Figlia maggiorenne e con un contratto part-time: genitore libero dall’obbligo del mantenimento

Vittoria definitiva per un genitore, assolto dall’accusa di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Decisiva, per i Giudici, la constatazione che la ragazza è maggiorenne e, all’epoca della decisione presa dal padre di non girarle più l’assegno mensile, era titolare di un contratto di lavoro part-time.

Figlia maggiorenne, abile al lavoro e titolare di un contratto part-time legittima, di conseguenza, sanciscono i Giudici, la scelta del padre di non versarle più l’assegno di mantenimento. Impossibile perciò accusare l’uomo di avere violato l’obbligo riguardante l’assistenza ai familiari Cassazione, sentenza n. 1342/19, sezione VI Penale, depositata oggi . Assegno. L’origine della vicenda risale all’ottobre del 2009, quando il genitore comincia a non versare più alla figlia – oramai 24enne – le somme stabilite dal giudice come mantenimento . La ragazza contesta la decisione e cita in giudizio il padre, che finisce sotto processo e viene condannato, prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello, per violazione degli obblighi di assistenza familiare . A salvare l’uomo è però la Cassazione. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, non ci sono assolutamente i presupposti per arrivare a una condanna. Decisiva, secondo i magistrati, la constatazione che la figlia è maggiorenne, non è inabile al lavoro e quando il padre non le ha più versato il previsto mantenimento svolgeva attività lavorativa con un contratto part-time . Vittoria definitiva, quindi, per il genitore, che vede cancellata l’accusa a lui mossa e riconosciuta la giustezza della sua decisione di non provvedere più all’assegno mensile in favore della figlia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 dicembre 2018 – 11 gennaio 2019, n. 1342 Presidente Petruzzellis – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Ancona ha confermato la sentenza del 23 settembre 2014, con cui il Tribunale di Ascoli Piceno ha condannato alla pena di legge Ma. Li. per il reato di cui all'art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen., per avere omesso di versare le somme stabilite dal giudice in favore della figlia. 2. Con atto a firma del difensore di fiducia, Ma. Li. ricorre avverso il provvedimento e ne chiede l'annullamento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, la difesa eccepisce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione per avere la Corte d'appello erroneamente omesso di riqualificare il fatto ai sensi dell'art. 388 cod. pen. 2.2. Con il secondo e terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione, per avere i giudici di merito errato nell'applicare il disposto dell'art. 570 cod. pen. A sostegno delle doglianze si evidenzia, per un verso, che l'imputato non ha mai tenuto alcun comportamento contrario all'ordine ed alla morale della famiglia, né si è mai sottratto agli obblighi di assistenza relativi alla responsabilità genitoriale per altro verso, che la Corte d'appello ha ritenuto integrato il reato sebbene la figlia maggiorenne abbia abbandonato il domicilio domestico, per libera scelta, a seguito del decesso della madre. La difesa sottolinea inoltre come l'inadempimento abbia riguardato tre sole mensilità, rispetto alle quali avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen. come, all'epoca del fatto, la persona offesa fosse maggiorenne ed avesse raggiunto una condizione di autosufficienza economica, sicché faceva difetto lo stato di bisogno come l'imputato si trovasse in condizione di non poter adempiere agli obblighi ignorando il luogo di dimora della figlia - persona offesa. 2.3. Con il quarto motivo, l'impugnante rileva la violazione di legge penale ed il vizio di motivazione in relazione all'art. 124 cod. pen., per avere la Corte d'appello erroneamente omesso di dichiarare l'improcedibilità del reato per tardività della querela. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo ed assorbente motivo, con il quale il ricorrente si duole della ritenuta integrazione del reato contestato sul presupposto che la figlia beneficiaria dell'assegno di mantenimento fosse ormai maggiorenne all'epoca dei fatti. 2. Giova rilevare come, secondo il chiaro enunciato normativo, l'art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen. punisca - con le pene stabilite dal primo comma applicate congiuntamente - colui il quale fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro . 2.1. Ne discende che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti l'onere di prestare i mezzi di sussistenza, penalmente sanzionato, ha infatti un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile, potendo sussistere la fattispecie delittuosa di cui all'art. 388 cod. pen. qualora ricorrano i requisiti previsti da tale norma segnatamente il compimento di atti fraudolenti diretti ad eludere gli obblighi di cui trattasi Sez. 6, n. 895 del 25/11/1993 - dep. 1994, Cavallaro, Rv. 196946 . 2.2. D'altra parte, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, l'inabilità al lavoro rilevante ai sensi del citato art. 570, comma secondo, impone al genitore l'obbligo di corrispondere i mezzi di sussistenza anche al figlio maggiorenne va intesa, in base alla definizione contenuta negli artt. 2 e 12 della I. n. 118 del 1971, come totale e permanente inabilità lavorativa. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto insussistente il reato, in quanto al figlio maggiorenne, a cui l'imputato aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza, era stata riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa inferiore al 75% . Sez. 6, n. 23581 del 13/02/2013, L. P, Rv. 256258 . 2.3. Sulla scorta di quanto sopra, risulta di tutta evidenza l'insussistenza dei presupposti dell'incriminazione in oggetto. Come si evince dalla sentenza, alla data dell'inizio del delitto permanente 17 ottobre 2009, giusta contestazione , la figlia era ormai maggiorenne essendo nata il 4 dicembre 1985 d'altra parte, dalla ricostruzione in fatto tratteggiata in motivazione, risulta chiaro che la ragazza non era inabile al lavoro, tanto che svolgeva un lavoro con contratto part-time v. pagina 4 della sentenza . 3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, perchè il fatto non sussiste. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.