La Corte di Cassazione sul principio di correlazione tra accusa e sentenza

Cogliendo l’occasione di un ricorso avverso la condanna per il reato di sfruttamento della prostituzione, gli Ermellini ripercorrono le caratteristiche del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Sul tema la sentenza n. 741/19, depositata il 9 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello dell’Aquila confermava la sentenza di prime cure con cui l’imputato era stato dichiarato responsabile del reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. La sentenza viene impugnata con ricorso per cassazione. Correlazione tra accusa e sentenza. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza posto che la condotta inizialmente contestata era riferita all’induzione alla prostituzione e non al favoreggiamento. La Corte ritiene improponibile il motivo denunciato. La violazione del principio richiamato integra infatti una nullità a regime intermedio che può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza del grado immediatamente successivo. Se dunque il vizio si è verificato in primo grado, come nel caso di specie, la doglianza non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Ciò posto, la Corte precisa che resta comunque esclusa la sussistenza del vizio. Secondo la costante giurisprudenza infatti, si ha una violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza solo quando quest’ultimo si trovi in rapporto di eterogeneità o incompatibilità sostanziale con il fatto contestato, ovvero dove sia stata realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. Nel caso di specie, non è riscontrabile una sostanziale mutazione del fatto contestato poiché i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione erano chiaramente indicati in contestazione con il formale richiamo alle relative norme incriminatrici. In conclusione, ritenendo inammissibile anche la censura relativa alla sussistenza materiale del reato, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 ottobre 2018 – 9 gennaio 2019, numero 741 Presidente Lapalorcia – Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 04/04/2016, la Corte di appello dell’Aquila confermava la sentenza del 11.10.2013, con la quale C.P. era stato dichiarato responsabile del reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa ed alle correlate pene accessorie. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.P. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito riportati. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 521 c.p.p. per aver posto la sentenza a fondamento della condanna una condotta non contestata. Argomenta che con motivi di appello si era dedotto che era stata contestata la condotta di induzione alla prostituzione e non quella di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in ordine alla quale era stata, invece, emessa sentenza di condanna su tale motivo la Corte territoriale non aveva espresso alcuna valutazione. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Lamenta che sia il Tribunale che la Corte territoriale non avevano esposto adeguata motivazione in ordine alla sussistenza dei reati per cui era stata emessa condanna, non emergendo, in particolare, dalle risultanze istruttorie alcuna condotta agevolativa e difettando la prova del guadagno percepito. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso non è proponibile in questa sede ed è, comunque, manifestamente infondato. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità Sez 4, numero 19043 de 29/03/2017,Rv.269886 Sez.6 numero 31436 del 12/07/2012,Rv.253217 Sez.4, numero 14180 del 29/11/2005, dep.21/04/2006, Rv.233952 Sez.6 numero 10094 del 22/02/2005, Rv.231833 Sez.6, numero 8639 del 26/04/1999, Rv.214316 . Nella specie, il vizio denunciato, in quanto idoneo in ipotesi ad integrare una nullità a regime intermedio verificatasi in primo grado, non può essere fatto valere per la prima volta in questa sede ma doveva, a sensi dell’art. 180 c.p.p., essere dedotto fino alla deliberazione della sentenza di appello il che non è avvenuto, mancando al riguardo, nei motivi di appello, una censura specifica e articolata in merito. In ogni caso, il vizio dedotto è insussistente. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si ha violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi Sez. U, numero 36551 del 15/07/2010, Rv.248051 . Sicché, è stato affermato, non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa Sez. 6, numero 17799 del 06/02/2014,Rv.260156 Sez.6, numero 899 del 11/11/2014, dep.12/01/2015 Rv.261925 e che si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza solo se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa Sez.6, numero 6346 del 09/11/2012, dep.08/02/2013, Rv.254888 Sez.6, numero 899 del 11/11/2014, dep.12/01/2015, Rv.261925, cit ed è stato, inoltre, osservato, che ai fini della valutazione di corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 c.p.p. deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione Sez.6, numero 47527 del 13/11/2013, Rv.257278 . Nel caso di specie, non è riscontrabile alcuna sostanziale immutazione del fatto contestato o violazione del diritto di difesa i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione erano chiaramente indicati in contestazione sia con il richiamo formale delle relative norme incriminatrici che attraverso l’articolata descrizione del fatto e l’imputato, attraverso l’iter del processo, si è trovato nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. 2.1. Il reato di favoreggiamento della prostituzione consiste in qualsiasi comportamento oggettivamente idoneo a facilitare consapevolmente lo svolgimento dell’attività della prostituta, indipendentemente dal fine di lucro personale dell’agente che può anche mancare, essendo connotato il reato dal dolo generico e bastando la consapevolezza che il comportamento tenuto agevoli l’attività di prostituzione Sez. 3, numero 10177 del 11/07/1985, Rv. 170931 Sez. 3, numero 3588 del 13/03/1996, Rv. 204951 Sez.3, numero 47226 del 04/11/2005, Rv.233268 Sez.1, numero 39928 del 04/10/2007, Rv.237871 Sez.3, numero 11575 del 04/02/2009, Rv.243121 Sez. 3, numero 36595 del 22/05/2012, Rv. 253390 . Tale reato si perfeziona favorendo in qualsiasi modo la prostituzione altrui, non prevedendo la norma incriminatrice comportamenti corrispondenti ad una condotta tipica, ma essendo, invece, sufficiente al perfezionarsi degli elementi costitutivi del reato, una generica condotta avente un effetto di facilitazione che non deve necessariamente avere il carattere dell’abitualità connessa ad una reiterazione di atti, per cui va considerato favoreggiamento della prostituzione qualsiasi interposizione, anche occasionale, purché sia tale da agevolare la prostituzione di una persona ex plurimis sez. 3 numero 10938 del 31.10.2001 conf. Sez. 3, 25.6.2002 Marchioni sez. 4 numero 4842 del 2.12.2003 . 2.2. Il reato di sfruttamento della prostituzione, che non è reato necessariamente abituale, consiste in qualsiasi consapevole e volontaria partecipazione, anche occasionale, ai proventi dell’attività di prostituzione Sez.3, numero 98 del 24/11/1999, dep.11/01/2000, Rv.215061 Sez.3, numero 19644 del 11/03/2003, Rv.224289 Sez.3, numero 21089 del 27/02/2007, Rv.236738 nonché nella condotta di trarre qualche utilità, anche se non necessariamente economica, dall’attività sessuale della prostituta Sez. 3, numero 7608 del 20/05/1998, Rv. 211338 Sez. 3, numero 9065 del 11/07/1996, Rv. 206418 Sez. 3, numero 98 del 24/11/1999, dep. 11/01/2000 Rv. 215061 . Tale reato può concorrere con il reato di favoreggiamento della prostituzione, in quanto il reato di favoreggiamento della prostituzione e quello di sfruttamento della prostituzione hanno per oggetto condotte autonome e distinte, essendo lo sfruttamento finalizzato a trarre vantaggi economici o altre utilità giuridicamente rilevanti per l’agente, mentre il favoreggiamento è finalizzato ad agevolare l’attività di meretricio a prescindere da un eventuale profitto economico o altra utilità in favore dell’agente Sez. 3, numero 12919 del 13/10/1998, Rv. 212362 Sez.3, numero 40539 del 27/09/2007, Rv.238005 Sez.3, numero 15069 del 09/12/2015, dep.12/04/2016, Rv.266630 . 2.3.Nella specie, con accertamento di fatto, adeguatamente motivato e privo di vizi di manifesta illogicità insuscettibile pertanto di essere sottoposto al sindacato di legittimità, nonché in linea con i principi di diritto suesposti, la Corte di appello confermando e richiamando la valutazione del Tribunale, ha ritenuto che l’imputato, quale gestore del circolo privato omissis di omissis , aveva consapevolmente favorito e sfruttato l’esercizio della prostituzione all’interno del predetto locale, mettendo a disposizione delle ragazze i privè presenti nel locale e traendo guadagno dal provento della loro attività di prostituzione, facendosi pagare direttamente dai clienti le consumazioni ad un prezzo maggiorato e determinato proprio in funzione degli atti sessuali compiuti dalle ragazze. Il ricorrente, peraltro, si limitane sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie. 3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.