Quando la denigrazione commerciale è punibile come diffamazione

Le affermazioni denigratorie della reputazione commerciale di una società concorrente, rilasciate durante un colloquio con degli investigatori ingaggiati proprio da quella società, possono integrare il delitto di diffamazione?

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza n. 50423/18, depositata il 7 novembre. Denigrazione commerciale. Il Giudice di Pace di Padova assolveva l’imputato dall’accusa di aver denigrato la reputazione commerciale di una S.p.a La Corte di Cassazione, investita del ricorso presentato dalla società, annullava la decisione del GdP disponendo un nuovo esame della questione ai fini della verifica della sussistenza del reato. Decidendo in sede rescissoria, il GdP assolveva l’imputato perché il fatto non costituisce reato per il difetto dell’elemento della fattispecie relativo alla comunicazione con più persone prevista dall’art. 595 c.p Infatti le espressione negative sulla correttezza commerciale della società erano state riferite a due dipendenti di un’agenzia di investigazione a cui si era rivolta la società stessa, vincolati all’obbligo di riservatezza. La società ricorre nuovamente in Cassazione. Sussistenza del reato. Il Collegio sottolinea che la prima sentenza della Suprema Corte aveva disposto l’annullamento della pronuncia del GdP solo per erronea applicazione della legge penale, circostanza che precludeva dunque accertamenti e valutazioni di fatto diversi. Il GdP ha invece offerto una nuova e diversa valutazione dei fatti, in violazione del disposto di cui all’art. 627, comma 2, c.p.p. Giudizio di rinvio dopo l’annullamento . Ciò posto, rileva inoltre la sentenza in commento che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurazione del reato di diffamazione, è necessario che l’autore delle espressioni lesive comunichi, anche in tempi diversi come nel caso di specie con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri. Viene inoltre precisato che l’offesa alla reputazione commerciale di un imprenditore costituisce atto di concorrenza sleale anche nel momento in cui le espressioni verbali di discredito siano pronunciate nel corso di colloqui con persone tenute, per motivi di riservatezze derivanti dalla loro professione, a non divulgarne il contenuto. In tale contesto infatti, sussiste diffamazione in presenza del fatto che le espressioni in discorso siano percepite da coloro cui esse sono rivolte . In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia al GdP di Padova per un nuovo giudizio sulla vicenda.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 settembre – 7 novembre 2018, n. 50423 Presidente Bonito – Relatore Vannucci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 20 luglio 2015 il Giudice di pace di Padova assolse C.C. dall’accusa di avere denigrato, nei giorni 5 maggio, 12 maggio e 23 giugno 2012, la reputazione commerciale della Ital Plastik s.p.a. art. 595 cod. pen. . 2. In accoglimento del ricorso presentato dalla Ital Plastik ai sensi dell’art. 38 del d.lgs. n. 274 del 2000, questa Corte sezione 5 , con sentenza n. 1713/17 emessa il 7 ottobre 2016 annullò la decisione di merito con rinvio allo stesso Giudice di pace di Padova per un nuovo giudizio, in quanto ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, la comunicazione con più persone si ha anche quando le offese sono pronunciate in momenti diversi mediante comunicazione rivolta comunque, anche in tempi diversi, a più persone le dichiarazioni, denigratorie del buon nome commerciale della società, costituivano, in buona sostanza, atti di concorrenza sleale art. 2598, secondo comma, cod. civ. perché non argomentate, né tampoco documentate con conseguente non sussistenza dell’esimente del diritto di critica. 3. Con sentenza emessa, a definizione del giudizio di rinvio, il 4 ottobre 2017, il Giudice di pace di Padova assolse C. dall’accusa sopra indicata perché il fatto non costituisce reato. Questa, in sintesi, la motivazione della decisione è accertato che, in almeno due occasioni il 3 ovvero il 5 maggio 2012 e il 23 giugno 2012 , l’imputato espresse giudizi di segno negativo sulla correttezza commerciale dell’agire di Ital Plastik, non essendovi prova di colloquio avvenuto il 12 maggio 2012 fra l’imputato ed il testimone N.M. i due colloqui intercorsero, rispettivamente, con N.M. e con M.S. , dipendenti dell’agenzia di investigazione denominata , cui Ital Plastik si era rivolta per verificare se l’imputato, che svolgeva attività commerciale concorrente con quella di tale società, denigrasse effettivamente quest’ultima il primo dubbio che sorge è se effettivamente due persone possano integrare la fattispecie delle più persone previste dal dettato normativo di cui all’art. 595 cp. anche ammesso che la comunicazione con due sole persone sia sufficiente a costituire la fattispecie, in tanto sussiste l’offesa all’altrui reputazione in quanto la comunicazione si attui nell’ambito di un determinato contesto sociale nel caso di specie i ricettori delle dichiarazioni offensive erano due incaricati di agenzia di investigazione, vincolati all’obbligo di riservatezza quanto al contenuto delle dichiarazioni da loro acquisite, che l’imputato contattarono appositamente per indurlo ad esprimere il suo odio verso la parte offesa nessuna offesa alla reputazione commerciale di Ital Plastik è dunque derivata dalle espressioni denigratorie dell’attività commerciale di tale società pronunciate nel corso dei colloqui con tali persone, dal momento che le stesse non vennero percepite da alcuna comunità di persone. 3. Per la cassazione di tale sentenza la parte civile Ital Plastik ha presentato ricorso ex art. 38 del d.lgs. n. 274 del 2000 atto sottoscritto dall’avvocato Pietro Someda contenente quattro motivi di impugnazione. 3.1 Con il primo motivo la sentenza è criticata per violazione del precetto di cui all’art. 627, comma 2, cod. proc. pen., dal momento che l’annullamento della prima sentenza venne dal giudice di legittimità pronunciato per erronea applicazione di legge, con la conseguenza che in sede di rinvio il giudice di pace era vincolato al principio di diritto espresso dalla Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nella sentenza cassata. 3.2 Con il secondo motivo la ricorrente deduce che, in riferimento ai fatti del 5 maggio 2012, la motivazione della sentenza è manifestamente illogica, in quanto derivante da omessa valutazione di prove aventi il carattere della decisività per le ragioni specificamente indicate nel motivo. 3.3 Censura di segno analogo è dalla ricorrente mossa terzo motivo quanto ai fatti del 12 maggio 2012, dal momento che dal contenuto, rispettivo, delle dichiarazioni rese dal testimone N. all’udienza del 17 giugno 2015 e dei documenti acquisiti nel processo di merito relazioni dell’agenzia e trascrizioni di conversazioni fra persone presenti avvenute 12 maggio 2012 risulta che in tale giorno C. ebbe una conversazione con N. nel corso della quale espresse giudizi denigratori della reputazione commerciale di essa Ital Plastik. 3.4 Infine, la sentenza è criticata in ragione dell’erronea applicazione dell’art. 595 cod. pen., in quanto ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, è necessario che l’autore della frase lesiva dell’altrui reputazione comunichi con almeno due persone è irrilevante che la dichiarazione pregiudizievole dell’altrui reputazione non sia destinata a diffondersi fra persone diverse dalle due persone che la percepirono. 4. L’imputato C. ha depositato memoria atto sottoscritto dal difensore, avvocato F. P. con cui ha specificamente contestato la fondatezza dei motivi di impugnazione sopra riassunti. 5. Il 24 settembre 2018 sono pervenute conclusioni scritte della ricorrente e nota delle spese dalla stessa anticipate quale parte civile. Considerato in diritto Il primo ed il quarto motivo di impugnazione sono fondati con conseguente non necessità di scrutinio del contenuto degli altri due motivi. Alla luce del contenuto - sopra sintetizzato - della sentenza n. 1713/17 resa da questa Corte il 7 ottobre 2016, risulta con chiarezza che l’annullamento della prima sentenza assolutoria venne disposto solo per erronea applicazione della legge penale erano dunque preclusi al giudice di rinvio accertamenti e valutazione dei fatti diversi da quelli contenuti nella sentenza annullata in questo senso, cfr. Cass. Sez. 3, n. 7882 del 10 gennaio 2012, Montali, Rv. 252333 Cass. Sez. Sez. 3, n. 4759 del 22 marzo 2000, Boccardo, Rv. 216343. La sentenza impugnata ha invece affermato che non vi è prova che il 12 maggio 2012 avvenne colloquio, avente in contenuti riassunti nel capo di imputazione, fra l’imputato ed il testimone N.M. tale accertamento e valutazione dei fatti del 12 maggio 2012 ad opera del giudice di rinvio costituisce dunque violazione della regola contenuta nell’art. 627, comma 2, cod. proc. pen L’affermazione, peraltro caratterizzata da perplessità integrale, contenuta nella sentenza impugnata, secondo le affermazioni di fatti lesivi della reputazione commerciale della società ricorrente, dall’imputato rispettivamente rese nel corso di colloqui intercorsi in tempi diversi, con due persone nella specie identificate come N.M. e M.S. , collide frontalmente con l’interpretazione data dalla costante giurisprudenza di legittimità all’art. 595 cod. pen Costituisce invero affermazione consolidata nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui ai fini della configurabilità del reato di diffamazione è necessario che l’autore delle espressioni lesive dell’altrui reputazione comunichi, anche in tempi diversi come del resto affermato dalla sentenza di annullamento , con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri in questo senso, cfr., fra le molte, Cass. Sez. 5, n. 522 del 26 maggio 2016, dep. 2017, S. Rv. 269016 Cass. Sez. 5, n. 34178 del 10 febbraio 2015, Corda, Rv. 264982 Cass. Sez. 3, n. 7882 del 10 gennaio 2012, Montali, Rv. 252333 Cass. Sez. 5, n. 36602 del 15 luglio 2010, Selmi, Rv. 248431 . In secondo luogo, la sentenza impugnata afferma che ai fini della configurabilità del reato di diffamazione è necessario che l’offesa all’altrui reputazione si collochi nell’ambito di una comunicazione che avvenga nell’ambito di un determinato contesto sociale, cioè di un gruppo di persone in qualche modo sussumibili sotto la stessa categoria in forza di una correlazione che intercorre fra loro nazionalità, cittadinanza, parrocchia, partito politico, centro sportivo, luogo di lavoro, vicinato e vuoi anche la clientela di un esercizio commerciale con la conseguenza che nel caso in cui le espressioni offensive siano pronunciate in presenza di persone che svolgano funzione di agente provocatore nella specie, dipendenti da agenzia di investigazioni private, tenuti a non divulgare quanto da essi appreso a soggetti diversi dal proprio datore di lavoro e dal committente l’investigazione , non sussiste reato. Tali considerazioni, dal significato non proprio limpido, erano invero inibite al giudice del rinvio dalla regola di cui all’art. 627, comma 2, cod. proc. pen. per come sopra interpretata, avendo la sentenza di annullamento espressamente specificato che il contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputato alle persone sopra indicate appaiono integrare atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 comma secondo del codice civile , anche perché non costituenti esercizio del diritto di critica commerciale. Per mero debito di ragione è appena il caso di precisare che l’offesa alla reputazione commerciale di imprenditore, costituente atto di concorrenza sleale, si ha anche quando le espressioni verbali di discredito dell’attività da questi svolta sono pronunciate nel corso di colloqui con due persone che sono tenute, per ragioni di riservatezza derivante dalla loro professione, a non divulgarne il contenuto a persone diverse dal committente l’attività da loro svolta essendo solo necessario, ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, che le espressioni in discorso siano percepite da coloro cui esse sono rivolte. La sentenza impugnata è dunque da annullare con rinvio per nuovo giudizio al Giudice di pace di Padova in persona di giudice onorario diverso da quello che ha redatto la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 623 cod. proc. pen. cfr. sul punto, per tutte, Cass. Sez. 5, n. 2669 del 6 novembre 2015, dep. 2016, Raspini, Rv. 265711 che dovrà attenersi ai principi sopra enunciati. Allo stesso giudice è riservata la decisione relativa alla eventuale ripetibilità delle spese processuali sostenute dalla parte civile nel giudizio in unico grado, nel giudizio di cassazione, nel primo giudizio di rinvio, nel secondo giudizio di cassazione e nel secondo giudizio di rinvio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di pace di Padova.