi nella pronuncia citata affermava come il porre limitazioni ai poteri del giudice ex art. 507 si porrebbe in contrasto con il fine del procedimento penale. Fine che, come è noto, sarebbe costituito dalla ricerca della verità”. Non so quanto concordino che il fine del procedimento penale sia costituito dalla ricerca della verità piuttosto che dalla scelta da effettuarsi tra tesi ed antitesi sulla scorta delle dimostrazioni prove offerte e portate dalle parti in sede di confronto dialettico, ma il nostro giudice delle leggi così ha stabilito. Non pago ha altresì affermato come sarebbe contraddittorio, da un lato, garantire l'effettiva obbligatorietà dell'azione penale contro le negligenze o le deliberate inerzie del pubblico ministero conferendo al giudice per le indagini preliminari il potere di disporre che costui formuli l'imputazione e dall'altro, negare al giudice dibattimentale il potere di supplire ad analoghe condotte della parte pubblica. L'attribuzione di tale potere ha, anzi, un fondamento maggiore, perché i principi di legalità ed uguaglianza esigono che il giudice sia messo in grado di porre rimedio anche alle negligenze ed inerzie del difensore . L’art. 111 della Costituzione nel 1999 si riforma l’articolo 111 della Costituzione. La pronuncia del 1993 del Giudice delle leggi dunque risulta essere datata ma, nel 2010 la Corte Costituzionale ritorna sul tema e con la propria pronuncia n. 73 afferma. La sentenza n. 73/10 della Corte Costituzionale. La pronuncia citata dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento ha effettivamente escluso che la questione di legittimità posta alla propria attenzione dal rimettente fosse fondata. Detta esclusione però trovava e trova fondamento nella particolarità della vicenda sottoposta all’esame della Consulta che, citando testualmente il giudice delle leggi, aveva questa natura e portata - omissis - nel formulare il quesito di costituzionalità, il giudice rimettente mostra, in effetti, di muovere dall’implicito presupposto che il potere di ammissione delle prove previsto dall’art. 507 c.p.p. abbia carattere necessariamente officioso. Tale convinzione contrasta, tuttavia, con il dato normativo, dal quale emerge inequivocamente, al contrario, che il potere in discussione può essere esercitato dal giudice sia d’ufficio che su istanza di parte. Lo attestano le parole anche d’ufficio”, presenti nella norma censurata, e – ancor più chiaramente – le previsioni dell’art. 151 disp. att. c.p.p., essenziali per una corretta esegesi della disciplina e che, nel regolare l’ordine di assunzione delle nuove prove disposte ai sensi dell’art. 507 c.p.p., distinguono specificamente, da un lato, la situazione attinente alle prove richieste dalle parti” comma 1 , che devono essere assunte secondo l’ordine previsto dall’art. 496 del codice dall’altro, la situazione delle prove orali introdotte d’ufficio dal giudice comma 2 , il quale dà inizio egli stesso direttamente alla relativa assunzione e, a seconda dell’esito di essa favorevole o no all’una o all’altra parte , stabilisce poi quale delle due debba condurre l’esame diretto ai sensi dell’art. 498 c.p.p. , restando ovviamente all’altra il diritto all’eventuale controesame. Nella fattispecie oggetto del giudizio a quo e che ha suscitato il dubbio di costituzionalità, si verte, in effetti, nella prima di queste due ipotesi. Non si tratta, cioè, di prove individuate dal giudice, da lui introdotte e alla assunzione delle quali egli stesso dovrebbe, almeno in un primo momento, dare corso. Si tratta, invece, di prove nella specie, testimoniali ricercate da una delle parti nella specie, il pubblico ministero e di cui è la parte medesima a chiedere l’ammissione, sia pure non più – a causa dell’intervenuta decadenza per tardivo deposito della lista – nell’esercizio pieno del diritto alla prova previsto dall’art. 190, comma 1, c.p.p. che imporrebbe al giudice di ammettere le prove stesse, purché non manifestamente irrilevanti o superflue , quanto piuttosto in base al diverso e più restrittivo criterio considerato dalla norma censurata l’assoluta necessità dell’acquisizione . Una soluzione assolutamente condivisibile che non pone a rischi quel principio di terzietà e verginità tanto caro ai cultori del processo penale e del garantismo. Così ricostruita la vicenda, sotto il profilo giuridico pare che le pronunce rese dalle SS.UU. 2006 e 1992 non possano più fingere da scudo all’interpretazione proposta dalla pronuncia in commento. In esse viene affermato il principio secondo il quale il giudice anche in assenza di richiesta di prove effettuate dalle parti, e dunque in situazioni del tutto differente rispetto a quella trattata dalla Consulta nella pronuncia del 2010, può ex officio assumere non richiesti mezzi istruttori. Assumendo prove non richieste dalle parti, e senza conoscere neppure minimante quella che è la ricostruzione del fatto offerta dalle parti medesime, egli sceglie di creare una ricostruzione degli eventi che, come afferma la stessa pronuncia in commento, finisce inevitabilmente per favorire una parte collaborando di fatto – laddove essa si identifichi nel pubblico ministero – alla costruzione della piattaforma probatoria d’accusa in una situazione nella quale dovrebbe altrimenti assolvere l’imputato perr carenza di prova del fatto contestato . Con il che egli perde la qualifica di terzo e si priva di quella necessaria verginità” rispetto al fatto da giudicare. Con buona pace delle norme di rango costituzionale che abbiamo fortemente voluto. A nulla rileva in punto l’invocata direttiva 73 della legge delega n 81/1987 che come è noto richiama esclusivamente, e non a caso indicandolo quale ultimo elemento il potere del giudice di disporre l'assunzione di mezzi di prova . Potere che permane anche nell’ipotesi disciplinata dalla pronuncia della Consulta del 2010. Il discrimine nell’esercizio di detto potere è dato propria dall’inerzia delle parti. Inerzia che non può essere superata dal giudice facendo ricorso ai poteri concessi ex art. 507 c.p.p Pena lo spingersi sempre più lungo il pericoloso crinale del ritorno alla figura del Giudice Istruttore. Giudice Istruttore che esercita i propri poteri in fase dibattimentale, sostituendosi al Pubblico Ministero e, quindi, perdendo quella irrinunciabile caratteristica di terzietà. Garanzia per i cittadini, voluta dal codice degli onesti.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 novembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1332 Presidente Fidelbo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto impugna la sentenza indicata in epigrafe con la quale il giudice monocratico del predetto Tribunale ha assolto perché il fatto non sussiste M.M. dai reati di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 4, commessi fino al omissis . 2. Il ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’art. 507 c.p.p È dato pacifico che il Pubblico Ministero non aveva depositato la lista testi, ai sensi dell’art. 468 c.p.p., tuttavia la decadenza dalla prova poteva essere superata disponendo, ai sensi dell’art. 507 c.p.p., l’acquisizione delle prove di accusa - escussione del verbalizzante e degli acquirenti della sostanza stupefacente - indicate a verbale all’udienza 4 maggio 2018 dal Pubblico Ministero, richiesta che il giudice monocratico aveva respinto fondando tale decisione su una risalente sentenza della Corte di legittimità smentita dalla successive decisioni di questa Corte. 3. Con memoria del 23 novembre 2018 il difensore di M.M. ha chiesto il rigetto del ricorso. Il presupposto dell’esercizio dei poteri del giudice di cui all’art. 507 c.p.p., osserva, è costituito dall’espletamento dell’istruttoria, che nel caso non c’è stato avendo il pubblico ministero omesso il deposito della lista testi. Peraltro, tardivamente, solo all’udienza del 4 maggio 2018 e non alle udienze deputate all’ammissione della prova, il pubblico ministero aveva sollecitato l’esercizio dei poteri officiosi del giudice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con l’adozione delle statuizioni conseguenti, come di seguito indicate. 2. Il Tribunale, nel disattendere la richiesta del pubblico ministero di fare ricorso ai poteri di ufficio onde procedere all’assunzione delle prove decisive ai fini del giudizio in fattispecie di conclamato mancato deposito della lista dei testi di accusa, ha richiamato una decisione di questa Corte a stregua della quale, in tema di istruzione dibattimentale, è esclusa dall’ambito di operatività della disciplina di cui all’art. 507 c.p.p. l’ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte poiché il potere del giudice di integrare, anche d’ufficio, l’assunzione di nuovi mezzi di prova presuppone, secondo il disposto dell’art. 507 c.p.p., che terminata l’acquisizione delle prove emerga l’assoluta necessità di assumere anche d’ufficio nuovi mezzi di prova Sez. 5, n. 15631 del 01/12/2004, dep. 2005, P.G. in proc. Canzi, Rv. 232156 . 3. L’opzione interpretativa condivisa dal Tribunale, fondata sull’analisi parziale del dato normativo e sulla valorizzazione di un inesistente principio dispositivo delle parti, si rivela tuttavia, erronea alla stregua dell’orientamento, avallato dalle decisioni delle Sezioni Unite e dal giudice delle leggi, nella ricostruzione della portata dell’art. 507 c.p.p 3.1. Le Sezioni Unite di questa Corte S.U. n. 41281 del 17/10/2006, Rv. 234907 , esaminando anche la sentenza richiamata dal Tribunale di Grosseto, hanno delineato l’ambito di applicazione e la finalità della norma di cui all’art. 507 c.p.p. ed hanno stabilito che il giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto ed hanno precisato che condizioni necessarie per l’esercizio di tale potere sono l’assoluta necessità dell’iniziativa del giudice, da correlare a una prova avente carattere di decisività, e il suo essere circoscritto nell’ambito delle prospettazioni delle parti, la cui facoltà di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova resta, peraltro, integra ai sensi dell’art. 495 c.p.p Secondo tale ricostruzione lo scopo della norma è reso evidente dalla formulazione letterale dell’art. 507 c.p.p. il cui tenore non consente, se non con una evidente forzatura, di leggere il riferimento allo spazio temporale terminata l’acquisizione delle prove come un limite ovvero un divieto all’esercizio dei poteri officiosi del giudice all’ipotesi quando l’acquisizione delle prove non vi sia stata o quelle proposte non siano state ammissibili, dovendo, viceversa, leggersi come riferimento alla normale fisiologia del processo penale in cui l’assunzione delle prove vi sia stata. In realtà, osservano le Sezioni Unite, le limitazioni che sottostanno alla lettura fatta propria dalla sentenza oggi impugnata che vi sia stata assunzione delle prove e non vi sia stata inerzia delle parti non solo non vengono indicate nella legge delega la direttiva 73 ma sono volte a configurare il divieto come una sorta di sanzione per l’inerzia della parte, opzione che, tuttavia, contrasta con la formulazione letterale della norma e con i limiti in cui, nel nostro sistema processuale, sono stati accolti i principi del sistema accusatorio, che non consentono di escludere un’iniziativa di ufficio del giudice diretta ad acquisire le informazioni necessarie per la sua decisione. Nella sentenza in esame è stato richiamato anche un più risalente orientamento enunciato prima della riforma dell’art. 111 Cost. Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Martin, Rv. 191607 . In entrambe le decisioni le Sezioni Unite della Corte hanno adeguatamente evidenziato che diritto delle parti alla prova e potere-dovere di ammissione della prova ai sensi dell’art. 507 c.p.p. hanno parametri diversi negativo il primo non manifesta superfluità o irrilevanza positivo la seconda assoluta necessità , sicché, l’esercizio del potere di cui all’art. 507 c.p.p. non neutralizza la sanzione di inammissibilità, in quanto la parte decaduta ai sensi dell’art. 468 c.p.p., comma 1, rischia di vedersi comunque denegata, o ristretta, l’ammissione delle prove a suo favore e ciò, anche nel caso in cui non vi sia stata alcuna precedente acquisizione probatoria. 4. La correttezza dell’indirizzo ermeneutico che discende dalle descritta interpretazione è stata, in tempi più recenti, confermata dal giudice delle leggi, in linea di continuità con una più risalente decisione Corte costituzionale, sentenza 26 marzo 1993 n. 111 . 4.1.Con sentenza n. 73 del 2010 la Corte Costituzionale, muovendo dal dato letterale - le parole anche d’ufficio presenti nella norma censurata, e - ancor più chiaramente - dalle previsioni dell’art. 151 disp. att. c.p.p., essenziali per una corretta esegesi della disciplina, ha escluso che fosse fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 507 c.p.p., in riferimento all’art. 111 Cost., nella parte in cui, secondo l’interpretazione accolta dalle sezioni unite della Corte di cassazione, consente al giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche quando si tratti di prove dalle quali le parti sono decadute per mancato o irrituale deposito della lista prescritta dall’art. 468 c.p.p. e, a seguito di tale decadenza, sia mancata ogni acquisizione probatoria. Anche nel caso portato all’attenzione del giudice delle leggi veniva in rilievo l’assunzione di una prova testimoniale disposta dal giudice di ufficio ma su istanza di parte, a seguito della intervenuta decadenza per tardivo deposito della lista testi. 5. La portata della interpretazione offerta dalle Sezioni Unite è stata chiarita in successive pronunce di questa Corte ove si è affermato, sempre in relazione a fattispecie nella quale il pubblico ministero non aveva presentato la lista dei testimoni, che il giudice ha il dovere di attivare, anche d’ufficio, il proprio potere di integrazione probatoria, se indispensabile per la decisione, anche nell’ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte ed ha pertanto l’obbligo di motivare in ordine al mancato esercizio di tale potere-dovere Sez. 1, n. 29490 del 27/06/2013, P.M. in proc. Liu e altro, Rv. 256116 non essendo rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra l’acquisizione della prova e il proscioglimento o la condanna dell’imputato. Non vale obiettare, si osserva in tale decisione, che allorché il giudice ripristina, tramite l’applicazione dell’art. 507 c.p.p., poteri probatori da cui una parte è decaduta, finisce inevitabilmente per favorire questa, collaborando, di fatto - laddove essa si identifichi nel pubblico ministero - alla costruzione della piattaforma probatoria d’accusa in una situazione nella quale dovrebbe altrimenti assolvere l’imputato per carenza di prova del fatto contestato. Vero è che l’esercizio del potere di cui all’art. 507 c.p.p. può ridondare, in concreto, a potenziale vantaggio della parte che sollecita la prova peraltro, solo in via di ipotesi, la cui realizzazione è comunque sempre legata al concreto risultato probatorio, al quale può concorrere e sul quale può incidere la controparte mediante il controesame . Ma ciò non può essere concepito come indice di parzialità l’ammissione di una prova a richiesta di parte giova sempre, per definizione, a chi, avendo formulato la richiesta stessa tempestiva o tardiva che sia , si veda accordato uno strumento argomentativo da impiegare a sostegno della propria tesi e pur sempre sottoposto alla verifica della escussione dialettica dibattimentale. La prospettiva del giudice è, in effetti, diversa da quella della parte il giudice ammette la prova in quanto risponda al criterio legale, parametrato sulla sua idoneità a permettere una decisione causa cognita nella specie, in termini di indispensabilità che poi la prova, una volta introdotta nel processo, torni a beneficio della parte istante è una delle possibili conseguenze naturali, non un dato che entri nella valutazione del giudice in sede di ammissione. 6.Ritiene, conclusivamente il Collegio che nella fattispecie in esame, in cui vi era assoluta mancanza di mezzi probatori di parte non avendo il pubblico ministero depositato la lista testi, il Tribunale non poteva pervenire al proscioglimento dell’imputato limitandosi a prendere atto della inerzia della parte pubblica e che, non essendo in grado di decidere per la insufficienza del materiale probatorio a sua disposizione, avrebbe dovuto verificare l’assoluta indispensabilità, ai fini della decisione, delle prove testimoniali che il pubblico ministero gli aveva sottoposto senza che, con riferimento al momento della richiesta, si possa ritenere ravvisabile un’ulteriore decadenza essendo sufficiente che la parte formuli la richiesta al giudice in tempo utile ai fini della decisione. Ed è sulla assoluta necessità dell’esercizio dei poteri di integrazione probatoria che gli sono stati richiesti che il giudice è tenuto ad esporre una specifica motivazione la cui mancanza non è superata dal mero rilievo della sanzione processuale dell’inerzia della parte che il Tribunale ha posto a fondamento della decisione impugnata. 7.Consegue alle considerazioni svolte l’accoglimento del ricorso con il conseguente annullamento della sentenza impugnata e trasmissione al giudice che l’ha pronunziata che dovrà quindi provvedere sulla richiesta di esercitare i poteri d’ufficio previsti dall’art. 507 c.p.p., senza che vengano in considerazione decadenze o inerzie in cui le parti siano incorse. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Grosseto per il giudizio.