Contestazione a catena di reati e retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare

Per parlare di contestazione a catena”, con la possibilità di applicare la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, è necessario che i reati oggetto dell’ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 53069/18, depositata il 26 novembre. La vicenda. L’imputato ricorre per cassazione avverso la decisione del Tribunale del riesame che confermava l’ordinanza applicativa della misura cautelare della detenzione in carcere disposta dal GIP con riferimento al reato di concorso di rapina aggravata e violazione dell’art. 497- ter c.p.p. Contestazione a catena. Le Sezioni Unite della Suprema Corte per spiegare al meglio la contestazione di reati diversi, collegabili tra loro, riconosce tre distinte situazioni, all’interno delle quali, però, perché si parli di contestazione a catena” e si possa applicare la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, è necessario che i reati oggetto dell’ordinanza cautelare posteriore cronologicamente siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore . Le tre situazioni descritte dalla Suprema Corte. La prima situazione riportata dal Supremo Collegio è quella in cui le due ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto reati legati tra loro da concorso formale o da connessione qualificata e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In tale ipotesi trova applicazione la prima parte del comma 3 dell’art. 297 c.p.p., ossia la disposizione secondo cui la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura operi automaticamente. La seconda situazione è quella in cui le due ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto reati legati tra loro da connessione qualificata, ma abbia trovato spazio il decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. In questa ipotesi si applica la seconda parte del suddetto comma 3, cosicché la suddetta retrodatazione opera solo sei i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio. Infine, la terza situazione è quella in cui i reati oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione oppure sia configurabile una connessione non qualificata. In tale ipotesi la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta nei casi in cui, pur potendo essere adottati i provvedimenti coercitivi in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze . Ebbene, il caso in esame rientra nella seconda situazione sopra descritta e per quanto detto il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 settembre – 26 novembre 2018, n. 53069 Presidente Diotallevi – Relatore Verga Ritenuto in fatto Ricorre per Cassazione C.G. avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano che il 19.4.2018 ha confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare della detenzione in carcere disposta il 28.2.2018 dal GIP del Tribunale di Monza con riguardo al reato di concorso in rapina aggravata e violazione dell’art. 497 ter c.p.p Il Tribunale in particolare respingeva la richiesta di retrodatazione della misura alla data del 19.1.2017 avanzata dalla difesa ex art. 297 co 3 c.p.p. ritenendo che non vi fosse connessione qualificata fra i fatti oggetto dell’arresto in flagranza del 19.1.2017 violazione degli artt. 110, 624bis e 497 c.p. e quelli oggetto della misura in esame perché, considerato anche la data di commissione dei reati, non era ipotizzabile la sussistenza di una identità di disegno criminoso, così come non erano stati forniti elementi che consentivano di ritenere che l’A.G. procedente, all’epoca dell’arresto del C. potesse desumere gli ulteriori fatti oggetto del presente procedimento. Deduce il ricorrente vizio della motivazione e violazione dell’art. 297 co 3 c.p.p. rilevando con ampi argomentazioni espresse in tre motivi di ricorso che nel caso in esame si verte in connessione qualificata fra i fatti-reato di Imperia e Monza, con conseguente applicazione della retrodatazione indipendentemente dalla conoscenza o meno da parte del primo giudice dei fatti-reato di cui alla successiva ordinanza cautelare. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato. Nell’ambito dell’art. 297 co 3 c.p.p., seguendo il percorso argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni rispettivamente del 2005 e del 2006 Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10-11 Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, P.M. in proc. Rahulia ed altri, Rv. 231057-8-9 , con riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile - in linea schematica - riconoscere tre distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative. In tutti e tre i casi è, comunque, necessario, perché si possa parlare di contestazione a catena e perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore in questo senso, ex plurimis, Sez. 6^, n. 31441 del 2012, Rv. 253237 Sez. 6^, n. 15821, del 2014 Rv 259771 . La prima situazione è quella in cui le due o più ordinanze applicative di misure cautelari personali abbiano ad oggetto fatti - reato legati tra loro da concorso formale, continuazione o da connessione teleologica casi di connessione qualificata , e per le imputazioni oggetto del primo provvedimento coercitivo non sia ancora intervenuto il rinvio a giudizio. In queste circostanze trova applicazione la disposizione dettata dal primo periodo dell’art. 297 c.p.p., comma 3, che non lascia alcun dubbio sul fatto che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata della misura o delle misure applicate successivamente alla prima operi automaticamente e, dunque - impiegando le parole delle Sezioni unite di questa Corte - indipendentemente dalla possibilità, al momento della emissione della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le relative misure . Automatica retrodatazione della decorrenza dei termini che risponde all’esigenza di mantenere la durata della custodia cautelare nei limiti stabiliti dalla legge, anche quando nel corso delle indagini emergono fatti diversi legati da connessione qualificata così C. Cost., 28 marzo 1996, n. 89 , e che si determina solo se le ordinanze siano state emesse nello stesso procedimento penale così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit. . La seconda situazione rappresenta una variante della prima, presupponendo comunque l’accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata sopra indicate, ma è caratterizzata dall’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate sentenze è irrilevante che gli stessi siano gemmazione di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini. In siffatta diversa situazione si applica la regola dettata dal secondo periodo dell’art. 297 c.p.p., comma 3, sicché la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza Cass. N. 42442 del 2013 Rv. 257380, N. 50128 del 2013 Rv. 258500 N. 17918 del 2014 Rv. 259713 . Infine, la terza situazione è quella in cui tra i fatti oggetto dei due provvedimenti cautelari non esista alcuna connessione ovvero sia configurabile una forma di connessione non qualificata, cioè diversa da quelle sopra considerate del concorso formale, della continuazione o del nesso teleologico per quest’ultimo, nei limiti fissati dal codice . Questa ipotesi, che in passato si riteneva pacificamente non riguardare l’art. 297 c.p.p., comma 3, oggi rientra nel campo applicativo di tale disposizione codicistica per effetto della menzionata sentenza manipolativa della Consulta n. 408 del 2005. Ne consegue che la retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della misura cautelare è dovuta in tutti i casi in cui, pur potendo i diversi provvedimenti coercitivi essere adottati in un unico contesto temporale, per qualsiasi causa l’autorità giudiziaria abbia invece prescelto momenti diversi per l’adozione delle singole ordinanze . Il giudice deve, perciò, verificare se al momento dell’emissione della prima ordinanza cautelare non fossero desumibili, dagli atti a disposizione, gli elementi per emettere la successiva ordinanza cautelare, da intendersi - come sottolineato dai Giudici delle leggi - come elementi idonei e sufficienti per adottare il provvedimento cronologicamente posteriore. Tale regola vale solo se le due ordinanze siano state emesse in uno stesso procedimento penale, perché se i provvedimenti cautelari sono stati adottati in procedimenti formalmente differenti, per la retrodatazione occorre verificare, oltre che al momento della emissione della prima ordinanza vi fossero gli elementi idonei a giustificare l’applicazione della misura disposta con la seconda ordinanza, che i due procedimenti siano in corso dinanzi alla stessa autorità giudiziaria e che la separazione possa essere stata il frutto di una scelta del pubblico ministero così Sez. U, n. 14535/07 del 19/12/2006, Librato, cit. conf., in seguito, su tale specifico aspetto, Sez. 2 , n. 44381 del 25/11/2010, Noci, Rv. 248895 Sez. 1^, n. 22681 del 27/05/2008, Camello, Rv. 240099 . Nel caso in esame è evidente che le due ordinanze sono state emesse in distinti procedimenti, pendenti avanti diverse Autorità giudiziarie. Anche nel caso di connessione qualificata trova applicazione in questo caso la regola dettata dal secondo periodo dell’art. 297 cod. proc. pen., comma 3, di guisa che la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza. L’argomentazione svolta dal Tribunale per disattendere la richiesta difensiva di applicazione dell’istituto in parola, a giudizio del Collegio, va condivisa in quanto il solo criterio temporale della anteriorità degli atti non poteva né può ritenersi sufficiente per l’applicazione del disposto di cui all’art. 297 cod. proc. pen Come precisato, infatti, dalla giurisprudenza di questo Corte Suprema, il concetto di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva dagli atti inerenti alla prima ordinanza cautelare, va individuato nella condizione di conoscenza derivata da un determinato compendio indiziario documentale o dichiarativo di quegli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano una specifica significanza processuale , sicché il termine conoscenza non va confuso con la mera e storica conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali Sez. 6^ 11.2.2013 n. 11807, Paladini, Rv. 255722 v. anche in senso analogo Sez. 4^ 14.3.2012 n. 15451, Di Paola, Rv. 253509 Sez. 3 n. 46158 del 4.2.2015 Rv. 265437 Sez. 2 n. 13834 del 16.12.2016 Rv. 269680 . Quel che rileva, quindi, è che ai fini dell’applicazione dell’istituto processuale in esame la condizione di conoscenza tratta da un determinato compendio documentale o dichiarativo va intesa in termini di pregnanza processuale la quale si verifica quando il pubblico ministero procedente si trovi nella effettiva condizione di servirsi di un quadro indiziario connotato da gravità sufficientemente compiuto ed esauriente ancorché modificabile in fieri nel prosieguo delle indagini , tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie art. 273 c.p.p. , suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelari art. 274 c.p.p. - alla richiesta ed all’adozione di una nuova misura cautelare. Situazione che non si è verificata nel caso in esame e che comunque non è neppure stata allegata dal ricorrente. Può quindi affermarsi che I Tribunale ha rispettato le dette regole ermeneutiche, evidenziando come il rappresentante della pubblica accusa solo in data 19.5.2017 e quindi a distanza di oltre 4 mesi dall’arresto del C. - con il deposito dell’informativa finale è stato nella condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelari - alla richiesta ed all’adozione di una misura cautelare. Si tratta, di una valutazione corretta delle emergenze processuali dalla quale il Tribunale, a ragione, ha tratto conseguenze decisive ai fini della inapplicabilità dell’istituto della contestazione a catena. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000,00 Euro in favore della Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter Disp. Att. C.p.p