Nemmeno il “carcere duro” ferma il Garante dei detenuti

In caso di sottoposizione del detenuto al regime carcerario ex art. 41-bis ord. pen., vige un doppio binario. Il direttore dell’istituto penitenziario può negare ai Garanti locali il colloquio semplice non riservato, ex art. 18 ord. pen. col detenuto, solo quando reputa ledibili gli interessi statali sottesi al più rigoroso regime carcerario.

Se concessi, i colloqui non possono essere comunque computati nel numero massimo di quelli consentiti ex art. 41- bis , comma 2- quater , lett. b , ord. pen Invece, nessun limite soffre il Garante nazionale nella richiesta di colloqui riservati liberi, non sottoposti ad alcuna vigilanza . Così la Cassazione, Prima Sezione Penale, n. 474/2019, depositat l’8 gennaio. La vicenda processuale. Un locale Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato il reclamo del Ministero della Giustizia avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza, che aveva statuito che nessuna autorizzazione direttoriale fosse necessaria ad un Garante locale dei detenuti per poter colloquiare ex art. 18 ord. pen. con un sottoposto al rigido regime carcerario ex art. 41- bis ord. Pen Il Magistrato, investito a mezzo di reclamo ex art. 35- bis ord. pen. avverso le opposte determinazioni del direttore dell’istituto carcerario, aveva ritenuto che in assenza di specifica disposizione regolante la materia dei colloqui col Garante, questi – per la rivestita specifica funzione garantista dell’umanità delle condizioni carcerarie - non potesse essere rubricato a mero terzo” colloquiante ai sensi dell’art. 18 cit. Dunque nei suoi confronti non necessitasse autorizzazione né l’eventuale colloquio concesso fosse computato nel numero massimo di quelli concedibili. Il Ministero della Giustizia propose ricorso per Cassazione. I giudici di legittimità specificano come di seguito, distinguendo fra Garante nazionale e Garanti locali, diversamente istituiti dalle normative di settore, e fra generi di colloqui ammessi. Colloqui semplici non riservati . In caso di richiesta di colloqui semplici non riservati coi detenuti ex art. 18 ord. pen., andrebbe sempre concessa ai Garanti locali l’autorizzazione direttoriale, salvo specifico pericolo per le esigenze pubblicistiche sottese alla scelta del c.d. carcere duro. Pur in assenza di specifica disposizione, l’autorizzazione in realtà, per l’ontologica rilevanza costituzionale del Garante, si rivelerebbe, secondo gli Ermellini, una semplice formalità, in ogni caso da concedere. Altrettanto ragionevolmente i colloqui concessi al Garante non sarebbero rubricabili nel numero massimo consentito ex art. 37 reg. esec. ord. Pen La soluzione opposta finirebbe per comprimere il diritto degli altri ammessi al colloquio, compresi i familiari del detenuto. In caso di colloqui semplici nessuna distinzione va posta fra Garante nazionale e Garanti regionali e locali – istituiti da norme speciali -, tutti ammessi liberamente al colloquio. Colloqui riservati. In caso di richiesta di colloqui riservati col detenuto sottoposto al c.d Carcere duro, il direttore non può mai negare l’autorizzazione al Garante nazionale. La maggiore pericolosità del colloquio riservato per gli interessi sottesi alla scelta del più severo regime carcerario non può pregiudicare le profonde ragioni costituzionali che hanno condotto all’istituzione del Garante nazionale dei detenuti, per altro imposta anche dai protocolli internazionali. La richiesta può tuttavia provenire dal solo Garante nazionale – non dai Garanti locali -, a cui è specificamente consentito – ex art. 20, l. n. 195/2012 - di poter colloquiare col detenuto in forme più esclusive e riservate – senza alcun controllo visivo, auditivo o di presenza del personale penitenziario -.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 luglio 2018 – 8 gennaio 2019, n. 474 Presidente Iasillo – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. A.V.M., detenuto nella Casa circondariale di Sassari in quanto sottoposto al regime previsto dall’art. 41 bis ord. pen., aveva proposto reclamo, ai sensi dell’art. 35 bis ord. pen., avverso le determinazioni con le quali la Direzione dell’istituto penitenziario, in risposta alla richiesta di svolgere i colloqui con il Garante per le persone detenute del comune di Sassari, lo aveva autorizzato a effettuare un colloquio individuale, considerato però come sostitutivo del colloquio mensile con i familiari, da svolgersi secondo le procedure dell’audio e della videoregistrazione. Una decisione che la Direzione aveva motivato alla stregua della circolare D.A.P. n. 3618/6068, in base alla quale i colloqui del Garante sarebbero stati soggetti alla disciplina ordinaria in materia di colloqui, sicché anche in relazione ad essi sarebbero rimasti invariati i limiti normativamente previsti riguardanti la durata ed il numero massimo dei medesimi. 2. Con provvedimento in data 26/09/2017, il Magistrato di sorveglianza di Sassari aveva accolto il predetto reclamo e, per l’effetto, previa disapplicazione di ogni disposizione e determinazione amministrativa difforme, compresa la circolare n. 3651/6101 del 7/11/2013 e le disposizioni di servizio conformi, aveva stabilito che l’Amministrazione consentisse allo stesso A. di svolgere, ove ne avesse interesse, colloqui individuali con il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale in stanze senza vetro divisorio, senza controllo auditivo e senza che detti colloqui venissero computati nel numero massimo consentito dall’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b , ord. pen Secondo il Magistrato di sorveglianza, l’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b ord. pen., non avrebbe previsto, per i detenuti appartenenti al circuito detentivo speciale, regole speciali per i colloqui con il garante. Nondimeno, ciò non avrebbe potuto significare che essi non fossero possibili, essendo la figura del Garante prevista per tutti i detenuti e, anzi, richiedendosi per le persone sottoposte al regime di detenzione speciale un surplus di attenzione e vigilanza. In assenza di una disciplina positiva, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria avrebbe stabilito, con proprie circolari, che il Garante potesse accedere anche ai reparti destinati alla detenzione dei reclusi sottoposti al regime dell’art. 41 bis ord. pen., prevedendo che tale accesso avvenisse senza alcuna autorizzazione e che il Garante potesse interloquire con i detenuti, specificando, tuttavia, che non si trattasse di colloqui in senso tecnico e che, perciò, essi non andassero computati nel numero massimo dei colloqui previsti dalla legislazione primaria. Questa regolamentazione, ad avviso del Magistrato di sorveglianza, contrasterebbe con i principi posti dall’art. 18 ord. pen., secondo cui il Garante dovrebbe essere distinto sia dai congiunti che dai semplici terzi . Mentre per questi ultimi occorre una autorizzazione della Direzione, non sarebbe, infatti, ragionevole che essa sia richiesta anche per il Garante, essendo quest’ultimo investito di compiti di vigilanza nei confronti dell’organo dell’amministrazione da cui dipenderebbe l’autorizzazione all’accesso in carcere. Sotto altro profilo, sarebbe irragionevole sostenere che sia stata, da un lato, introdotta una figura che attribuisce maggiori spazi di tutela al detenuto e che, dall’altro lato, dalla sua introduzione derivi una diminuzione della possibilità di incontro con i familiari. 3. Avverso tale decreto aveva proposto impugnazione il Ministero della Giustizia, rappresentato dalla Avvocatura dello Stato, sostenendo che la disciplina richiamata dal magistrato di sorveglianza riguardasse, esclusivamente, il Garante nazionale, laddove il Garante locale avrebbe, quale ambito delle sue competenze, la verifica della fruizione dei diritti e dei servizi la cui tutela è di competenza dell’ente locale sicché non si potrebbe ipotizzare che un Garante locale possa essere attributario di funzioni di verifica nei confronti dell’Amministrazione penitenziaria, la cui normazione è assegnata unicamente allo Stato. 4. Tuttavia, con provvedimento in data 1/02/2018, il Tribunale di sorveglianza di Sassari aveva respinto il reclamo in questione, rilevando come la distinzione tra garante nazionale e garante locale prospettata dal ricorrente fosse infondata e come, per converso, la decisione del magistrato si fosse ispirata alla assenza di previsione di norme riferibili ai colloqui con il Garante, sia esso nazionale o locale, da parte dei detenuti soggetti al regime dell’art. 41 bis ord. pen., oltre che al principio di ragionevolezza, in base al quale l’accesso al circuito di cui all’art. 41 bis, da parte del garante non può ritenersi soggetto alla approvazione della Direzione, diretta interlocutrice dello stesso garante e in base al quale l’equiparazione del colloquio con il Garante a quello con i familiari comporterebbe l’elisione, per il mese in cui venisse effettuato il colloquio con lo stesso Garante, della possibilità di vedere i propri familiari proprio per quella categoria di detenuti che già vedono considerevolmente ridotta tale possibilità. Ciò tanto più ove si consideri che la figura del Garante costituisce, per tutti i reclusi, prescindendo dal relativo circuito detentivo, una ulteriore garanzia di tutela dei loro diritti. 5. Avverso il predetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione la Direzione della Casa circondariale di Sassari, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, deducendo, con un unico articolato motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b . In particolare, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 41 bis ord. pen., in relazione agli artt. 18, 35 e 67 ord. pen Invero, al contrario di quanto ritenuto dal Magistrato di sorveglianza, l’art. 18 ord. pen., non si riferirebbe ai Garanti comunali, diversamente dall’art. 67 ord. pen., dettato in tema di diritto di visita, il quale prevede che esso spetti ai Garanti dei diritti dei detenuti, comunque denominati , e dall’art. 35 ord. pen., in tema di legittimazione alla proposizione del reclamo, attribuita al Garante Nazionale e ai Garanti Regionali o Locali dei diritti dei detenuti l’art. 18, quindi, non conterrebbe un’analoga estensione della platea dei soggetti considerati. In ogni caso, per i detenuti soggetti al regime detentivo speciale, l’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b , ord. pen., definendo un regime di particolare rigore rispetto al caso dei detenuti soggetti alla disciplina ordinaria, imporrebbe che il Garante locale comunale resti assoggettato alla disciplina propria del colloquio con altre persone . Ferma restando, per tale categoria di detenuti, la possibilità, pacificamente contemplata dalle circolari del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziario, che i Garanti locali possano, ai sensi dell’art. 67 ord. pen., interloquire con i detenuti , senza che tali interlocuzioni debbano essere computate ai fini del raggiungimento dei limiti numerici previsti dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37, comma 8 . 6. In data 6/04/2018, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta con la quale il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso. Ciò in quanto l’Amministrazione ricorrente riproporrebbe, in sede di impugnazione, le medesime doglianze sollevate in sede di reclamo, prospettando violazioni di legge senza, però, confrontarsi con la lettura della normativa fatta propria dal Magistrato di sorveglianza e condivisa dal Tribunale di sorveglianza ove si evidenzia che, in assenza di una previsione di norme recettive riferibili a colloqui con il garante, sia esso nazionale o locale, il principio di ragionevolezza consente di escludere che il colloquio con il garante possa essere equiparato a quello con familiari, con conseguente elisione per il mese in cui verrebbero effettuati i colloqui con il garante dei colloqui con i familiari . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 2. Preliminarmente, deve ravvisarsi la piena competenza del Magistrato di sorveglianza di Sassari sulle questioni dedotte, atteso che il Tribunale di sorveglianza di Roma, secondo la regola posta dall’art. 41 bis, comma 2 sexies, ord. pen. come modificato dalla legge 15 luglio 2009 n. 94 , ha competenza esclusiva sulla sola sussistenza dei presupposti per la adozione del provvedimento di applicazione del regime differenziato previsto dall’art. 41 bis ord. pen. laddove è, invece, rimesso alla competenza del Magistrato di sorveglianza nella cui circoscrizione abbia sede l’istituto penitenziario cui è assegnato il detenuto reclamante così Sez. 1, n. 34529 del 9/07/2015, Confl. comp. in proc. Piromani, Rv. 264289 Sez. 1, n. 37835 del 10/09/2015, Confl. comp. in proc. Russo, Rv. 264622 , il controllo generale di legalità sull’operato dell’Amministrazione penitenziaria, ivi comprese le disposizioni del decreto ministeriale di applicazione del regime de quo eventualmente lesive dei diritti soggettivi delle persone sottoposte cfr. sentenza n. 190/2010 della Corte costituzionale controllo che deve essere esercitato attraverso lo strumento del rimedio giurisdizionale previsto dall’art. 35 bis ord. pen., introdotto dal D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, art. 3, convertito in L. 21 febbraio 2014, n. 10. 3. Venendo al merito delle questioni poste, giova in primo luogo ricordare che l’istituzione, ad opera del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, conv. in L. 21 febbraio 2014, n. 10, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale di seguito Garante nazionale costituisce il momento finale di un processo nel corso del quale il nostro Paese si è fatto carico di recepire le ripetute sollecitazioni che, in ambito sovranazionale, hanno affermato la necessità di approntare efficaci strumenti di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale. Una sollecitazione che, storicamente, ha tratto alimento dalle esperienze virtuose, affermatesi nei paesi anglosassoni di common law e dell’area scandinava sul modello del cd. ombudsman, istituito in Svezia nel 1809 con il fine di controllare l’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Lungo questa direttrice, sono state emanate - a livello Europeo - la Raccomandazione R 1975 757 dell’Assemblea Parlamentare, adottata il 29/01/1975, e la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa R 1985 13, adottata il 23/09/1985, con cui gli Stati membri sono stati invitati a considerare l’opportunità di istituire un Ombudsman o una figura similare , rimarcando la necessità di una garanzia ulteriore, al contempo più semplice, più rapida e più agevole dei ricorsi giurisdizionali vigenti . E successivamente, la Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti , adottata il 26/06/1987 e aperta alla firma il 26/11/1987, ha istituito il cd. Comitato per la prevenzione della tortura CPT , composto da soggetti esperti, indipendenti e imparziali, nominati da ciascuno Stato contraente, che esamina, per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private della libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani o degradanti art. 1 , al fine di proteggere, in via preventiva, le persone private della libertà dalla tortura o dall’esecuzione di pene o trattamenti inumani o degradanti. Anche le Regole penitenziarie Europee del 1987 adottate con Raccomandazione R 1987 - 3 dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 12 febbraio 1987 hanno previsto, nella regola 4, che Ispettori qualificati e dotati di esperienza, nominati da una autorità competente, devono procedere alla ispezione regolare degli istituti e servizi penitenziari. Il loro compito deve consistere, in particolare, nel sorvegliare se ed in quale misura questi istituti sono amministrati conformemente alle leggi ed ai regolamenti in vigore, agli obiettivi dei servizi penitenziari e alle norme contenute in queste regole . Mentre le Regole del 2006, adottate l’11/01/2006 dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa con Raccomandazione R 2006 2, stabiliscono, alla regola 9, che le strutture penitenziarie devono essere oggetto di una regolare ispezione governativa così come di un controllo da parte di un’autorità indipendente . Ma, ai fini che qui interessano, assume rilievo soprattutto il Protocollo opzionale della Convenzione ONU contro la tortura, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 9/01/2003 n. 57/199 ed entrato in vigore il 22/06/2006, la cui parte IV è dedicata ai meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione artt. 17-23 . Tale Protocollo, che l’Italia ha firmato il 20/08/2003 e ha ratificato con la I. 9/11/2012, n. 195 con deposito dello strumento di ratifica il 3/04/2013 , prevede, all’art. 1, l’istituzione di un sistema di visite regolari svolte da organismi indipendenti nazionali e internazionali nei luoghi in cui le persone sono private della libertà, al fine di prevenire la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti , nonché la costituzione di meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura a livello interno art. 17 , cui saranno garantiti il potere di sottoporre a regolare esame il trattamento di cui sono oggetto le persone private della libertà nei luoghi di detenzione art. 19, lett. a , nonché di formulare raccomandazioni alle autorità competenti al fine di migliorare il trattamento e le condizioni in cui versano le persone private della libertà e di prevenire la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti art. 19, lett. b . Mentre la maggior parte degli stati aderenti ha deciso di attribuire i compiti indicati dal Protocollo ai Difensori civici già esistenti è il caso, tra gli altri, di Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia , altri stati, tra cui l’Italia, hanno optato per la creazione di nuovi organismi. In questa prospettiva, sono stati istituiti garanti regionali Campania, Emilia-Romagna, Friuli, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto , provinciali Avellino, Enna, Ferrara, Gorizia, Lodi, Massa Carrara, Milano, Monza Brianza, Padova, Pavia, Trapani, Trento e comunali tra gli altri, Alessandria, Asti, Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Busto Arsizio, Enna, Ferrara, Firenze, Fossano, Ivrea, Lecco, Livorno, Lucca, Milano, Nuoro, Parma, Pescara, Piacenza, Pisa, Pistoia, Porto Azzurro, Prato, Reggio Calabria, Rimini, Roma, Rovigo, San Gimignano, San Severo, Sassari, Sondrio, Sulmona, Tempio Pausania, Torino, Trieste, Udine, Venezia, Verbania, Vercelli, Verona, Vicenza , che l’ordinamento penitenziario ha riconosciuto formalmente con il D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito con L. 27 febbraio 2009, n. 14, che ha modificato, tra l’altro, la formulazione degli artt. 18 e 67 ord. pen La prima disposizione, infatti, come modificata dall’art. 12 bis, comma 1, lett. a , del citato decreto legge, ha previsto il garante dei diritti dei detenuti tra coloro con i quali i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui . Mentre l’art. 67 ord. penit., che disciplina le visite in istituto, nell’individuare i soggetti istituzionali legittimati a visitare gli istituti penitenziari senza previa autorizzazione, vi colloca anche, alla lettera I-bis del comma 1, i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati , alludendo con questa non felicissima formula proprio alle diverse figure istituite a livello regionale, provinciale, comunale. Il percorso di attuazione del processo di omologazione dell’ordinamento interno alle sollecitazioni degli istituzioni sovranazionali ha segnato una tappa fondamentale con l’emanazione del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, conv. in L. 21 febbraio 2014, n. 10, al quale si deve l’introduzione della figura del Garante nazionale, competente non soltanto nei casi di persone detenute negli istituti penitenziari, ma anche di quanti si trovino in altre strutture, quali gli ospedali psichiatrici giudiziari, le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, le comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunità di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria , nonché ancora i centri di identificazione ed espulsione e le camere di sicurezza in forza della nuova previsione dell’art. 67 bis ord. pen L’art. 7 del citato decreto indica analiticamente, al comma 5, le funzioni del Garante funzioni di vigilanza affinché l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti funzioni di verifica circa il rispetto degli adempimenti connessi ai diritti previsti agli artt. 20, 21, 22, e 23, del regolamento di cui al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, presso i centri di identificazione e di espulsione previsti dall’art. 14 del testo unico di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e, infine, funzioni di formulazione di specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata nel caso in cui siano state accertate violazioni di norme giuridiche ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’art. 35 ord. pen Ora, a fronte della minuziosa, indicazione delle competenze funzionali dell’organismo di nuovo conio, la legge istitutiva non ha proceduto a una specificazione, altrettanto puntuale, degli strumenti di indagine e di intervento, i quali, dunque, devono essere ricostruiti attraverso il richiamo alle singole norme dell’ordinamento penitenziario, interpretate, com’è ovvio, in modo sistematico. 4. Uno dei principali strumenti di controllo è costituito, come già osservato, dalle visite in istituto. L’art. 67 ord. penit. stabilisce che gli istituti penitenziari possono essere visitati senza autorizzazione da una serie di soggetti istituzionali - dai magistrati di sorveglianza al direttore del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, dai ministri ai giudici costituzionali, dai parlamentari ai componenti del Consiglio superiore della magistratura gli ispettori generali et cetera - accanto ai quali sono indicati anche i garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati comma 1, lett. l bis . Nessun dubbio, sul piano interpretativo, che in tale nozione rientrino, oltre al Garante nazionale, anche i garanti locali, tale soluzione imponendosi alla luce della locuzione comunque denominati , la quale allude certamente alle diverse figure di garante istituite a livello regionale, provinciale, comunale, con esclusione di quelli nominati da associazioni private, secondo quanto riconosciuto dalla Circ. min. 7/11/2013, n. 3651/6101 la quale ha precisato che per garante si intende un organo pubblico istituito con atto normativo emanato dallo Stato o da enti pubblici territoriali comuni, province e regioni , con esclusione di figure che, pur fregiandosi di analoga qualifica, promanino da associazioni o gruppi di natura private . Sotto questo profilo, la norma aveva, all’origine, un carattere di significativa novità, mirando a sottrarre i garanti alla necessità di munirsi, al fine di accedere in istituto, della preventiva autorizzazione discrezionale dell’Amministrazione penitenziaria ai sensi dell’art. 17 ord. pen. oppure come assistenti volontari ex art. 78 ord. pen., secondo quanto avveniva in precedenza. Lo scopo delle visite in istituto è indicato al D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 117, rubricato Visite agli istituti , secondo cui le visite . sono rivolte particolarmente alla verifica delle condizioni di vita degli stessi, compresi quelli in isolamento giudiziario . Al fine di consentire ai garanti di svolgere la loro funzione di verifica delle condizioni di vita, del trattamento penitenziario e rieducativo, essi possono ovviamente compiere delle ricognizioni dello stato dei luoghi, accedendo alle strutture detentive e parlando con le persone recluse, ferme restando le limitazioni stabilite dal citato art. 117 reg. esec. ord. penit., secondo cui non è consentito fare osservazioni sulla vita dell’istituto in presenza di detenuti o internati, o trattare con imputati argomenti relativi al processo penale in corso . In proposito, con la circolare D.A.P. 7/11/2013, n. 3651/6101 intitolata nuovo testo unico delle disposizioni dipartimentali in materia di visite agli istituti penitenziari ex art. 67 o.p. , è stato stabilito che i garanti possono interloquire con i detenuti purché in lingua italiana e, comunque, in lingua comprensibile al direttore o a un suo delegato presente specificandosi che in occasione di tali interlocuzioni, le quali non sostanziano i colloqui in senso tecnico previsti dall’art. 18 ord. pen., i garanti, così come le altre autorità individuate nell’art. 67 ord. pen., possono rivolgere la parola ai detenuti e agli internati allo scopo di verificare le condizioni di vita del detenuto, la conformità del trattamento ad umanità, il rispetto della dignità della persona, senza alcun riferimento al processo o ai processi in corso . Tuttavia - prosegue la circolare - tali dialoghi non possono travalicare in veri e propri colloqui e/o interviste, specialmente se vertenti sui contenuti espressamente vietati dall’art. 117, comma 1, secondo periodo reg. esec., cioè se concernono processi in corso e osservazioni sulla vita in istituto , dovendo in tal caso il direttore o il suo delegato richiamare i soggetti colloquianti ovvero interrompere il colloquio allontanando il detenuto. 5. Come anticipato, l’art. 18 ord. pen., come modificato dal D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 12 bis, comma 1, lett. a , convertito con L. 27 febbraio 2009, n. 14, ha previsto il garante dei diritti dei detenuti tra i soggetti con i quali i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui . Anche in questo caso non possono esservi dubbi sul fatto che nella nozione di garante rientrino tutte le tipologie di garante comunque denominate , secondo la locuzione utilizzata dall’art. 67 ord. pen Ciò per l’ovvia considerazione che, quando la norma fu emanata, il Garante nazionale non era stato ancora istituito, sicché le figure alle quali essa si riferiva erano proprio quelle dei garanti locali, istituiti da regioni, province o comuni. Dunque, deve ritenersi pacifico che anche i garanti locali possano effettuare dei colloqui ai sensi dell’art. 18 ord. pen. colloqui che, pertanto, ricadono nella disciplina dettata da tale disposizione, oltre che dalle norme attuative previste nel regolamento di esecuzione e, segnatamente, dal D.P.R. n. 230 del 2000, art. 37. Ne consegue che, secondo quanto stabilito dall’articolo menzionato, tali forme di colloquio sono sottoposte a formale autorizzazione da parte dell’autorità competente prevista dai commi 1 e 2 secondo cui i colloqui dei condannati, degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado sono autorizzati dal direttore dell’istituto , mentre per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i richiedenti debbono presentare il permesso rilasciato dall’autorità giudiziaria che procede e con le modalità contemplate dal successivo comma 5, secondo cui essi avvengono in locali interni senza mezzi divisori o in spazi all’aperto a ciò destinati e, in ogni caso . si svolgono sotto il controllo a vista del personale del Corpo di polizia penitenziaria . Modalità che, quindi, garantiscono quella riservatezza che invece non caratterizza gli scambi verbali conseguenti alla visita. Nondimeno, non può non rilevarsi che il Garante, comunque denominato, è chiamato ad assolvere a un ruolo istituzionale di controllo e, pertanto, di tutela, tanto è vero che il colloquio con il medesimo può essere finalizzato a consentire al detenuto di presentare reclami orali ex art. 35 n. 3 ord. pen., oltre che di rappresentare, in tale sede, questioni attinenti alla vita carceraria in specie, quanto ai Garanti regionali, con riferimento alla tutela della salute, ormai di competenza del servizio sanitario regionale, quanto ai Garanti locali, su temi che possono concernere i contatti con il territorio con organizzazioni di volontariato, con gli enti locali per prospettive lavorative ecc. . E ciò finisce necessariamente per riverberarsi sul relativo regime giuridico, quantomeno sotto due profili, tra i più problematici tra quelli che una disciplina frutto di disarmoniche stratificazioni ha finito per determinare. Sotto un primo aspetto, va osservato che l’art. 37 ord. esec. non sottrae il Garante alla necessità di una previa autorizzazione del colloquio e, tuttavia, non ne stabilisce il regime giuridico, ovvero se esso debba essere sempre autorizzato come avviene per i familiari del detenuto ovvero se esso possa esserlo, come avviene per le altre persone diverse dai congiunti , soltanto se ricorrono ragionevoli motivi . Tale questione, nondimeno, è destinata a perdere gran parte della sua rilevanza ove si consideri che, anche a voler ammettere che il regime applicabile sia quello proprio delle persone diverse dai congiunti , ciò dovrebbe, comunque, necessariamente accompagnarsi a un affievolimento delle possibilità, per l’amministrazione penitenziaria, di limitare l’accesso del Garante, posto che, in caso contrario, si ridurrebbero le possibilità di contatto e di comunicazione del predetto, di tal che, ritenendo che i ragionevoli motivi siano immanenti alla funzione svolta dal Garante e, come tali, sempre sussistenti, in ogni caso l’autorizzazione ai colloqui non potrebbe essere, almeno tendenzialmente, negata, salvo la ricorrenza di situazioni eccezionali. Sotto altro profilo, quanto alla computabilità dei colloqui nel numero massimo stabilito dall’art. 37 reg. esec., alla tesi affermativa che argomentasse, ancora una volta, dalla mancanza di qualunque deroga espressa per i Garanti, dovrebbe comunque opporsi che la sottoposizione dei colloqui svolti con questi ultimi al limite quantitativo stabilito dall’art. 37, comma 8 reg. esec., finirebbe per avere ripercussioni negative sui contatti con la famiglia, sostanzialmente riducendo gli spazi dell’offerta trattamentale, sia pure a beneficio di interventi volti a verificare le condizioni di vita del detenuto. Una soluzione, quella qui preferita, che sarebbe del tutto irragionevole, ponendo il detenuto di fronte alla alternativa di esercitare il suo diritto al mantenimento delle relazioni familiari ovvero di esercitare il diritto di accedere a una forma di tutela extragiudiziaria, la cui rilevanza è stata, come detto, affermata in più occasioni in sede sia interna che sovranazionale. 6. Diverso dallo strumento del colloquio ai sensi dell’art. 18 ord. pen. è quello del colloquio riservato , il quale, diversamente dal primo, si svolge senza alcuna forma di controllo, né auditivo, né visivo, da parte del personale di polizia penitenziaria. Questa forma, particolarmente importante, di esercizio delle prerogative dell’organo è specificamente prevista soltanto con riferimento alla figura del Garante nazionale. Quest’ultima, infatti, è stata istituita con D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 convertita in L. 21 febbraio 2014, n. 10, che sul punto ha inteso dare attuazione al Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura cd. OPCAT , trattato internazionale contro la tortura adottato dalle Nazioni Unite il 18/12/2002, che l’Italia ha firmato in data 20/08/2003 e ratificato con la legge 9/11/2012, n. 195 con deposito strumento ratifica il 3/04/2013 . L’OPCAT, entrato in vigore nel giugno 2006, ha, da un lato, istituito, a livello internazionale, un nuovo organismo, denominato Sottocomitato delle Nazioni Unite sulla prevenzione della tortura SPT , e, dall’altro, ha previsto che gli Stati parte abbiano l’obbligo di creare o designare, entro un anno dalla ratifica del Protocollo, appositi organismi indipendenti, i c.d. Meccanismi nazionali di prevenzione NPMs , aventi il compito di svolgere visite regolari nei luoghi di detenzione e di formulare raccomandazioni e osservazioni ai Governi e alle autorità competenti per migliorare la condizione delle persone detenute. In tale contesto, il Protocollo opzionale e la legge di ratifica ed esecuzione n. 195 del 2012, stabiliscono, all’art. 20, che, allo scopo di mettere i meccanismi nazionali di prevenzione in condizione di espletare il loro mandato, l’obbligo per gli Stati Parti di garantire ad essi la possibilità di avere colloqui riservati con le persone private della libertà, senza testimoni, direttamente o tramite un interprete se ritenuto necessario, nonché con qualunque altra persona che i meccanismi nazionali di prevenzione ritengano possa fornire informazioni rilevanti lett. d possibilità che, dunque, deve essere riconosciuta al solo Garante nazionale, siccome individuato quale Meccanismo nazionale di prevenzione dal D.M. 11 marzo 2015, n. 36, recante il Regolamento sulla struttura e composizione del Garante cfr. sul punto anche la Circolare DAP 18/05/2016, Istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale compiti e poteri . Viceversa, i garanti locali, comunque denominati, non hanno questa possibilità, che è agli stessi espressamente riconosciuta unicamente in relazione alla corrispondenza epistolare, secondo quanto previsto dall’art. 35 ord. pen. che consente l’invio, anche al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti , di istanze e reclami in busta chiusa, la quale dovrà riportare all’esterno la dicitura riservata . 7. Occorre, in conclusione, verificare se e a quali condizioni la disciplina fin qui delineata trovi applicazione con riferimento ai detenuti sottoposti al regime dell’art. 41 bis ord. pen In proposito, va osservato, in premessa, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio ritiene di dare continuità, l’art. 41 bis ord. pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di sospendere in tutto o in parte l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti ed internati, in correlazione con una pericolosità qualificata degli stessi, senza che, tuttavia, tale norma demandi in toto alla competenza ministeriale i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di una pericolosità qualificata e, soprattutto, senza che essa abbia dettato una regolamentazione speciale dell’istituto, che si sovrapponga totalmente a quella ordinaria. In questa prospettiva, questa Corte ha già sottolineato come il contenuto del regime detentivo speciale risulti regolato dalla legge con previsioni operanti su un doppio livello Sez. 1, n. 49726 del 26/11/2013, Ministero della Giustizia in proc. Catello, Rv. 258421 Sez. 1, n. 49725 del 26/11/2013, Ministero Giustizia in proc. Dell’Aquila, Rv. 258764 . Un primo livello, per così dire generale , caratterizzato dalla regola della proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime ordinario che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura è finalizzata. Il secondo livello di regole, invece, indica i concreti contenuti del regime, costituiti, oltre che dalle previsioni del decreto ministeriale, dalle specifiche disposizioni del regime differenziato, nonché dalla norme ordinamentali con queste ultime non assolutamente incompatibili. Ciò significa che, in assenza di specifiche previsioni contenute nel decreto ministeriale, anche per il detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit., possono trovare applicazione le norme dell’ordinamento penitenziario non oggetto di sospensione norme che, per quanto qui di interesse, concernono, in primo luogo, il diritto di accesso, visita dei garanti, anche locali, e di interlocuzione con i detenuti e, a seguire, la materia dei colloqui. Con riferimento ai colloqui cd. riservati , l’unica figura legittimata al loro espletamento, in virtù della già richiamata disciplina dettata dalla L. 9 novembre 2012, n. 195, art. 20, è il Garante nazionale cfr. la Circolare sulla Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis o.p. , che all’art. 16.6 stabilisce che tale organo, in quanto Organismo di monitoraggio indipendente NPM secondo la convenzione di New York del 18/12/2002, accede senza limitazione alcuna all’interno delle sezioni 41-bis incontrando detenuti ed internati e potendo svolgere con essi incontri riservati senza limiti di tempo . Viceversa i colloqui ordinari, disciplinati dall’art. 18 ord. pen., possono essere effettuati, secondo la regola generale stabilita da tale disposizione, da tutte le diverse tipologie di garante, da quello nazionale a quelli locali. Fermo restando che il Garante nazionale, avendo la facoltà di effettuare i colloqui riservati, non avrà bisogno di eseguire i colloqui ordinari, i quali, come appresso si dirà, sottostanno, in particolare per i detenuti sottoposti al regime più restrittivo, a significative limitazioni. La circostanza che tutte le tipologie di garanti, anche locali, possano effettuare i colloqui ex art. 18 ord. pen., deriva dal principio di diritto, già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ulteriori limitazioni, al di là di quelle previste, non siano possibili, salvo che derivino da un’assoluta incompatibilità della norma ordinamentale - di volta in volta considerata - con i contenuti normativi tipici del regime differenziato . Assoluta incompatibilità che non può nel caso di specie ravvisarsi, atteso che l’art. 41 bis ord. pen. non disciplina espressamente il colloquio con il Garante. Invero, l’art. 41 bis, comma 2 quater, lett. b , stabilisce un regime di particolare rigore in materia di colloqui, sia sul piano della quantità degli stessi, che dei soggetti ammessi alla relativa fruizione, che delle modalità di svolgimento, dovendo essi avvenire in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti , essere videoregistrati e sottoposti a controllo auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente ai sensi dell’art. 11, medesimo comma 2 . Tutte disposizioni che sono destinate ad applicarsi a ogni tipologia di colloquio ex art. 18 ord. pen., ivi compreso quello del Garante locale, stante il carattere generale della relativa previsione e le connesse esigenze di documentazione dei contatti con il mondo esterno, che, in quanto contenuta in una norma primaria, non è certamente suscettibile di disapplicazione. Quanto, poi, alle ulteriori limitazioni, attinenti al numero e al regime autorizzatorio, una interpretazione sistematica della funzione del colloquio con il Garante non può non obliterarne gli elementi peculiari, che attengono al ruolo istituzionale del medesimo e alle esigenze di preservare alcuni tipi di legame con l’esterno, ancorché essenzialmente riconducibili all’ambito delle relazioni familiari. Sul punto, non sembra discutibile che il colloquio con il Garante debba essere necessariamente distinto, per la diversa funzione assolta, da quello del familiare. E, tuttavia, esso non può nemmeno essere assoggettato, senza alcuna distinzione, al regime previsto per gli eccezionali colloqui con i terzi. In proposito, va osservato, innanzitutto, come il divieto di colloqui con persone diverse dai congiunti e conviventi non possa considerarsi un divieto in senso proprio, dal momento che l’art. 41 bis, comma 2 quater, stessa lett. b , dopo avere affermato, formalmente, l’esistenza del divieto sono vietati i colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi , in realtà stabilisce, subito dopo, la possibilità che il direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, l’autorità giudiziaria competente ex art. 11, comma 2, ord. pen. consentano, in casi eccezionali determinati volta per volta , lo svolgimento di tale tipo di colloquio. Dunque, mentre il colloquio con i familiari rectius con i congiunti e conviventi non può essere tendenzialmente impedito, in quanto riconducibile all’ambito dei diritti fondamentali del detenuto salva l’ovvia possibilità di limitazioni per specifiche persone in presenza di comprovate esigenze di sicurezza , il colloquio con i terzi è sostanzialmente rimesso all’apprezzamento discrezionale dell’organo competente, chiamato a vagliare la ragionevolezza dei motivi della richiesta di colloquio, peraltro in una cornice che ne sottolinea il carattere sostanzialmente episodico. Nondimeno, nel caso del garante locale, l’eccezionalità dell’ingresso di soggetti diversi dai familiari deve essere resa compatibile con la possibilità, per l’organo di controllo, di esercitare la sua attività istituzionale e ciò senza detrimento per le esigenze connesse al mantenimento delle relazioni familiari. Ciò che, per un verso, significa che il colloquio con il garante non potrà essere considerato alternativo a quello con i familiari e che, in ogni caso, l’autorità competente all’amministrazione, pur potendo negare il colloquio, potrà farlo soltanto in presenza di. specifiche e comprovate ragioni, di cui dovrà dare compiutamente conto nel provvedimento di eventuale rigetto della richiesta. 8. Tanto premesso, deve conclusivamente osservarsi che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Sassari, confermato in sede di reclamo, ha ritenuto che anche per i colloqui del Garante locale con i detenuti in regime di 41-bis ord. pen. potesse disporsene, con interpretazione sistematica qui disattesa, la realizzazione con modalità riservata e, dunque, senza alcuna possibilità di videoregistrazione. Consegue, dunque, alle considerazioni che precedono che il ricorso deve essere accolto, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Sassari, affinché rivaluti il reclamo proposto dall’Avvocatura dello Stato alla luce della delineata cornice di principio. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Sassari.