Protesta contro le istituzioni: dar fuoco al tricolore vale una condanna

Confermata la pena – sospesa – per gli imputati due mesi di reclusione a testa. Evidente, per i Giudici di legittimità, la gravità del gesto da loro compiuto che non è catalogabile come legittimo esercizio del diritto di critica politica.

Dare fuoco alla bandiera italiana vale una condanna. Irrilevante il fatto che il gesto venga compiuto durante una manifestazione finalizzata a contestare le istituzioni dello Stato Cassazione, sentenza numero 51859/18, sez. I penale, depositata oggi . Corteo. Il fattaccio risale al gennaio del 2012 contesto è un corteo di protesta che, organizzato da un centro sociale, si svolge a Palermo e ha nel proprio mirino anche Equitalia. Durante la manifestazione due giovani cospargono di benzina la bandiera tricolore e poi le danno fuoco. Per loro è un gesto simbolico di opposizione politica – anche nei confronti dell’allora presidente della Regione Sicilia –, per i Giudici, invece, è un vero e proprio danneggiamento della bandiera . Consequenziale la condanna dei due giovani alla pena – sospesa – di due mesi di reclusione ciascuno . Aggressione. La lettura dell’episodio data prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello viene criticata aspramente dall’avvocato dei due giovani sotto processo. Più precisamente, il legale sostiene che i giudici hanno errato nel non riconoscere il legittimo esercizio del diritto di critica politica . A questo proposito, egli ricorda che i suoi clienti stavano prendendo parte a una manifestazione di protesta contro il governatore della Regione Sicilia e col loro gesto non avevano voluto colpire in sé il vessillo, gratuitamente oltraggiando l’emblema dello Stato, ma avevano voluto semplicemente manifestare il proprio dissenso contro l’operato delle istituzioni . La linea adottata dalla difesa non convince però i giudici della Cassazione, i quali confermano la condanna dei due giovani, ritenendo evidente la consapevolezza e l’intenzionalità nell’ aggressione contro uno dei simboli dello Stato . Impossibile, in sostanza, giustificare l’azione compiuta, cioè il bruciare la bandiera tricolore, con un generico richiamo a una presunta opposizione a decisioni politiche .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 marzo – 16 novembre 2018, n. 51859 Presidente Mazzei– Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza, 22 maggio 2014, del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato Ca. Ma. e Vicenzo In. responsabili del reato di cui all'articolo 292 cod. pen., commesso il 20.1.2012, e li aveva condannati alla pena, sospesa, di mesi due di reclusione ciascuno. Agli imputati era stato contestato di aver pubblicamente e intenzionalmente dato fuoco, distruggendola, alla bandiera nazionale italiana. 1.1 A ragione, la Corte territoriale, disattesa in premessa l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza della contestazione, nel merito escludeva che la condotta concretamente tenuta, consistita nel cospargere di liquido infiammabile la bandiera e poi nel darle fuoco, seppure nel corso di una manifestazione di protesta, potesse ritenersi scriminata dall'asserito esercizio del diritto di critica e di libera espressione del pensiero. 2. Per la cassazione della decisione di appello hanno proposto ricorso gli imputati, con atto cumulativo a firma del comune difensore avvocato Gi. Bi., articolando le seguenti censure. Denunziano - primo e secondo motivo violazione di legge processuale in relazione all'articolo 552 cod. proc. pen. , reiterando l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza della contestazione e violazione del diritto di difesa. Assumono che l'imputazione elevata era genericamente riferita all'articolo 292 cod. pen., poiché non era specificato se ad essere contestata fosse l'ipotesi contemplata dal primo comma, punita con la pena della multa, ovvero quella del secondo comma, punita con la pena della reclusione. Sicché in assenza di precisazioni, doveva ritenersi contestata l'ipotesi base di cui al primo comma, con la conseguenza che i decidenti, irrogando la pena della reclusione, avevano dato al fatto una nuova e diversa qualificazione giuridica in violazione delle cautele imposte dal codice di rito. - terzo motivo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 292, 51 cod. pen. e 21 Cost Ad avviso dei ricorrenti, la decisione sarebbe viziata per l'immotivata esclusione dell'efficacia scriminante del diritto di critica politica nel contesto di una manifestazione di protesta contro il governatore della Regione siciliana, nel corso della quale gli imputati non avevano voluto colpire il vessillo in sé, gratuitamente oltraggiando l'emblema dello Stato, ma avevano voluto semplicemente manifestare il proprio dissenso contro l'operato delle istituzioni - quarto motivo vizio di motivazione per non aver rilevato che la pena richiesta dal P.M. nelle sue conclusioni Euro 700 di multa fosse indubbiamente riferibile all'ipotesi di reato nella sua forma base, così come contestata, e non a quella circostanziata di cui al secondo comma del citato articolo 292. Considerato in diritto Osserva il Collegio che il ricorso appare in ogni sua deduzione inammissibile. 1. Manifestamente infondati sono il primo, secondo e quarto motivo, nei quali è in sostanza diluita e replicata l'eccezione di nullità del decreto di citazione per indeterminatezza dell'imputazione nonché della sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistente l'ipotesi aggravata non oggetto di contestazione. È appena il caso di ribadire che, in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità alcuna, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa. Ineccepibilmente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto priva di giuridico pregio l'eccezione formulata, sul rilievo che la condotta integrante l'ipotesi aggravata di cui all'articolo 292, comma 2, cod. pen., era stata correttamente e puntualmente descritta in fatto e conforme all'accusa contestata era anche la pena richiesta dal P.M. risultante dal bilanciamento con le attenuanti generiche chieste ma negate dal Tribunale. 2. Manifestamente infondate sono pure le doglianze espresse in ordine all'accertamento di responsabilità, avendo la Corte territoriale già disatteso le identiche, generiche argomentazioni articolate nell'atto di appello, nonché congruamente e logicamente motivato in ordine a tutti gli elementi, fattuali e giuridici, che qualificano le componenti, materiale e psicologica, del reato. Ed invero ha evidenziato che i due ricorrenti, appartenenti al centro sociale Spazio anomalia , nel corso di un corteo di protesta lo striscione in testa recava la scritta contro Equitalia caro benzina rivolta popolare avevano cosparso di liquido infiammabile la bandiera italiana che recavano con loro e le avevano dato fuoco ha, quindi, affermato sussistenti i profili di consapevolezza e intenzionalità della direzione dell'aggressione contro uno dei simboli dello Stato, resa palese dalla condotta tenuta dai ricorrenti e ne ha stigmatizzato il carattere gratuito di dileggio e svilimento, correttamente annotando che la libertà di manifestazione del pensiero trova, del resto, limiti impliciti derivanti da altri valori costituzionalmente protetti. Bastando qui solo aggiungere che la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato da tempo che il prestigio dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni rientra tra i beni costituzionalmente garantiti, per cui si pone come limite ad altri diritti costituzionalmente protetti e la sua tutela non è in contrasto con gli articolo 9 e 10 della Convenzione Europea sui diritti dell'uomo, in quanto esplicativi degli articolo 21 e 25 Cost. Sez. 1, n. 6822 del 14/06/1988, dep. 1989, Paris, Rv. 181275 che l'elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, e quindi nella coscienza e volontà di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate, con l'intenzione di produrre l'evento costituito dalla pubblica manifestazione di disprezzo delle stesse, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l'agente a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato tra le altre, Sez. 1, n. 28730 del 21/03/2013, Di Maggio, Rv. 256781 che la bandiera nazionale è penalmente tutelata dall'articolo 292 cod. pen. non come oggetto in sé, ma unicamente per il suo valore simbolico, suscettibile, per sua natura, di essere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprezzo, la cui penale rilevanza, ai fini della configurabilità del reato, richiede quindi soltanto la percepibilità da parte di altri soggetti Sez. 1, n. 48902 del 29/10/2003, Galli, Rv. 226460 . Di tali condivisi principi i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, raccordandoli alle emergenze fattuali, debitamente documentate dalle ritrazioni fotografiche in atti, ed hanno giudicato la condotta degli imputati esplicita e consapevole manifestazione di gratuito disprezzo e svilimento dell'emblema, la cui reputazione e onore, insieme allo Stato e alle sue istituzioni, sono oggetto della tutela penale e di diritti tutelati costituzionalmente, al cui interno anche la libertà di opinione trova i suoi limiti. Di talché, le replicate censure, generiche e anche avulse dalle risultanze processuali là dove assumono essere la condotta tenuta una manifestazione di protesta contro avversate e non meglio precisate decisioni politiche , si risolvono in manifestazioni di mero dissenso e sollecitano il riesame nel merito della decisione impugnata, inammissibile in sede di sindacato di legittimità. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione - di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 2.000 ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.