La “recherche” del dolo perduto… i profumi della dottrina e la definizione del dolo specifico delineata dalla Sesta Sezione

Il dolo specifico si configura allorquando la norma incriminatrice ai fini dell’imputazione dolosa del fatto, richiede che il soggetto abbia agito per conseguire una finalità particolare, la cui effettiva realizzazione non è però necessaria per l’integrazione del reato. Esso deve svolgere un ruolo dominante nella manifestazione della condotta che deve essere oggetto di rigorosa prova, prescindendo da comode presunzioni, sbrigative scorciatoie, e che non coincide di per sé con il fatto oggettivo.

La vicenda processuale trae origine da una pronuncia resa dalla Corte di Appello di Lecce in relazione alla contestata violazione, in capo all’imputato della violazione del disposto dell’art. 12 quinquies d.l. 8 giugno 1992 n. 306 e 30-31 l. ge 13 settembre 1982 n. 646. Il ricorso si fondava, fra gli altri, su di un motivo attinente la mancanza nella condotta ascritta all’imputato della finalità elusiva espressamente richiesta dalla norma e, quindi, del necessario elemento intenzionale che, nella fattispecie, è indicato quale dolo specifico. Prima di giungere a definire le caratteristiche proprie del dolo specifico, la Corte si sofferma sulla portata della norma incriminatrice attraverso un ragionamento giuridico che, per sommi capi, ci pare interessante richiamare. I due filoni interpretativi. Secondo un primo filone interpretativo il reato previsto dall’art 12 quinquies della legge 356/92 è connotato dalla mera attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, anche nel caso in cui i beni siamo intestati ad un familiare o ad un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, dovendosi escludere che la presunzione di interposizione fittizia, prevista dall’art. 26 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 in materia di prevenzione, impedisca di configurare tale fattispecie di reato o renda necessario l’ulteriore accertamento, estraneo alla fattispecie, della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale . Il ragionamento si fonda sulla insufficienza dell’esistenza di una mera presunzione relativa di elusività nella intestazione dei beni ai familiari del proposto che di per sé non costituisce un elemento decisivo per non configurare l’offensività del delitto, ovvero che la intestazione sia compiuta al deliberato scopo di eludere, attraverso la simulazione oggettiva, l’efficacia delle misure che si intendono adottare. In altri termini la presunzione iuris tantum di fittizietà dell’intestazione prevista dalla disciplina delle misure di prevenzione reale, opererebbe esclusivamente in ambito processuale, rivestendo cioè la funzione di invertire l’onere della prova” facendolo incombere sul proposto ma non costituirebbe ex sè, prova atta a fondare una pronuncia di penale responsabilità in capo allo stesso. L’art. 12 quinquies d.l. n. 306/1992 sarebbe invece una norma avente natura e portata sostanziale volta a punire l’atto di fittizia intestazione in qualsiasi modo commessa di un bene a qualsivoglia soggetto terzo e ciò al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale. Secondo differente filone giurisprudenziale il reato di fraudolento trasferimento di beni, che rinviene nella finalità di elusione delle misure normative di prevenzione patrimoniale un connotato dell’elemento soggettivo deve considerarsi commesso con la mera attribuzione ad altri del bene, posto che la norma non si fa carico di escludere dal novero dei soggetti terzi quanti comunque sarebbero oggetto ai sensi della legislazione di prevenzione patrimoniale delle indagini prodromiche, di carattere patrimoniale, all’emissione dei provvedimenti di sequestro. La condotta per essere caratterizzata dalla finalità elusiva deve possedere requisiti tali dall’essere in grado di sfuggire alle rigorose previsioni della normativa di prevenzione patrimoniale ai sensi di un giudizio di plausibilità” espresso ovviamente tenendo conto del contesto” in cui essa è realizzata. Ecco che la questione centrale inerente il dolo diviene centrale. Il dolo specifico. La Corte pone sé stessa e l’interprete innanzi ai due filoni interpretativa ed indica come vero ed unico metro di giudizio quello afferente ed attinente l’esistenza del dolo specifico nell’agente. Il dolo specifico , ricorda la Corte, si configura allorquando la norma incriminatrice ai fini dell’imputazione dolosa del fatto, richiede che il soggetto abbia agito per conseguire una finalità particolare, la cui effettiva realizzazione non è però necessaria per l’integrazione del reato . Il virgolettato è d’obbligo. Definizione lapidaria e condivisibile. Esso non si sostituisce al dolo del fatto come rappresentazione e volizione di tutti i suoi elementi ma si aggiunge ad esso contribuendo a definire il disvalore dell’azione. Lo scopo richiesto dai reati a dolo specifico assume un duplice significato esso si riferisce all’intenzione dell’agente di provocare un evento lesivo e all’oggettiva idoneità dell’azione a produrre tale risultato. Non v’è chi non veda come l’interpretazione proposta si collochi molto vicino, per non dire si sovrapponga a quanto richiesto in relazione all’esistenza del tentativo. Dunque il dolo specifico, per la giurisprudenza di legittimità, è da ricondursi alla figura più generale del dolo considerando però che esso richiede che il finalismo” intenzione dell’agente idoneità dell’azione proprio del dolo specifico svolga un ruolo dominante nell’esplicazione della condotta volontaria . Ovvero il dolo specifico deve svolgere un ruolo dominante nella manifestazione della condotta che deve essere oggetto di rigorosa prova, prescindendo da comode presunzioni, sbrigative scorciatoie, e che non coincide di per sé con il fatto oggettivo .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 aprile – 31 ottobre 2018, numero 49832 Presidente Di Stefano – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Lecce ha confermato la sentenza con cui M.G. e M.F. sono stati ritenuti colpevoli, in concorso, del reato di cui all’articolo 12 quinquies d. l. 8 giugno 1992, numero 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, numero 356, e, solo il primo, anche di quello previsto dagli artt. 30 31-legge 13 settembre 1982, numero 646. Agli imputati è contestato, quanto al capo a , di avere, in concorso, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, M.G. fittiziamente attribuito alla figlia F. la titolarità delle quote delle società Marina Service s.r.l Quanto al capo b , M.G. , condannato per il reato di cui all’articolo 416 bis cod. penumero e comunque sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, avrebbe omesso di comunicare al Nucleo di Polizia Tributaria di Lecce le variazioni della composizione del suo patrimonio, derivanti dalla ricezione della somma di 30.000 Euro con tre distinti assegni bancari. 2. Ha proposto ricorso per cassazione M.G. articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge, in ordine agli artt. 49 cod. penumero e 12 quinquies d. l. numero 306 del 1992, nonché vizio di motivazione. La normativa vigente all’epoca dei fatti e quella attuale in tema di prevenzione patrimoniale impone agli organi di polizia di compiere indagini patrimoniali sui soggetti legati al proposto da particolari vincoli familiari e prevede una serie di presunzioni relative al carattere fittizio degli atti dispositivi in favore dei soggetti in questione. La sentenza sarebbe viziata per aver ritenuto, proprio in ragione del quadro normativo indicato, che la condotta contestata all’imputato, che avrebbe palesemente intestato le quote della società alla propria figlia, potesse essere sorretta dalla finalità elusiva richiesta dalla norma incriminatrice si assume che nella specie sarebbe ravvisabile un reato impossibile. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’articolo 43 cod. penumero e vizio di motivazione il reato contestato richiederebbe il dolo specifico e, nel caso di specie, l’elemento soggettivo difetterebbe, trattandosi di una intestazione, non dissimulata, in favore della figlia. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere non necessario, ai fini della configurabilità del reato, l’apprezzamento della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale, trattandosi così la sentenza di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato . Il dolo e, in particolare, la finalità elusiva non sarebbero configurabili in ragione della circostanza che l’imputato, a meno di un mese di tempo dal fatto oggetto della imputazione, comunicò con una denuncia, seppur avente ad oggetto altri fatti, di essere il reale titolare delle quote l’operazione non sarebbe stata finalizzata ad eludere la disciplina in tema di misura di prevenzione patrimoniale quanto, piuttosto, ad ovviare alla impossibilità per M.G. , derivante dalla condanna per il delitto di cui all’articolo 416 bis cod. penumero , di ricoprire cariche rappresentative nelle persone giuridiche. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di cui al capo b . La sentenza sarebbe viziata per aver ritenuto che la dazione di tre assegni postdatati imponesse comunque l’obbligo di comunicazione prevista dalla legge si sostiene invece, che, rispetto ai tre titoli di credito postdatati, l’obbligo di denuncia al più poteva sopravvenire al momento in cui i tre assegni fossero stati pagati, circostanza, questa, non accertata si aggiunge che la motivazione sarebbe viziata per non aver adeguatamente considerato che a i tre titoli di credito erano tutti di importo inferiore al limite previsto dalla legge, dal cui superamento discende l’obbligo di comunicazione Euro 10.329,14 , sicché nessuna condotta di inosservanza sarebbe stata compiuta b la denuncia fatta da M. all’Autorità giudiziaria di cui si è detto, avente ad oggetto una transazione raggiunta con altro soggetto e nella quale si indicavano i tre assegni oggetto della imputazione, avrebbe assolto alla stessa funzione di quella prevista dalla norma incriminatrice. 3. Ha proposto ricorso per cassazione anche M.F. articolando due motivi con cui deduce violazione di legge in relazione all’articolo 49 cod. penumero e vizio di motivazione. I motivi riprendono e sviluppano le stesse argomentazioni contenute nel primo motivo di ricorso di M.G. l’intestazione sarebbe stata compiuta per mera liberalità e le forze dell’ordine erano state informate la sentenza sarebbe inoltre viziata per aver ritenuto sussistente il dolo dell’imputata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell’interesse di M.G. è fondato in relazione ai primi due motivi di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente. 2. Dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge in punto di fatto che a l’imputato era stato condannato per il delitto di cui all’articolo 416 bis cod. penumero con sentenza divenuta irrevocabile il 2/05/2005 b il 10/10/2007 fu celebrata, davanti al Tribunale di Lecce, l’udienza avente ad oggetto la proposta di applicazione della misura di prevenzione, ai sensi degli artt. 2 legge 31 maggio 1965, numero 575 e 3 legge 27 dicembre 1953, numero 1423, nei confronti del ricorrente c M.G. stipulò il 21/08/2007 un contratto preliminare con cui tale C.E. si obbligò a cedere all’imputato le proprie quote della società Marina Service s.r.l. al prezzo di 90.000 Euro d l’imputato, a sua volta, si obbligò a corrispondere una parte del prezzo, pari a 60.000 Euro, mediante la vendita futura di alcuni veicoli di proprietà della società Marina Service s.r.l. e corrispose i residui 30.000 Euro consegnando tre assegni postdatati e il 14/09/2007 C. cedette con atto pubblico le quote societarie in questione in favore di M.F. , figlia di G. , che, in realtà, in quella società non aveva alcun interesse f l’8.10.2007, cioè prima della celebrazione dell’udienza per l’applicazione della misura di prevenzione, l’imputato presentò una formale denuncia di C. alla polizia giudiziaria nella quale espose la vicenda oggetto del processo, facendo riferimento ad un atto di transazione con C. con il quale si dava atto del futuro acquisto in suo favore o in favore di persona da nominare delle quote sociali e dell’avvenuta corresponsione dei tre assegni così testualmente la sentenza della Corte di appello a pag. 3 . 3. L’assunto, recepito dalla sentenze di merito, è che M.G. avrebbe nel 2007 deciso di far intestare le quote acquistate alla di lui figlia al fine di scongiurare che i beni in questione fossero sottoposti alla imminente misura di prevenzione patrimoniale. La Corte di appello, nell’ambito di una stringata motivazione, ha ritenuto configurabile il reato contestato a seguito dell’accertamento dell’attribuzione fittizia ad altri della titolarità e della disponibilità di denaro o di beni, senza che al giudice sia anche richiesto l’apprezzamento della concreta capacità elusiva dell’operazione accertata, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato così testualmente la sentenza della Corte si appello a pag. 3 e ciò anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale le presunzioni di interposizione fittizia di cui all’articolo 2 ter ultimo comma della legge numero 575 del 1965 ora sostituito dall’articolo 26, comma 2, del d. 1gs. numero 159 del 2011, non impedirebbero di configurare il reato. Sotto altro profilo, ai fini della prova del dolo, la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’imputato, un mese dopo l’operazione, esternalizzò il senso della operazione e l’avvenuta corresponsione dei tre assegni, trattandosi con ogni evidenza di un post factum insuscettibile di incidere sul reato che si era già consumato . così la sentenza impugnata . 4. Si tratta di una motivazione viziata. Secondo un orientamento consolidato della Corte di cassazione, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’articolo 12-quinquies della legge numero 356 del 1992 è sufficiente l’attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o altre utilità, anche nel caso in cui i beni siano stati intestati ad un familiare di un soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, dovendosi escludere che la presunzione di interposizione fittizia, prevista dall’articolo 26, D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159 in materia di prevenzione, impedisca di configurare tale fattispecie di reato o renda necessario l’ulteriore accertamento, estraneo alla fattispecie, della concreta capacità elusiva dell’operazione patrimoniale fra le altre, Sez. 6, numero 22568 del 11/04/2017, Francaviglia, Rv. 270035 Sez. 2, numero 7999 dell’01/02/2017, Galliano, Rv. 269545 . Si è ritenuto che il reato previsto dall’ articolo 12 quinques della l. numero 356 del 1992 non sia escluso dal fatto che i beni, la cui titolarità o disponibilità sia stata oggetto di un’attribuzione fittizia, siano intestati ad un familiare del soggetto sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione patrimoniale, in quanto l’esistenza di una mera presunzione relativa di elusività nella intestazione di beni ai familiari del proposto non costituirebbe un elemento decisivo per non configurare l’offensività del delitto, cioè che la intestazione dei beni sia compiuta al deliberato scopo di eludere, attraverso la simulazione soggettiva, la efficacia di adottande misure di prevenzione patrimoniale . Il profilo della individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice sarebbe, secondo tale impostazione, distinto da quello relativo ai criteri di giudizio o alle presunzioni iuris tantum previste dalla disciplina delle misure di prevenzione reale, atteso che, diversamente, l’assimilazione dei due profili, aventi presupposti operativi ed effetti completamente differenti, finirebbe per comportare la creazione di una sorta di zona franca , cioè di una causa di esclusione della punibilità a norma del menzionato articolo 12 quinquies. Sez. 6, numero 37375 del 06/05/2014, Filardo, Rv. 261656 . La Corte di cassazione ha affermato che la prima delle richiamate disposizioni avrebbe la sola funzione di regolamentare aspetti peculiari del procedimento di prevenzione per le misure patrimoniali nell’ambito di tale regolamentazione la norma fisserebbe la regola della presunzione iuris tantum di appartenenza per effetto di ritenuta fittizietà ex lege al sottoposto a misura di prevenzione, dei beni trasferiti o intestati anche a titolo oneroso, a determinati soggetti, fra i quali deve annoverarsi, per quanto qui interessa, la figlia. La disposizione dispiegherebbe, quindi, i suoi effetti sulla ripartizione probatoria in materia di intestazioni e trasferimenti a qualsiasi titolo di beni a prossimi congiunti, con inversione, ex lege , dell’onere della prova circa una titolarità effettiva e non fittizia al prossimo congiunto del proposto dei beni assoggettati o assoggettabili al sequestro di prevenzione. Diversamente, l’articolo 12 quinquies del d.l. numero 306 del 1992 sarebbe, secondo l’impostazione in esame, un norma penale sostanziale volta a punire l’atto di fittizia intestazione in qualsiasi modo commessa di un bene ad un qualsivoglia soggetto terzo, e ciò al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale. L’ambito di operatività della normativa in tema di misure di prevenzione sarebbe, dunque, squisitamente processuale, mentre quello della d.l. numero 306 del 1992, articolo 12 quinquies avrebbe natura penale sostanziale. L’applicazione o l’applicabilità di una disposizione non escluderebbe quella dell’altra, ben potendo, nell’ambito del processo di prevenzione, trovare applicazione il principio di cui all’articolo 2 ter della L. numero 575 del 1965, senza che ciò comporti la necessaria ed automatica violazione della norma sostanziale di cui all’articolo 12 quinquies né, per altro verso, l’applicabilità dell’articolo 2 ter della l. numero 575 del 1965 escluderebbe di per sé la possibilità di configurare il compimento di atti volti a ledere l’interesse giuridicamente protetto dall’articolo 12 quinquies del d.l. numero 306 del 1992, posto che l’apprezzamento del dolo specifico deve essere condotto attraverso la analisi della condotta criminosa, e non già sulla base dell’esito più o meno positivo del raggiungimento dello scopo Sez. 2, numero 5595 del 27/10/2011, dep. 2012, Cuscinà, Rv. 252696 . A tale orientamento si contrappone un diverso indirizzo giurisprudenziale secondo cui il reato di trasferimento fraudolento di beni, che rinviene nella finalità di elusione delle misure normative di prevenzione patrimoniale un connotato dell’elemento soggettivo, è commesso, stando alla previsione incriminatrice, con l’attribuzione del bene ad altri, senza ulteriore specificazione selettiva di questi ultimi la legge non si farebbe carico di escludere, dal novero dei soggetti con i quali può intervenire l’illecito trasferimento, quanti, ai sensi della legislazione di prevenzione patrimoniale, sono comunque soggetti alle indagini patrimoniali prodromiche all’emissione dei provvedimenti di sequestro e confisca coniuge, figli, conviventi del proposto nell’ultimo quinquennio, ecc. ecc , secondo la previsione dell’articolo 2 ter della l. numero 575 del 1965 ora dell’articolo 19 codice antimafia-. Tuttavia, assume l’impostazione in parola, spetterebbe all’interprete il compito di individuare ulteriori elementi di fatto idonei a concretizzare, per l’ipotesi in cui la fittizia intestazione operi in favore di taluno dei menzionati soggetti, la capacità elusiva dell’operazione. Si sostiene che la condotta, per essere caratterizzata dalla finalità elusiva, dovrebbe avere i requisiti per sfuggire alle rigorose previsioni della normativa di prevenzione patrimoniale, e ciò secondo un giudizio di plausibilità, espresso ovviamente tenendo conto del contesto in cui essa è posta. Sez. 1, numero 17064 del 02/04/2012, Ficara, Rv. 253340 . Nello stesso senso, seppur in maniera non esattamente simmetrica, pare porsi Sez. 1., numero 4703 del 09/11/2013, Lo Giudice, Rv. 254528, secondo cui eludere , significa sfuggire, evitare scaltramente gli effetti di una legge che, in mancanza della condotta di elusione, determinerebbe un certo effetto la confisca del bene . L’articolo 12 quinquies cit, in definitiva, deve essere interpretato nel senso che la fittizia intestazione deve essere oggettivamente idonea ad eludere la normativa in misura di prevenzione e deve essere, inoltre, sorretta dal dolo specifico descritto dalla fattispecie . conforme anche Sez. 1, numero 49970 del 19/12/2014, dep. 2015, Burzì, Rv. 265408 . 5. In realtà, sia che si voglia recepire l’indirizzo secondo cui ai fini della configurazione del reato in esame non sarebbe richiesto l’accertamento della oggettiva, concreta, capacità elusiva dell’operazione, sia che si intenda invece fare riferimento al secondo degli orientamenti citati, ciò che non può essere eluso è la prova certa del dolo specifico richiesto dalla norma, non potendo l’elemento soggettivo ritenersi sussistente per il solo fatto che il soggetto che sia o possa essere nella imminenza sottoposto a misura di prevenzione patrimoniale abbia fittiziamente intestato un suo bene ad altri o ad un suo familiare. Il dolo specifico si configura allorquando la norma incriminatrice, ai fini dell’imputazione dolosa del fatto, richiede che il soggetto abbia agito per conseguire una finalità particolare, la cui effettiva realizzazione non è però necessaria per l’integrazione del reato. Si è evidenziato in dottrina come il dolo specifico non si sostituisca al dolo del fatto, come rappresentazione e volizione di tutti i suoi elementi, ma si aggiunga ad esso, contribuendo a definirne il disvalore di azione. La dottrina prevalente inquadra il dolo specifico nell’area del dolo ritiene il dolo specifico come una creazione squisitamente legale che ha come effetto quello di restringere l’incriminazione, in quanto, se manca nell’agente il fine particolare, manca il dolo richiesto dalla norma. È stato peraltro acutamente osservato che i reati a dolo specifico realizzano una anticipazione di tutela dei beni giuridici, così da poter essere assimilati al tentativo, principale forma di protezione anticipata dei beni giuridici. Sulla base di questo presupposto si è sostenuto che lo scopo richiesto dai reati a dolo specifico assume un duplice significato da un lato, si riferisce all’intenzione dell’agente di provocare un evento lesivo, dall’altro, all’oggettiva idoneità dell’azione a produrre a tale risultato. Ne conseguirebbe che un reato a dolo specifico non potrebbe essere integrato se non attraverso atti idonei a conseguire lo scopo verso il quale si rivolge l’intenzione dell’agente. Secondo l’impostazione in parola sarebbe questa l’interpretazione imposta dal principio di rango costituzionale di offensività, in quanto solo attribuendo una rilevanza anche oggettiva allo scopo caratteristico dei reati a dolo specifico si potrebbe sottrarre questa categoria di reati da sospetti di illegittimità costituzionale. In tal senso, si è proposto, da una parte, di collegare il dolo specifico al fatto obiettivo, esigendo l’idoneità di questo rispetto al raggiungimento del risultato finale e, dall’altra, di utilizzare la disposizione sul reato impossibile quando tale obiettivo non possa essere concretamente realizzato. Lo scopo, si è detto, nei reati a dolo specifico deve avere un ruolo causale rispetto all’azione esterna che deve configurarsi come parziale realizzazione di quel fine in conseguenza, la condotta può dirsi tipica solo se si pone in connessione condizionante con il contenuto finalistico descritto dalla norma penale. La giurisprudenza di legittimità è nel senso di ricondurre il tema del dolo specifico a quello più generale del dolo, ma richiede, tuttavia, che il finalismo proprio del dolo specifico svolga un ruolo dominante, polarizzante nell’esplicazione della condotta volontaria così, ad esempio in tema di abuso d’ufficio, ma anche quanto al reato di strage . Dunque, un dolo che svolge un ruolo dominante nella manifestazione della condotta, che deve essere oggetto di rigorosa prova un accertamento specifico che deve prescindere da comode presunzioni, da sbrigative scorciatoie, che non coincide di per sé con il fatto oggettivo della intestazione fittizia, e, soprattutto, un accertamento del quale giudice deve dare conto in motivazione. Occorre la prova specifica che l’intestazione fittizia sia compiuta al fine di eludere la normativa in tema di prevenzione patrimoniale. 6. Nel caso di specie, a fronte di puntuali deduzioni difensive, fondate su documenti e prove dichiarative, con cui si era messa in evidenza la circostanza che M. sin dall’inizio o, comunque, immediatamente dopo la conclusione dell’acquisto delle quote societarie, rese esplicito il senso economico di quella operazione, cioè il fatto che quel trasferimento di quote riguardava la sua persona, la Corte di appello, con una motivazione obiettivamente incerta e carente, ha ritenuto di degradare il motivo di impugnazione a questione irrilevante solo perché quella denuncia fu successiva all’avvenuta consumazione del reato, senza tuttavia esplorare il senso di quel fatto rispetto alla prova del dolo specifico, considerata intrinseca al fatto oggettivo della intestazione fittizia. Occorreva verificare, rispetto allo stato del procedimento di prevenzione, il senso di quella denuncia occorreva motivare tenendo conto in concreto della scansione temporale del procedimento avente ad oggetto l’applicazione della misura di prevenzione a sul perché, se M. avesse avuto lo scopo di eludere con quella operazione la normativa in materia di misure di prevenzione, avrebbe dovuto rendere manifesta la sua intenzione nelle modalità indicate, a cosi ravvicinata distanza temporale dall’acquisto delle quote b sul come tale manifestazione fosse compatibile con il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice c sul se M. fosse a conoscenza o meno dei meccanismi presuntivi di intestazione fittizia previsti in tema di prevenzione patrimoniale d sul se esistessero ragioni per le quali M. decise di fare intestare quelle quote proprio alla di lui figlia e non ad altre persone che avrebbero potuto evitare quei meccanismi presuntivi. Ne consegue che la sentenza sul punto deve essere annullata con rinvio per nuovo esame. 7. È invece infondato, ai limiti della inammissibilità, il terzo motivo di ricorso. L’articolo 30 della legge numero 646 del 1982 prevede un obbligo di comunicazione alla polizia tributaria delle variazioni patrimoniali concernenti elementi di valore non inferiore ad Euro 10.329,14 a carico dei condannati per associazione per delinquere di tipo mafioso e dei soggetti sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose il successivo articolo 31 del medesimo provvedimento prevede il reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali di cui alla precedente disposizione, punendo tale condotta con la reclusione da due a sei anni e con la multa, oltre che con la confisca dei beni a qualunque titolo acquistati nonché del corrispettivo dei beni a qualunque titolo alienati. L’obbligo di comunicazione imposto dalla L. 13 settembre 1982, numero 646, articolo 30 è strumentale allo scopo di esercitare un controllo preventivo, effettivo, costante ed analitico con riferimento a tutte le variazioni, non solo nell’entità, ma anche nella composizione del patrimonio del soggetto, cioè riguardo tanto al valore complessivo dei beni posseduti per l’accertamento e la verifica di liceità di ogni incremento di capitali e di beni quanto ai singoli elementi che concorrono a formarlo e, quindi, ad ogni variazione del complesso dei capitali disponibili e dei beni posseduti, in vista dell’accertamento e del controllo di tutte le operazioni di natura economico-finanziaria compiute dall’affiliato. Il controllo riguarda, perciò, qualsiasi modifica di qualche rilevanza non inferiore all’ammontare di Euro 10.329,14 dell’assetto patrimoniale e non soltanto di quelle che comportano un effettivo incremento, ma anche di quelle in apparenza ininfluenti sull’entità del patrimonio, in quanto costituite da elementi contrapposti che entrano in compensazione ed anche delle modifiche passive, che incidono comunque sulla consistenza dei beni posseduti e, quindi, sulla composizione del patrimonio e valgono a segnalare perdite fittizie o illeciti trasferimenti di componenti attivi così testualmente, Sez. 2, numero 32679 del 11/06/2014, Raffaelli, Rv. 260146 . È stato precisato che, oltre ai finanziamenti sotto qualsiasi forma privati o pubblici ed ai conti correnti, anche il mutuo e l’affidamento bancario, nei quali ai capitali resi disponibili corrisponde l’assunzione di debiti di pari importo, ricadono nell’obbligo di comunicazione previsto dalla L. numero 646 del 1982 Sez. 6, numero 31817 del 22/04/2009, Elefante, Rv. 244404 ed anche il mutuo ipotecario, pur se l’ipoteca, malgrado la sua funzione di garanzia, influisce sul valore del bene su cui è iscritta in misura più o meno corrispondente all’incremento realizzato con la disponibilità della somma mutuata incide, se non sull’entità, certamente sulla composizione del patrimonio ed è pertanto soggetto al predetto obbligo di comunicazione alla polizia tributaria Sez. 5, numero 40338 del 21/09/2011, Rv. 251724 . Ricadono nell’obbligo di comunicazione in esame anche i conferimenti di denaro attuati nelle forme di variazione di capitale sociale e tali conferimenti sono soggetti alla confisca di cui alla L. numero 646 del 1982, articolo 31, comma 2, rientrando nella nozione di beni a qualunque titolo acquistati indicati da tale ultima disposizione come oggetto di confisca . Sotto altro profilo, il dolo del reato di cui agli artt. 30 e 31 legge numero 646 del 1982 implica la consapevolezza dell’imputato di essere stato condannato per reati di mafia, e va desunto da indici sintomatici, legati a alle vicende di acquisizione del bene di volta in volta in questione b al valore del bene stesso in questi termini, Sez. 1, numero 45549 del 03/07/2012, Bontempo, non massimata . La giurisprudenza ha avuto modo di precisare, inoltre, che il dolo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali può sussistere pur quando l’omissione, posta in essere dal soggetto sottoposto a misure di prevenzione quale indiziato di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, riguardi una compravendita effettuata per atto pubblico notarile, e ciò in quanto lo scopo principale del legislatore è quello di prevenire il pericolo di utilizzo di fonti patrimoniali illecite. L’elemento soggettivo del reato è configurabile anche quando l’omissione abbia per oggetto atti e contratti soggetti a un regime di pubblicità, perché la conoscibilità dell’avvenuto trasferimento derivante dall’adempimento di certe formalità non garantisce all’amministrazione finanziaria la reale conoscenza dei mutamenti dello stato patrimoniale dell’interessato, assicurata invece dalla segnalazione eseguita ai sensi dell’articolo 30 della l. numero 646 del 1982 Sez. 5, numero 2506 del 24/11/2016, dep. 2017, Incardona, Rv. 269074 Sez. 2, numero 25974 del 21/05/2013, Mazzagatti, Rv. 256655 Sez. 5, numero 795 del 18/10/2012, dep. 2013, Seidita, Rv. 254387 Sez. 1, numero 10432 del 24/02/2010, Rv. 246398 . 8. Nel caso di specie, M.G. , soggetto condannato per il delitto previsto dall’articolo 416 bis cod. penumero , acquistò partecipazioni sociali a fronte delle quali dispose di tre assegni bancari per un valore di 30.000 Euro. L’obbligo di denunciare inosservato sorse al momento in cui il suo patrimonio, al di là del puro incremento economico, variò nella sua composizione ed il reato si consumò allo scadere del termine previsto dalla legge, non potendo certo l’adempimento di detto obbligo, come correttamente osservato dalla Corte di appello, essere sostituto o ritenuto fungibile con una generica segnalazione alternativa avente ad oggetto vicende e situazioni diverse. 9. È fondato anche il ricorso presentato nell’interesse di M.F. . La Corte di appello di Lecce ha ritenuto provata la responsabilità dell’imputata e sussistente il dolo specifico richiesto dalla norma in ragione del fatto che il vero e unico interessato alla società era M.G. , sicché l’estraneità della donna alle vicende societarie e la gestione della stessa da parte del padre costituiscono chiaro indice della coscienza e volontà di concorrere nell’operazione fraudolenta . Si tratta di una motivazione obiettivamente carente in cui la responsabilità penale è stata affermata su presupposti errati. La Corte di cassazione ha chiarito come il delitto previsto dall’articolo 12 quinquies della legge numero 356 del 1992 richieda che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità Sez. 6, numero 34657 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267705 Sez. 5, numero 18852 del 12/02/2013, Ferrigno, Rv. 256242 . Nel caso di specie, ancora una volta, si è valorizzato il dato obiettivo della fittizietà dell’operazione per affermare la responsabilità penale anche dell’intestatario delle quote, senza accertare a se, in concreto, come detto, M.G. fosse animato dalla finalità specifica di eludere con detta operazione la normativa in tema di misure di prevenzione b che, sotto ulteriore profilo, anche M.F. fosse consapevole e partecipe di tale finalità. Ne consegue che anche sul punto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce. Rigetta nel resto il ricorso di M.G. .