Solo l’impossibilità del sequestro diretto legittima il ricorso a quello finalizzato alla confisca per equivalente

Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentate di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell'impossibilità di reperire il profitto del reato, nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica, nei cui confronti disporre la confisca diretta.

La Cassazione, con la sentenza n. 49199/18 depositata il 29 ottobre, ribadisce il carattere sussidiario, rispetto alla confisca diretta, del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità del legale rappresentante di persona giuridica, indagato per reati tributari commessi dalla stessa. Dall’omessa dichiarazione al sequestro. La sentenza che sia annota prende le mosse dal provvedimento con cui il GIP di Taranto, a fronte di contestazioni di omessa dichiarazione delle imposte dirette da parte di una società, aveva applicato la misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni o denaro nella disponibilità dell’imputato, legale rappresentante della persona giuridica cui si contestava la omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi. L’aspetto peculiare del decreto del GIP di Taranto si appalesa laddove il giudice afferma che, nel caso in esame, il profitto consiste nell’omesso versamento dell’imposta e, dunque, in una entità immateriale che non aveva mai comportato un afflusso di denaro diretto nelle casse della società. Per tale ragione, nel caso di specie, aveva osservato il giudice di primo grado, non si sarebbe mai potuto procedere al sequestro in forma diretta, ma solo ed esclusivamente nella forma per equivalente. L’esperibilità della confisca per equivalente era conseguente alla già astratta impossibilità – in casi di questo tipo – di ricorrere preventivamente alla confisca diretta. La consolidata giurisprudenza di legittimità. Ricordano gli Ermellini che, secondo pacifica ed assolutamente consolidata giurisprudenza di legittimità, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento di beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, ma sempre sussistente nel momento in cui viene richiesta dal PM la misura cautelare e quando la stessa viene eseguita a seguito di provvedimento del GIP. Ciò non implica la preventiva ricerca di beni o denaro da sottoporre a confisca diretta, ma deve comunque risultare in fatto l’impossibilità di procedersi alla confisca diretta di beni della società prima di procedere al sequestro per equivalente di beni nella disponibilità del legale rappresentate della società medesima. Il maggior spazio della confisca diretta ed il minore della confisca per equivalente. L’assunto del GIP, secondo cui, nel caso di specie trattandosi di reato tributario di omessa dichiarazione e di conseguente correlato omesso versamento di imposte, ravvisandosi il profitto del reato medesimo in un risparmio di imposta, non era possibile in natura procedersi al sequestro diretto, è assolutamente erroneo. Detta impostazione, infatti, non tiene conto del concetto assolutamente ampio di profitto del reato, suscettibile in quanto tale di confisca diretta, elaborato dalla giurisprudenza. Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità e recenti pronunce, anche a Sezioni Unite, infatti, il sequestro di denaro presente nei conti correnti della società rappresenta sempre, stante la fungibilità perfetta di detto bene, un sequestro diretto, senza che sia necessario provare in concreto il nesso pertinenziale tra detta somma ed il reato commesso. È dunque sufficiente che si tratti di denaro della società nel cui interesse i reati tributari sono stati commessi affinché si possa procedere al sequestro, sequestro che dovrà qualificarsi come diretto in quanto avente ad oggetto il profitto del reato, a prescindere dalla concreta prova della provenienza di detto denaro dal reato presupposto. La ricaduta sul caso in esame. È allora evidente da un lato – osserva la Suprema Corte – la assoluta erroneità del giudizio operato dal giudice di primo grado, che ha escluso ontologicamente che a fronte di contestazioni di questa natura possa procedersi ad un sequestro diretto del profitto del reato. Non solo, infatti, qualunque somma di denaro nella disponibilità della società, integrando profitto del reato, sarebbe passibile di sequestro diretto, senza necessità di dimostrarne il nesso pertinenziale con il delitto contestato, ma anche quei beni, eventualmente anche immobili, acquistati con il denaro della società dopo la commissione del reato ascritto costituiscono profitto dell’illecito e, dunque, sono passibili di sequestro diretto. Il paradosso l’annullamento senza rinvio della impugnata ordinanza. Se da più parti ed in più sedi si è lamentata la sempre più ampia estensione, da parte della giurisprudenza, del concetto di profitto del reato e, in conseguenza, del campo di operatività del sequestro diretto finalizzato alla confisca, senza che fosse necessario ricorrere alla confisca per equivalente, si assiste nel caso di specie ad un esito paradossale di detto ampliamento l’annullamento senza rinvio del provvedimento che aveva disposto il sequestro. Nel caso in esame, infatti, il giudice di primo grado, non avendo tenuto conto della ampiezza del concetto di profitto del reato e, dunque, della possibilità del sequestro preventivo diretto, ne aveva esclusa già in astratto l’esperibilità, aprendo direttamente la porta al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, a cui come noto, invece, può ricorrersi solo allorché risulti impossibile esperire il sequestro diretto. Orbene, proprio perché il GIP di Taranto aveva erroneamente escluso la percorribilità del sequestro diretto, il provvedimento di sequestro per equivalente deve essere annullato, per non essersi il giudice, in alcun modo, preoccupato di verificare la possibilità di un sequestro diretto del profitto del reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 maggio – 29 ottobre 2018, n. 49199 Presidente Cavallo – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Taranto, in sede di riesame, con ordinanza del 31 ottobre 2017, ha rigettato l’istanza di riesame di L.V. titolare della ditta S.V.F. sabbiature verniciature fire Proofing s.r.l. , avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, dell’11 ottobre 2017, relativamente al reato di cui all’articolo 5, d.lgs. 74/2000, fino alla concorrenza di Euro 257.770,07. 2. Ricorre per cassazione L.V. , tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173, comma 1, disp. att., c.p.p 2.1. Mancanza ed illogicità della motivazione. Il controllo del giudice del riesame non deve limitarsi alla semplice sussistenza dell’astratta configurabilità del reato, ma deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali, indicando le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e un plausibile giudizio prognostico negativo per l’indagato, anche relativamente all’elemento soggettivo del reato. Per l’articolo 5, d.lgs. 74/2000 il dolo richiesto è specifico, si richiede, infatti, che il soggetto agisca con il fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto il dolo specifico deve accertarsi anche con riferimento alle soglie di punibilità, quali elementi costitutivi del reato. Nel caso in giudizio la verifica fiscale ha riguardato altri anni di imposta, senza superamento delle soglie di punibilità le soglie sarebbero state superate solo per il 2014. Il provvedimento impugnato sul punto è affetto da carenza ed illogicità della motivazione, posto che, non solo non sono stati analizzati gli elementi indicati nell’istanza di riesame ma, al contrario, ne sono stati valorizzati altri, in contrasto con i principi enucleati dalla Corte di Cassazione. Inoltre il Pubblico Ministero aveva l’onere di aggredire direttamente i beni della società, il profitto del reato, prima del sequestro per equivalente nei confronti del ricorrente. Il sequestro per equivalente, infatti, è possibile solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, o quando i beni della società non siano aggredibili. L’ordinanza del Tribunale del riesame richiama una vecchia giurisprudenza del 2014, non pertinente, e peraltro superata. Sul punto, quindi, la motivazione del provvedimento impugnato, oltre ad essere superficiale e lacunosa, si presenta anche illogica, posto che la commissione di tutti i reati tributari, non solo di quello contestato al ricorrente, si sostanziai per la società in un risparmio di imposta, e dunque mai in denaro corrente. Seguendo la tesi prospettata dal Tribunale del riesame, di fatto, tutta la recentissima giurisprudenza di legittimità sul punto, non sarebbe applicabile in nessun caso concreto, e il Pubblico Ministero dovrebbe sempre, e solo, richiedere il sequestro per equivalente. La motivazione del provvedimento impugnato, pertanto, è viziata. Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, e l’ordinanza impugnata deve annullarsi senza rinvio, unitamente al decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto. Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilità della persona giuridica nei cui confronti disporre la confisca diretta. Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 - dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158 . Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata. Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 - dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258648 . Il sequestro per equivalente può, quindi, essere chiesto, ed effettuato, solo quando sia impossibile, in fatto, il sequestro diretto di beni della società In caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018 - dep. 07/03/2018, Rubino, Rv. 27223801 . Nel nostro caso con il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, dell’11 ottobre 2017, è stato disposto il sequestro preventivo per equivalente nei confronti del ricorrente fino alla concorrenza della somma di Euro 257.770,07 , senza nessuna analisi, in fatto, della possibilità concreta del sequestro diretto nei confronti della società S.V.F. sabbiature verniciature fire Proofing s.r.l Il Giudice per le indagini preliminari esclude in radice la possibilità del sequestro preventivo diretto nei confronti della società per le ipotesi di reato ex articolo 5, d.lgs. 74/2000 perché il profitto consiste nel mancato versamento dell’imposta e dunque in un’entità immateriale che non si è mai incorporata in moneta contante e che non ha mai comportato un afflusso diretto di denaro nelle casse della società non potrà mai procedersi al sequestro ai fini di confisca in forma diretta, ma solo esclusivamente nella forma per equivalente . Così non è, in quanto Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 26443601 . Inoltre, Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 26443701 . È pur vero che parte della giurisprudenza, peraltro minoritaria, della Cassazione, esclude il sequestro preventivo diretto del denaro relativamente al mancato esborso di somme a titolo di imposte In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il profitto del reato tributario che si sostanzia in un mancato esborso dell’imposta dovuta, consistendo in una posta contabile di natura immateriale, mai convertita in moneta contante, non può costituire oggetto di sequestro diretto, ma solo nella forma per equivalente Sez. 3, n. 49631 del 30/05/2014 - dep. 28/11/2014, P.M. in proc. Guarracino, Rv. 26114801 . Tuttavia deve evidenziarsi che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito conseguentemente il mancato pagamento delle imposte per omessa dichiarazione comporta un vantaggio economico, derivante dal risparmio delle somme non versate all’erario. E, pertanto, il denaro eventualmente esistente nelle casse dell’ente può e deve sequestrarsi in via diretta, ove possibile. La questione della confisca diretta del denaro è stata efficacemete chiarita dalla Sentenza Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 - dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 25864701 È legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato . Quanto alla determinazione del profitto in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 in tema di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’articolo 11 d.lgs. n. 74 del 2000 . Nello stesso senso è stato chiarito che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile, anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’articolo 11 d.lgs. n. 74 del 2000, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato. Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013, Abrusci, Rv. 256850 conf. nn. 33185, 33186, 33187, 33188 del 2013 non massimate . Va anzitutto sottolineato che la confisca diretta del profitto di reato è istituto ben distinto dalla confisca per equivalente. Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta. La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che, nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, è legittimamente operato in base alla prima parte dell’articolo 322-ter, comma primo, cod. pen. il sequestro preventivo di disponibilità di conto corrente dell’imputato. Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, Puliga, Rv. 236984 . Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali è prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012, dep. 2013, Marseglia, Rv. 254175. Fattispecie in tema di reati tributari . È pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 cod. proc. pen., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di nascondere con il più semplice degli artifizi. Sez. 6, n. 23773 del 25/03/2003, Madaffari, Rv. 225757 . Infatti, in tema di sequestro preventivo, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attività criminosa. Sez. 2, n. 45389 del 06/11/2008, Perino, Rv. 241973 . La trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito. Infatti il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 321, comma 2, cod. proc. pen., i suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresì di ogni altra utilità che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attività criminosa. Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, dep. 1995, Giacalone, Rv. 200855. Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che legittimamente fosse stato disposto dal g.i.p. il sequestro preventivo di un appartamento che, in base ad elementi allo stato apprezzabili, era risultato acquistato con i proventi del reato di concussione . Le Sezioni Unite avevano, del resto, ritenuto che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’articolo 322-ter cod. pen., costituisce profitto del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo. Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700 fattispecie in tema di concussione nella quale il danaro era stato richiesto da un ufficiale di p.g. per l’acquisto di un immobile . In tutte le ipotesi sopra richiamate non si è in presenza di confisca per equivalente ma di confisca diretta del profitto di reato, possibile ai sensi dell’articolo 240 cod. pen. ed imposta dall’articolo 322-ter cod. pen., prima di procedere alla confisca per equivalente del profitto di reato. Questa analisi è mancata completamente nel decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari, e nell’ordinanza del Tribunale del riesame oggi impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro del G.I.P. Tribunale di Taranto in data 11/10/2017 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto mandando alla cancelleria ai sensi dell’articolo 626, cod. proc. pen