La penale responsabilità dell’imputato per il reato di emissione di fatture inesistenti

In tema di reati fiscali ed emissione di fittizie fatture, una volta provata la fittizietà dell’intestazione è onere dell’imputato, ossia il soggetto emittente della fattura, dimostrare la corrispondenza tra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere intercorsi, e quello documentale, attraverso cui tali rapporti sono attestati.

Sul tema la Corte di Cassazione con sentenza n. 50011/18 depositata il 6 novembre. Il caso. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava i reati ascritti nei confronti dell’imputato estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena in relazione alle condotte illecite residue. In particolare nel provvedimento oggetto di impugnazione si integrava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di emissione di fatture inesistenti senza però alcuna prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico. Le fatture fittizie. In materia di reati fiscali, le fatture si considerano soggettivamente inesistenti quando i destinatari hanno tutti disconosciuto tali fatture. E come ritenuto dalla Suprema Corte, una volta provata la fittizietà dell’intestazione è onere dell’imputato, ossia il soggetto emittente della fattura, dimostrare la corrispondenza tra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere intercorsi, e quello documentale, attraverso cui tali rapporti sono attestati. Su tale punto, non risulta nessuna dimostrazione fornita dal ricorrente ai giudici di merito, pertanto, la Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 maggio – 6 novembre 2018, n. 50011 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 24 ottobre 2017, in parziale riforma della decisione del Giudice di primo grado 11 ottobre 2016 dichiarava i reati ascritti nei confronti di L.M. , limitatamente ai fatti commessi fino al omissis , estinti per intervenuta prescrizione e rideterminava la pena in anni uno, mesi uno e giorni quindici di reclusione -concesse le circostanze attenuanti generiche e riconosciuto il vincolo della continuazione in relazione alle condotte illecite residue ed integranti i reati di cui agli artt. 292, 295, comma 2, d.P.R. 43/1973 accertati il omissis e all’art. 8 d.lgs. 78/2000 accertato il omissis . 2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2. 1. Art. 606, comma 1, lett. b. cod. proc. pen Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 8 d.lgs. 74 del 2000. La sentenza impugnata ha ritenuto che la sussistenza della condotta del reato di cui all’articolo 8, d. lgs. 74/2000 risulti chiaramente dalle emergenze processuali, nonostante la carenza e la scarsezza delle indagini compiute, dalle quali non sarebbero invece emersi né i destinatari finali, della merce compravenduta dalla società Prato Import Export società costituita dall’odierno imputato al fine di intraprendere un’attività di import-export di prodotti tessili dalla Cina, sulla base della prospettazione di notevoli profitti da parte della società F.R. International Broker s.r.l. , né se le fatture oggetto dell’odierna imputazione siano state fiscalmente utilizzate e, quindi, se siano funzionali ad una effettiva evasione fiscale. Il ricorrente censura che il Giudice del provvedimento impugnato abbia accolto la tesi accusatoria, totalmente smentita invece dalle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, fondata sull’assunto che la società dell’imputato, totalmente priva di qualunque struttura operativa o magazzino, operasse come fittizio intermediario tra i venditori cinesi e gli acquirenti rimasti ignoti contribuendo a porre in essere un meccanismo di evasione Iva sulle merci importate per circa 897.100,00 Euro. A sostegno dell’assunto vi erano le circostanze che la Prato Import Export S.r.l. non avrebbe mai saldato i fornitori cinesi da cui importava le merci, avvalendosi del regime di sospensione Iva, previsto per l’ipotesi di introduzione della merce in deposito Iva , con successiva estrazione mediante autofattura che le fatture dalla stessa emesse fossero soggettivamente inesistenti e che i destinatari reali fossero altri rispetto a quelli indicati nei documenti i quali, in definitiva, non avrebbero pagato alcunché né per la merce né per l’IVA. Nel caso di specie, invece, la merce veniva spedita verso un destinatario realmente esistente, le aziende indicate nel capo di imputazione, perdendosi poi traccia di cosa avvenisse successivamente, in quanto le fatture in questione scomparivano del tutto. Nel provvedimento oggetto di impugnazione si arriva a ritenere integrata la penale responsabilità dell’imputato per il reato di emissione di fatture inesistenti senza alcuna prova in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico e sulla base di uno schema che non è quello tipico della fattispecie, in quanto tra l’emissione delle fatture incriminate e la condotta del ricevente vi è un’insanabile cesura da cui deriva che la prima condotta non è causalmente legata all’evasione fiscale del presunto ricevente, il quale opererà solo e completamente in nero. 2. 2. Art. 606, comma 1, lett. E, cod. proc. pen, carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo al capo B dell’imputazione. Lo schema su cui si fonda la sentenza impugnata, secondo cui le fatture emesse dalla società del L. e oggetto di contestazione erano soggettivamente inesistenti e che il destinatario finale della merce era diverso da quello indicato nel documento, viene smentito, con tutte le conseguenze in ordine alla fallacia della ricostruzione dei fatti operata dai Giudici del merito, dalle deposizioni del teste P. della G.d.F. e dall’esame del teste V. , sempre della G.d.F., entrambi sentiti all’udienza del 28 aprile 2015. I predetti hanno infatti riferito di un controllo operato in data 13 maggio 2010 su un Tir diretto da Napoli a Prato che trasportava tessuti di proprietà della società del prevenuto alla società Fortuna Tex s.r.l. di dal controllo non emerse alcuna irregolarità, essendo la merce corrispondente a quella indicata in fattura, accettata dalla ditta Fortuna Tex s.r.l., e pagata all’imputato con strumento di pagamento tracciabile per circa 59.000,00 Euro. È evidente quindi che a fronte di inaccettabili carenze investigative e di un unico controllo, che ha dato esito favorevole all’imputato sconfessando la tesi accusatoria, il Giudice della sentenza impugnata ha fondato l’impianto motivazionale su mere congetture, quali l’esistenza di misteriose altre ditte che avrebbero ricevuto la merce. 2.3. Art. 606, comma 1, lett. E. cod. proc. pen Carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo al capo A dell’imputazione. Il ricorrente lamenta la totale carenza di motivazione e di esame della prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di contrabbando. Ha chiesto, quindi, l’annullamento della decisione impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per genericità per il motivo sull’assenza di motivazione relativamente al dolo del reato di contrabbando il relativo motivo non ha formato oggetto dei motivi di appello. Inoltre il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità. In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482 . In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 dep. 31/03/2015, 0., Rv. 262965 . In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 dep. 28/03/1995, Pischedda ed altri, Rv. 200705 . 4. La Corte di appello e il Giudice di primo grado , come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato all’affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine ai reati contestatigli, rilevando come Non è, infatti, credibile che per diversi mesi il L. , titolare di una impresa priva di qualsiasi struttura, abbia continuato a svolgere una formale attività di intermediazione commerciale, senza essere consapevole che la merce importata tramite la dogana di Napoli ed estratta dai depositi IVA non era realmente destinata alle imprese indicate nelle numerose fatture di vendita che la Prato Import Export emetteva fatture che, del resto, sistematicamente rimanevano non pagate. . invero, l’intermediazione che veniva svolta dalla società si risolveva nell’estrarre la merce dal deposito IVA e nel far risultare contabilmente una lunga serie di cessioni per contanti come si legge in tutte le fatture che la difesa ha prodotto in copia , senza tuttavia che alla Prato I.E. pervenisse mai alcun pagamento con l’unica eccezione, indicata anche nella sentenza di primo grado, di un importio di Euro 200.000,00 a fronte di fatture per un imponibile di Euro 4.500.000,00 . In definitiva la società del L. agiva da semplice cartiera emetteva fatture fittizie che non venivano mai onorate e che tuttavia, su un piano puramente contabile, documentavano la vendita a soggetti che, per quanto indicato, avevano assolto anche l’obbligo del pagamento dell’IVA sulla merce acquistata . Del tutto irrilevante è poi la ritenuta regolarità di un trasporto intercettato su strada dalla Guardia di Finanza, in quanto come adeguatamente motivato nella sentenza impugnata l’accompagnamento delle merci da parte della Guardia di Finanza ha comportato il completamento del trasporto in modo regolare ma questo non significa che senza il controllo della Guardia di Finanza l’operazione sarebbe stata conclusa nello stesso modo. Le fatture sono da considerarsi soggettivamente inesistenti, in quanto i destinatari hanno tutti disconosciuto le fatture. Conseguentemente, come ritenuto da questa Corte di Cassazione una volta provata la fittizietà dell’intestazione è onere dell’imputato, soggetto emittente della fattura, dimostrare la corrispondenza tra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati Sez. 3, n. 34534 del 21/04/2017 dep. 14/07/2017, Matracchi, Rv. 27096201 . Nessuna dimostrazione in tal senso risulta fornita dal ricorrente davanti ai giudici di merito. 5. Relativamente all’ultimo motivo, ovvero all’assenza di motivazione sull’elemento soggettivo del delitto di contrabbando, si deve rilevare che nell’atto di appello non è stato proposto il relativo motivo, pertanto la relativa questione risulta inammissibile in sede di legittimità Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione. Fattispecie relativa ad omessa motivazione da parte della Corte di appello sulla recidiva ritenuta dal giudice di primo grado, non contestata con i motivi di appello Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501 . Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.