Retrodatazione dei termini della custodia cautelare in caso di reato di associazione mafiosa

La retrodatazione dei termini della custodia cautelare ex art. 297, comma 3, c.p.p. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione stessa siano stati commessi prima dell’emissione della precedente ordinanza. Requisito che non può ritenersi soddisfatto laddove l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula c.d. aperta .

È il principio ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 48109/18, depositata il 22 ottobre. Il caso. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato ad un imputato la custodia cautelare per il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa. Il difensore aveva inutilmente chiesto la retrodatazione della disposta misura alla data di esecuzione di una diversa ordinanza di custodia in carcere per reati di detenzione di stupefacenti ed armi. Il Tribunale motivava il rigetto della richiesta sul fatto che la misura cautelare emessa per prima era riferita ad un procedimento già transitata alla fase di giudizio, la diversità della fase cautelare era ostativa alla retrodatazione. Inoltre, la misura cautelare adottata per prima era ancora in atto e perfettamente efficace” . Il difensore dell’imputato ricorre per cassazione sostenendo che il Tribunale aveva confermato la sussistenza dei presupposti di fatto per la retrodatazione ma ne aveva poi erroneamente negato l’applicabilità frazionando la durata globale della custodia cautelare e computando solo i periodi relativi a fase omogenee. Orientamenti giurisprudenziali. La questione è stata rimessa dalla seconda sezione della Suprema Corte alle Sezioni Unite. Con la rimessione veniva sottolineato il contrasto emerso in materia tra un orientamento maggioritario che impone, ai fini della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il frazionamento della durata globale della custodia ed il computo dei soli periodi relativi a fasi omogenee, ed una posizione minoritaria secondo la quale la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare deve essere effettuata computando l’intera durata della misura. Retrodatazione dei termini della custodia cautelare. In tema di retrodatazione ex art. 297, comma 3, c.p.p. le Sezioni Unite sentenza n. 14535/07 hanno già avuto modo di condividere l’impostazione prevalente secondo cui la retrodatazione medesima presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi prima dell’emissione della precedente ordinanza. Requisito che non può ritenersi soddisfatto laddove l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula c.d. aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza . La retrodatazione delle misure disposte opera infatti solo con riferimento a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza, come si desume dal tenore letterale della norma citata dove si fa espresso riferimento ai soli fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza . Il Supremo Collegio ribadisce dunque questa impostazione ma rileva contemporaneamente l’inammissibilità del ricorso in quanto il reato associativo oggetto del procedimento ha natura permanente in quanto contestato al ricorrente quale commesso con condotta perdurante sino alla data odierna”, quindi in epoca successiva all’esecuzione della prima ordinanza . In tal caso, e soprattutto dove ci sono più destinatari della misura tali da ritenere che la determinazione dell’epoca di commissione del reato non sia strettamente collegata alla singola posizione di ognuno, il giudice o l’indagato possono offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato e dunque di cessazione della permanenza ai fini dell’applicabilità della retrodatazione. Non avendo però il ricorrente fornito elementi in tal senso, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 19 luglio – 22 ottobre 2018, n. 48109 Presidente Carcano – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 17 agosto 2017, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari di quello stesso tribunale, in data 15 luglio 2017, aveva applicato ad G.A. la custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen., per partecipazione alla associazione mafiosa denominata ndrangheta , nonché per i delitti di cui all’art. 12-quinquies legge 7 agosto 1993, n. 356 e di illecita detenzione e porto in luogo pubblico di numerose armi comuni da sparo. Tale decisione aveva ad oggetto anche il tema della eventuale retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen. del termine di inizio della custodia cautelare al gennaio 2016, data di esecuzione di una diversa ordinanza di custodia in carcere per reati di detenzione di sostanze stupefacenti ed armi, con l’aggravante di cui all’art. 7, legge 12 luglio 1991, n. 203. La difesa, difatti, aveva dedotto la esistenza di una chiara connessione tra le ipotesi delittuose oggetto delle due distinte ordinanze cautelari rilevando che i fatti da ultimo contestati erano già conosciuti o conoscibili all’epoca dell’adozione della prima misura cautelare. Il Tribunale rigettava tale richiesta di retrodatazione facendo riferimento all’indirizzo giurisprudenziale rappresentato dalla pronuncia resa da Sez. 4, n. 18111 del 02/03/2017, Futia rilevava che, poiché la misura cautelare emessa per prima si inseriva in un procedimento già transitato alla fase del giudizio, la diversità della fase cautelare era ostativa alla retrodatazione. Inoltre, la misura cautelare adottata per prima era ancora in atto e perfettamente efficace . 2. Avverso tale ordinanza il difensore del G. ha proposto ricorso in cassazione deducendo la violazione dell’art. 606, lett. b , c ed e , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125 e 297 cod. proc. pen Il ricorrente sostiene che il Tribunale, pur avendo confermato la sussistenza dei presupposti di fatto legittimanti l’applicabilità della retrodatazione, abbia però erroneamente ritenuto che la retrodatazione andrebbe effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare sofferta e computando solo i periodi relativi a fasi omogenee. Sul punto, richiama la diversa giurisprudenza di legittimità secondo cui la retrodatazione andrebbe calcolata sulla base dell’intero periodo di custodia cautelare presofferto, a prescindere, quindi, dall’imputazione di periodi per fasi omogenee. 3. La seconda Sezione, cui il procedimento era stato assegnato, con ordinanza depositata il 3 maggio 2018, ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di stabilire se, in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., deve essere effettuata frazionando la durata globale della custodia cautelare ed imputandovi solo i periodi relativi a fasi omogenee , precisando che il Tribunale del riesame aveva aderito alla tesi maggiormente restrittiva, pur senza valutare specificamente la sussistenza o meno, in punto di fatto, dei presupposti legittimanti l’operatività della disciplina della retrodatazione dei termini di custodia cautelare alla misura de qua. La Sezione rimettente dà atto del contrasto emerso in materia, evidenziando come secondo l’orientamento maggioritario, cui pareva aver aderito il Tribunale del riesame, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi dell’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., impone, per il computo dei termini di fase, di frazionare la durata globale della custodia cautelare, imputando solo i periodi relativi a fasi omogenee Sez. F, n. 47581 del 21/08/2014, Rv. 261262 Sez. 6, n. 15736 del 6/02/2013, Rv. 257204 Sez. 6, n. 50761 del 12/11/2014, Rv.261700 Sez. 4, n. 18111 del 2/3/2017, Futia, n.m. . A tale orientamento si contrappone consapevolmente un indirizzo interpretativo minoritario Sez. 6, n. 3058, 28/12/2017, Rv. 269285 Sez. 4, n. 36088 de 06/06/2017, Rv. 270759 , secondo cui in ipotesi di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari per fatti connessi, la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, di cui all’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., non deve essere effettuata frazionando la globale durata della custodia cautelare, bensì computando l’intera custodia cautelare subita, anche se relativa a fasi non omogenee. 4. La Sezione rimettente ha rilevato come su tale questione specifica le Sezioni Unite, nell’ambito delle decisioni adottate in materia di contestazione a catena , non si siano mai pronunciate e, quindi, ha ritenuto la sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che rende necessaria la rimessione della questione al vaglio delle Sezioni Unite. Considerato in diritto 1. Va rilevata la inammissibilità del ricorso, che preclude la valutazione della questione di diritto all’esame di questo collegio, in considerazione del fatto che come meglio si preciserà - il reato associativo nel presente procedimento è contestato al ricorrente quale commesso con condotta perdurante sino alla data odierna , quindi in epoca successiva alla esecuzione della prima ordinanza di custodia per i reati in materia di armi ed intestazione fittizia. 2. Il tema della contestazione a catena in riferimento a reati associativi, aventi natura permanente, con la eventualità della prosecuzione del reato anche dopo la esecuzione della prima ordinanza, momento dal quale si intende fare decorrere il termine di custodia della ordinanza concatenata , è già stato valutato dalle Sezioni Unite. In particolare, secondo Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910 deve . condividersi l’affermazione della giurisprudenza prevalente posta a fondamento delle precedenti decisioni negative nei confronti del ricorrente che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, c.p.p. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza . È solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con la prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, c.p.p., che prende in considerazione solo i fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza . Tale interpretazione va ribadita in questa sede, considerando anche che non vi è stata alcuna altra decisione successiva che se ne sia discostata in termini, cfr., Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notaris, Rv. 269121 Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, Caglioti, Rv. 261272 Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, Canzonieri, Rv. 253237 Sez.1, n. 20882 del 21/04/2010, Giugliano, Rv. 247576 Sez. 1, n. 27785 del 12/06/2008, Russo, Rv. 240873 . Del resto, una diversa interpretazione avrebbe il poco comprensibile effetto di coprire con la retrodatazione la prosecuzione dell’attività criminale rispetto alla quale non potrebbero più essere utilizzate misure cautelari. 3. Il reato di associazione mafiosa nei confronti del ricorrente è così contestato nell’ordinanza di custodia G.A. con la qualità di partecipe attivo alla associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, . con il compito di assicurare le comunicazioni tra gli associati, eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, riconoscendo e rispettando le gerarchie e le regole interne al sodalizio di collaborare con C.V. . . In omissis in altre zone della Provincia di omissis e della Regione Calabria in Piemonte, Lombardia, Liguria nonché in diversi stati esteri Germania, Svizzera, Canada, Australia con condotta perdurante sino alla data odierna. . Quanto agli altri reati, la intestazione fittizia contestata al capo Q2 è indicata come commessa il omissis ed il reato di detenzione e porto di armi da fuoco, di cui al capo R2, è contestato come commesso sino all’ omissis . 3.1 Rispetto a tale contestazione formulata dal pubblico ministero, la ordinanza impugnata, nel corpo della motivazione, riporta le informazioni in ordine alle date cui vanno riferite le circostanze di fatto utili a ricostruire il quadro indiziario a carico del ricorrente ma non prende alcuna posizione sulla portata di tali elementi per individuare una data finale della condotta di partecipazione al reato associativo oggetto del procedimento la chiara ragione è che il Tribunale supera a monte la questione della contestazione a catena sul diverso presupposto del passaggio di fase nel primo procedimento, non ritenendo necessaria alcuna ulteriore valutazione. Vi è, invero, in tema di esigenze cautelari, un breve riferimento alla attualità della condotta del reato permanente il Tribunale, al riguardo, riferisce di assoluta mancanza di elementi indicativi della avvenuta rescissione del vincolo associativo . Quindi l’unica indicazione concreta quanto all’epoca di commissione del reato, pur se non sembra oggetto di espressa considerazione, è, comunque, nel senso di piena conferma della contestazione che colloca la condotta anche nell’epoca successiva alla detenzione disposta per la prima misura cautelare. La conclusione è che certamente non vi è stata una valutazione implicita nel senso di ritenere la cessazione della condotta al momento del primo arresto. 3.2 Anche il ricorso, a sua volta, non offre alcun argomento per poter datare diversamente la condotta del reato associativo gli argomenti sono limitati a valorizzare il presunto implicito riconoscimento da parte del Tribunale della sussistenza delle condizioni per la contestazione a catena ma, come si è detto, non vi è stata alcuna presa di posizione sul requisito della antecedenza temporale. 3.3 In definitiva, va considerato che, a fronte di una contestazione aperta quale quella in esame, soprattutto in un caso in cui la pluralità di destinatari della misura può far ritenere che la determinazione dell’epoca di commissione del reato non sia strettamente collegata alla posizione di ciascun singolo destinatario della misura nel caso di specie è di palmare evidenza che, ad esempio, la quantità di luoghi di consumazione del reato, distribuiti in tre continenti, non è ictu oculi riferibile a ciascuno degli indagati , ben può il giudice o comunque l’indagato offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato e di cessazione della permanenza . Ma questo, nel caso di specie, non è avvenuto e, poiché per una diversa determinazione della data di cessazione della permanenza è in questione un apprezzamento degli elementi fattuali citati nel corpo dell’ordinanza impugnata, certamente non spetta al giudice di legittimità alcun compito di riqualificazione del tempo del commesso reato. 4. Per completezza, deve valutarsi anche una linea giurisprudenziale rappresentata da Sez. 1, n. 48211 del 13/11/2013, Allegro, Rv. 257817 che esclude che la intervenuta detenzione di un partecipe di una associazione mafiosa sia elemento neutrale dovendo quantomeno presumersi l’interruzione dell’attività criminale e, quindi, ritiene necessario che emergano elementi concreti per affermare la prosecuzione del reato. Senza necessità di prendere posizione su una tale interpretazione - prima facie in contrasto con la affermazione opposta basata sul carattere di per sé totalizzante della adesione ad una banda di stampo mafioso - va considerato che nel caso concreto il principio non ha rilevanza rilevando anche in questo caso il fatto che il ricorso non ha affatto contestato l’imputazione per come formulata. Quindi, nel presente procedimento, non risulta prospettata neanche in astratto la situazione da cui discende la applicazione disciplina della retrodatazione del termine di inizio della custodia. Tenuto conto dei motivi della inammissibilità, va applicata la sanzione pecuniaria nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 2.000 Euro in favore della cassa ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti ex articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.